Lettera d'amore di un padre alla figlia

Quando la sofferenza diventa speranza: Antonio Socci racconta come ha vissuto con fede il dramma della figlia Caterina sopravvissuta ad un arresto cardiaco

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Settembre 2009, Caterina, ventiquattro anni, la figlia maggiore di Antonio Socci, è in coma dopo un arresto cardiaco. Attorno a lei e alla sua famiglia si crea una straordinaria catena di solidarietà e di preghiera, uno spettacolo di fede e amore offerto non solo dagli amici, ma anche dai numerosi lettori del blog di suo padre.

Fra di loro molti sono atei e agnostici, eppure l’esperienza di Caterina spinge queste persone a riscoprire il significato e il valore della preghiera, a ritrovare il senso di una fede perduta o lasciata in disparte.

È un piccolo grande miracolo, che questa ragazza compie inconsapevolmente dal suo letto d’ospedale: la sua sofferenza si traduce in un messaggio di luce per la vita dei tanti che – nei fatti o con il pensiero – le sono vicini.

Ma sono soprattutto i suoi genitori e gli amici più cari che, giorno dopo giorno, malgrado la durezza della prova a cui sono sottoposti, si affidano con ancora maggior certezza a Gesù Cristo.

Il loro è un atto di fede che ottiene presto segni di speranza: il cuore di Caterina riprende a battere da solo e il suo respiro non ha più bisogno di macchine. Di lì a poco, in una sera del gennaio 2010, mentre sua madre le sta leggendo un divertente passo del Giovane Holden, Caterina si lascia andare a una bellissima e contagiosa risata.

Da quel giorno, un po’ alla volta, riprende conoscenza e intraprende un faticoso cammino di riabilitazione, sia pure pieno di incognite.

Nel libro Caterina. Diario di un padre nella tempesta (Rizzoli), Antonio Socci aveva raccontato il calvario e la prima “resurrezione” di Caterina.

Ora esce il libreria il secondo volume Lettera a mia figlia. Sull’amore e la vita nel tempo del dolore (Rizzoli) in cui Antonio Socci racconta ciò che è accaduto dopo.

Riportiamo di seguito quanto ha scritto Antonio Socci a conclusione di questo secondo libro libro:

“Lettera a mia figlia”

«Mentre ancora parlava, dalla casa del capo della sinagoga vennero a dirgli: “Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?”.Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: “Non temere, continua solo ad aver fede!”. […] Presa la mano della bambina, le disse: “Talità kum”, che significa: “Fanciulla, io ti dico, alzati!”. Subito la fanciulla si alzò” Mc 5,35-43

Carissima Caterina,

C’è sempre un immenso struggimento in ciò che un padre vorrebbe dire a una figlia e ancora di più nel nostro caso perché quello che ci è accaduto e che viviamo ha ingigantito tutti i sentimenti e ora non riescono più a stare dentro le parole. E nemmeno dentro ai silenzi.

È difficile per tutti, in questi casi, aprire il proprio cuore perché quei sentimenti straripano fuori alla rinfusa e cozzano fra loro. E lo è per me specialmente, perché conosco la tua assoluta refrattarietà a questo tipo di confessioni e dichiarazioni. Che certo tu, per sottrarti alla commozione, bolleresti – con un incurante sorriso – come ‘enfatiche’.

Tu che ridendo mi ‘ordini’ sempre di volerti bene stando zitto. Hai ragione. Ma voglio abbracciarti egualmente con la gioia di queste parole, perché quel giorno atroce pensai… “Non servon più le stelle: spegnetele anche tutte; imballate la luna, smontate pure il sole; svuotatemi l’oceano e sradicate il bosco; perché ormai nulla può giovare” (1).

Mentre oggi che sei tornata, oggi che ci sei stata restituita, su ogni alba trovo scritto il tuo nome, per me ogni sole a mezzogiorno brilla con i tuoi occhi, ogni brezza mi ricorda il tuo pianto, ogni notte fa riecheggiare il tuo canto e il tuo sorriso illumina e cura tutte le mie ferite.

No, la Felicità non si è scordata di noi. È sulla strada, sta tornando, ci ha già fatto arrivare i suoi messaggeri e io su ali d’aquila andrò a cercarla affinché non si attardi.

Perché affretti il suo passo chiederò ai venti di aiutarne il cammino, alle stelle di segnarle la via, incaricherò la luna di non farla assopire, alla primavera domanderò di vestirla a festa.

Colui che ha promesso, Colui a cui sei cara, manterrà la Sua parola, perché essa non può fallire, è stabile più della terra, certa più della luce del sole. Perché è già realtà.

Supplicherò tutte le schiere degli angeli perché la loro Regina ci renda pronti e degni. Perché affretti i giorni della consolazione. Mentre noi – che apprendemmo un po’ di umiltà dal dolore – impariamo ora la saggezza dal tuo silenzio, Caterina, la fede dal tuo coraggio, la speranza dalla tua allegria, la carità dalla tua pazienza.

Tua mamma un giorno ti ha detto: ‘Cate, sei un mito, per me. Sei il mio mito!’. E tu sai di esserlo per tutti noi. Sei il nostro orgoglio e la nostra forza. Non finirò mai di ringraziare il Cielo per averci dato una figlia come te. E per averti ridonata a noi quando sembrava che ci fossi stata tolta.

Io ho riempito il mondo del tuo nome, l’ho scritto in cielo e in terra, sui libri e nei cuori, lo scriverò su ogni fiore che spunterà la prossima primavera e lo farò sussurrare al mare.

E sono certo che… “Il più bello dei mari e quello che non navigammo.[…] I più belli dei nostri giorni non li abbiamo ancora vissuti.

E quello che vorrei dirti di più bello non te l’ho ancora detto” (2).

Il tuo Babbo.

*

NOTE 

(1) Wystan Hugh Auden, Blues in memoria, in La verità, vi prego, sull’amore, Adelphi 1994.

(2) Nazim Hikmet, Il più bello dei mari, in Poesie d’amore, Mondadori 2002

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ZENIT Staff

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