Le sfide della vita religiosa nella Nuova Evangelizzazione (Prima Parte)

Intervista a Padre Enrique Sanchez, superiore generale dei Missionari Comboniani

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di José Antonio Varela Vidal

ROMA, venerdì, 2 marzo 2012 (ZENIT.org) –  Da buon figlio di San Daniele Comboni, primo vescovo dellAfrica Centrale, famoso per la sua frase: Africa o Morte!, Padre Enrique Sanchez, Superiore Generale dei Missionari Comboniani, riferisce con chiarezza in unintervista a ZENIT le sfide dellattuale missione ed i piani della sua famiglia religiosa, che ha cominciato ad avere una presenza significativa in Cina.

Come può aiutare la nuova evangelizzazione in Europa, lesperienza che avete avuto in Africa?

Padre Sanchez: Credo che la nuova evangelizzazione riguardi tutta la Chiesa, in tutti i continenti. Tutto ciò che viene fatto in Africa o fuori da essa, entra nel contesto di annunciare oggi il Vangelo a tutta lumanità. Non vorrei fare una distinzione tra lAfrica e altri paesi, per non cadere nella trappola di pensare che la nuova evangelizzazione si rivolga solo ad una parte dellumanità o una parte della Chiesa. Essa è una proposta per tutta lumanità in ogni continente.
LAfrica ha molto da offrire in questo momento, in quanto latteggiamento del popolo africano nellaccogliere il messaggio evangelico è stato rispettoso. Queste persone sono molto sensibili ai valori spirituali, religiosi, alla comunione, alla fraternità, tutti valori essenziali del Vangelo. E penso che lesperienza che abbiamo fatto per molti anni in Africa, può aiutare a risvegliare in altri contesti di umanità questa sensibilità che abbiamo potuto toccare con mano, ovvero lapertura, la disponibilità, la sensibilità a tutto ciò che riguarda Dio.

Perché lEuropa cattolica ha perso la capacità di avvicinarsi a Dio con semplicità?

Padre Sanchez: Credo che si tratti solo un momento della storia dEuropa, non che questa sensibilità si sia persa. Vedendo cosa succede in Europa, infatti, ci rendiamo conto che cè un desiderio, un bisogno, una ricerca di Dio. È una ricerca, però, che non si accontenta con il noto, con il già visto, con il solito, ma si preoccupa delle novità che riguardano Dio che, a mio parere, oggi, deve essere reinventato con nuovi linguaggi, nuovi simboli, esperienze e proposte.

Rispondendo alla sua domanda sul perché lEuropa ha perso un po di questa sensibilità, penso che ciò abbia molto a che vedere con lambiente consumistico, edonistico, con questo porsi ad un livello molto superficiale della vita in cui si ritiene che la felicità consista nellavere, nel potere, nel piacere.

Ci rendiamo conto che questa non è la risposta: lEuropa ha molto dal punto di vista culturale ed economico, ma lascia un vuoto che solo Dio può colmare.

Come si sta preparando la vita religiosa per queste nuove strategie che ha menzionato?

Padre Sanchez: Ad un livello generale, soprattutto attraverso assemblee generali che si fanno qui a Roma per un certo tempo. Abbiamo riflettuto molto sulla vita religiosa in Europa e ci siamo chiesti come ci vedono i nostri contemporanei. Questaspetto, lo abbiamo approfondito, con grande soddisfazione, lanno scorso, quando abbiamo ricevuto infatti lincoraggiamento e la conferma che la vita religiosa ha molto da dire, da mostrare e da insegnare alla società contemporanea europea.

Alla fine dellanno scorso, poi, abbiamo iniziato una riflessione sul prossimo sinodo e ci siamo interrogati sul ruolo che dovremmo giocarci in questo invito fatto dal Santo Padre a rilanciare una nuova proposta di evangelizzazione nella Chiesa, che è un tema che ci tocca molto da vicino

Sarà necessario quindi cambiare alcune cose?

Padre Sanchez: Sì, la prima cosa che abbiamo sentito molto forte è stata una chiamata allautenticità, alla radicalità, a vivere la nostra appartenenza a Dio come qualcosa di bello, che riempie gli esseri umani. Riassumerei questo dicendo che la vita religiosa è una chiamata ad essere più testimoni che lavoratori, maggiormente presenti in mezzo alla società di oggi. Unaltra cosa che sento e che si sta muovendo è che tutto questo porta a chiedersi se la vita religiosa deve agire allinterno di se stessa, nel senso di ricercare nuove forme, nuovi stili e modi di essere religiosi oggi. Penso che sia un mondo in cui cè molto da scoprire, da inventare

Come Superiore Generale dei Missionari Comboniani, cosa sta chiedendo ai suoi religiosi?

Padre Sanchez: Vedo che cè una grande sensibilità tra i comboniani per tutto quello che riguarda una presenza più radicata e vicina alla gente. Fare missione con mezzi più essenziali e strutture meno pesanti, viverla come un cammino che si percorre insieme. Questo ha a che fare con il nostro carisma, perché nella coscienza missionaria di Comboni era chiara questa causa comune: salvare lAfrica con lAfrica, fare il cammino con laltro dandogli il tempo di diventare protagonista della sua propria evangelizzazione, della sua promozione e del suo sviluppo.
Per questo ora sento che cè una forte sensibilità nel nostro istituto, perché vedo che ci sono fratelli con una grande volontà di andare a vivere esperienze in posti molto vicini alla realtà delle persone, che non siano necessariamente in periferia o nella miseria; luoghi dove non possiamo fare molto, ma dove la nostra presenza è significativa.
Ad esempio, nel mondo islamico viviamo una realtà in cui lavoriamo sapendo che non ci saranno premi né riconoscimenti, e continuiamo a lavorare perché crediamo che il Vangelo è anche in grado di trasformare dal di dentro queste realtà.

A livello delle province europee della sua congregazione, invece, che disponibilità cè nelle comunità?

Padre Sanchez: Cè molta preoccupazione, molta eccitazione: nelle province e si chiedono qual è il nostro ruolo e che tipo di presenza manteniamo in Europa oggi come Comboniani. Cè purtroppo il problema di non essere in tanti, a parte un consistente gruppo di anziani entusiasti alla missione. Non abbiamo, insomma, una grande quantità di persone da utilizzare per un progetto europeo di evangelizzazione, vedo però nei gruppi che sono in Europa molta sensibilità verso le nuove realtà, come, ad esempio, la nostra presenza tra i migranti, persone provenienti da luoghi dove siamo stati o siamo ancora missionari.

Vi è anche un grande impegno ad essere presenti tra i gruppi che lavorano per i diritti umani, per la giustizia, la pace, lecologia e via dicendo, perché riguardano direttamente il nostro annuncio del Vangelo: sono gli ambiti in cui la mentalità europea permette un incontro con il Vangelo, con la Chiesa e il Cristianesimo.

Credo sia necessario – e ci stiamo lavorando – offrire come missionari una proposta di esperienza spirituale: non solo, quindi, farci promotori di nuove sensibilità, ma di esperienze di Dio. Alla fine è questo ciò che conta e che può cambiare la realtà.

Un altro obiettivo che sta animando la congregazione è quello di capire come dovremmo essere uomini di Dio presenti in questa realtà che cerca Dio: non nelle forme conosciute della liturgia fatta, ma per il fatto che, come missionari, possiamo entrare un po più in profondità e toccare lì il cuore dellEuropa del nostro tempo per aprirla alla bellezza del Vangelo, alla felicità vera che viene dalla presenza di Gesù. Ed è da lì che può sorgere ancora una volta il cristianesimo che desideriamo attraverso la nuova evangelizzazione.

(La seconda parte dellintervista sarà pubblicata domenica 4 marzo)

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Salvatore Cernuzio]

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ZENIT Staff

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