Le sfide della vita religiosa nella nuova evangelizzazione

Intervista a padre Jacob Nampudakam, Rettore generale dei Pallottini

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

di Josè Antonio Varela Vidal

ROMA, giovedì, 24 maggio 2012 (ZENIT.org) – Mentre si avvicina l’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per la nuova evangelizzazione del mese di ottobre, cerchiamo di capire quale debba essere la risposta della vita religiosa a questa chiamata di Benedetto XVI.

Proseguendo la serie di interviste con i superiori generali degli ordini religiosi, ZENIT ha incontrato il sacerdote indiano Jacob Nampudakam, rettore generale dei Pallottini, congregazione fondata nel 1835 da San Vincenzo Pallotti.

***

Come ha accolto la chiamata di Papa Benedetto XVI alla nuova evangelizzazione?

P. Nampudakam: Questa chiamata è molto importante per noi Pallottini. È un argomento, infatti, legato al nostro carisma, visto che il nostro santo fondatore ha voluto costruire una Chiesa in comunione con la partecipazione di tutti i fedeli, religiosi, sacerdoti, laici, come apostoli di Cristo.

Come deve essere presentata la fede all’uomo moderno?

P.Nampudakam: E’ importante tornare al Vangelo e vivere più autenticamente il messaggio di Gesù. La nuova evangelizzazione non è solo una serie di conferenze o libri, ma implica tornare allo spirito del Vangelo: non possiamo cambiare nulla. Pertanto credo che dovremmo presentare Dio così com’è.

Il Papa dice che Dio è il ‘grande sconosciuto’ nella società odierna …

P. Nampudakam: Può sembrare che le persone non siano interessate a Dio, ma dalla mia limitata esperienza posso dire che nel profondo del cuore c’è sempre il desiderio di Dio. Soprattutto tra i giovani – che sembrano disinteressati e confusi – ho trovato, quando confesso, sincerità nel cuore e onestà. L’uomo non può vivere senza Dio, può negarlo per un certo tempo e crearsi un’illusione di grandezza e immortalità, ma penso che Dio sia alla fine una scelta esistenziale.

Cosa potrebbe cambiare nella vita religiosa per rispondere a questa sfida della nuova evangelizzazione?

P.Nampudakam: Per tutti, sia religiosi che laici, la più grande tentazione è quella del materialismo. Tutto dobbiamo porci davanti a quella che è la prima beatitudine: “Beati i poveri”. Questo non è un problema di Est o Ovest, ma un problema della natura umana, perché, come all’avvento del peccato originale, ci sentiamo come Dio.

Il materialismo crea l’illusione di essere onnipotente, quindi, un’esperienza di povertà, tanto materiale quanto spirituale, è molto importante. Credo che per i più giovani, poi, sia importante l’esperienza delle missioni, perché vedere bambini che non hanno niente, tocca i nostri cuori e cambia l’atteggiamento verso la vita.

Riguardo all’istruzione religiosa, invece, cosa dovrebbe essere considerato in futuro?

P.Nampudakam: Che dovremmo fondarla sull’essenziale. È tutta teologia, filosofia, scienza, ma alla fine quello che conta è il rapporto con Dio, con Gesù Cristo. Vale a dire: una vita semplice, una certa povertà, cose umili, e anche il contatto con la gente, con l’esperienza pastorale della missione e della piccolezza umana. Sono valori importanti!

Lei ha parlato della missione… Cosa l’Occidente può imparare dall’Oriente?

P.Nampudakam: Nella mia esperienza, ci sono punti di forza e di debolezza in ogni cultura. Nessuna cultura è perfetta in se stessa. Possiamo imparare molto dalla cultura occidentale e dalla cultura di molti altri paesi dell’Est o in Africa. Per esempio, io vengo dall’India e nella cultura indiana, orientale, c’è sempre stato un grande senso di Dio come qualcosa di innato. Abbiamo bisogno quindi di una maggiore interiorità, profondità, e non limitarci, ad esempio, alla liturgia. Dovrebbe esserci, insomma, una maggiore esperienza di Dio. E poi, dobbiamo essere più semplici, perché il mondo e la società inculcano tante necessità inutili; in realtà, possiamo vivere una vita più umile e povera, e questo è molto importante.

Cosa funziona bene in Oriente o in Africa nella strategia pastorale, in modo che l’Occidente possa apprenderlo?

P.Nampudakam: Per esempio in India, una strategia molto efficace missionaria era quella di Madre Teresa. Lei non ha avuto difficoltà a professare la fede cattolica e tutti hanno accettato questo. Quindi, professare onestamente la nostra fede è una cosa importante; allo stesso tempo vanno rispettate tutte le altre religioni. Un altro punto è che l’uomo deve diventare il centro del dialogo, perché dove non c’è umanità e rispetto della persona, mi viene difficile pensare che vi sia una vera religione. L’uomo, quindi, che sia esso indù, musulmano o cristiano, è l’immagine di Dio e noi dobbiamo rispettarlo e servirlo.

Quindi, il servizio può essere una buona strategia affinché le persone incontrino Cristo nella altre persone?

P.Nampudakam: In primo luogo, è necessario predicare il vangelo, perché il nostro lavoro non è solo di carattere sociale. Non possiamo, però, dimenticare i bisogni degli uomini e le opere di carità, soprattutto in Africa. Chi è stato lì, sa cosa questo significa: le persone non hanno niente, e non possiamo chiudere gli occhi davanti alle sofferenze di questo popolo, che dovrebbe essere coinvolto in opere di carità in senso cristiano, con grande rispetto. Siamo tutti uguali in questo mondo e tutti hanno gli stessi diritti.

Come è la vostra congregazione nel mondo? La distribuzione, le vocazioni, ecc…

P.Nampudakam: Siamo 2.500 sacerdoti e fratelli in 43 paesi. In passato abbiamo avuto una grande presenza in Germania e Polonia. Sebbene quest’ultima oggi sia forte, abbiamo avuto un calo di vocazioni. La maggiore crescita, oggi, è in India, e stiamo poi arrivando in paesi asiatici come Taiwan, Filippine, e forse, in futuro, anche in Vietnam o in Cambogia.

Stiamo lavorando, poi, in una dozzina di paesi dell’Africa; lì c’è una grande opportunità, perché molti paesi hanno una vasta popolazione cattolica, e allo stesso tempo hanno molti bisogni. Anche in Sud America va abbastanza bene, soprattutto in Brasile, e stiamo crescendo anche in altri paesi della regione. Nel mondo europeo la situazione non è delle migliori, ma è molto interessante perché abbiamo alcuni giovani, oltre che in Germania, come avevo detto, anche in Irlanda.

Cosa dicono questi giovani postulanti? Perché si sono lasciati il mondo alle spalle?

P.Nampudakam: Ho parlato ai giovani in Irlanda per capire perché siano entrati nella nostra congregazione. E mi hanno detto che era per l’ospitalità che hanno trovato attraverso i nostri pastori e per l’apertura ai laici, che è parte del nostro carisma. San Vincenzo Pallotti, infatti, ha sempre voluto creare una comunità con una forte partecipazione dei laici. Penso che anche la Chiesa debba essere così, perché il 90% della Chiesa di oggi è composta da laici, che non dovrebbero essere solo spettatori.

Ci sono cause di canonizzazione tra di voi?

P.Nampudakam: Ci sono circa 20 casi. Abbiamo due beati in Polonia, Józef sacerdoti Stanek e Józef Jankowski, martiri uccisi nella seconda guerra mondiale, insieme ad alcuni altri polacchi e tedeschi. Ci sono anche dei martiri irlandesi e argentini, uccisi durante il periodo della dittatura in Argentina.

In conclusione, quale messaggio vorrebbe inviare alla famiglia dei Pallottini nel mondo?

P.Nampudakam: Il mio messaggio è di tornare allo spirito del Vangelo e di seguire Gesù come modello esemplare di vita e di perfezione cristiana. Bisogna tornare ad una profonda decisione: fare opere diverse, ma tutte in nome di Cristo e del suo regno. La Chiesa è nostra e noi siamo al servizio dell’unica Chiesa di Cristo.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Salvatore Cernuzio]

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

ZENIT Staff

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione