Le intuizioni educative ed evangelizzatrici di Don Bosco / 2

Intervento del rettore della PUL al Simposio “Educazione e la nuova evangelizzazione” (Testo completo)

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Riportiamo il testo completo dell’intervento pronunciato venerdì 31 gennaio 2014 dal Rettore magnifico della Pontificia Università Lateranense, monsignor Enrico dal Covolo, al Simposio “Educazione e nuova evangelizzazione”, che si conclude oggi a Roma.

***

Il tema che mi è stato assegnato – proprio oggi, nella memoria del Padre e maestro dei giovani: perché così Don Bosco fu solennemente definito dal santo Papa Giovanni Paolo II – è senz’altro un tema molto bello, ma assai ampio da trattare. E noi non abbiamo troppo tempo a disposizione…

Del resto, con estrema onestà, conviene subito precisare che Don Bosco non fu un pedagogista nel senso scientifico di questo termine. Voglio dire, egli non elaborò dei trattati di pedagogia. 

Sì – come tutti sanno – egli scrisse nel 1877 quello che viene chiamato comunemente il trattatello su Il sistema preventivo nella educazione della gioventù. Il suo esordio è illuminante: «Più volte – scrive Don Bosco – fui richiesto di esprimere verbalmente o per iscritto alcuni pensieri intorno al così detto sistema preventivo, che si vuole usare nelle nostre case. Per mancanza di tempo non ho potuto finora appagare questo desiderio, e presentemente volendo stampare il regolamento che finora si è quasi sempre usato tradizionalmente, credo opportuno darne qui un cenno che però sarà come l’indice di un’operetta che vo preparando se Dio mi darà tanto di vita da poterlo terminare». 

Tale operetta, purtroppo, non fu mai pubblicata, e perciò dobbiamo accontentarci di quest decina di pagine premesse al Regolamento per le case della Società di S. Francesco di Sales (Torino, Tipografia Salesiana 1877, pp. 3-13 [Opere Edite 29, 99-109]).

Personalmente, dopo tanti anni di vita salesiana, sono convinto che l’approccio più plausibile a Don Bosco educatore vada condotto non tanto sulla sua  teoria pedagogica, bensì sulla sua prassi esistenziale. 

Così preferisco affrontare due argomenti precisi, che toccano più da vicino Don Bosco come testimone vivente di intuizioni educative ed evangelizzatrici. 

Il primo argomento riguarda l’amorevolezza salesiana, “punta di diamante” del metodo educativo (o sistema preventivo) di Don Bosco; il secondo riguarda invece la storia stessa della vocazione di Don Bosco, una via di santificazione per ogni educatore.

1. L’amorevolezza salesiana

Mi introduco a questo tema con un riferimento alla situazione del nostro tempo, richiamando quei «segni dei tempi», a cui, come educatori, dovremmo essere sempre attenti, nell’esercizio della nostra missione.

L’amore figura come «la punta emergente» nella graduatoria dei valori espressa da un campione di 1000 giovani italiani. Alla domanda: «Quale valore ritieni in assoluto il più importante?», il 99% dei mille ragazzi intervistati ha risposto: «L’amore. L’amore è quel valore che, unico, mi ripaga della fatica del vivere».

Sergio Zavoli commentava che questa generazione è, probabilmente, la più «amorevole» che sia mai esistita. Ma poi, da persona intelligente, avanzava un dubbio: chissà se con la parola amore tutti questi giovani intendono alludere alla medesima realtà? Amore è parola abusata, persino logora…

Che cos’è in profondità questo amore, di cui i giovani di sempre (e non solo loro) sono assetati, e quelli di oggi sembrano esserlo in maniera particolare?

E’ certo che chi intende raccogliere la missione educativa di Don Bosco, e in particolare l’eredità della sua amorevolezza, non può rimanere indifferente di fronte a questa domanda d’amore dei giovani d’oggi.

D’altra parte, è questo uno di quegli interrogativi (che cos’è l’amore) dinanzi ai quali chi tenta una risposta si sente subito inadeguato. Quasi gli sembra presuntuoso e ridicolo qualsiasi tentativo.

Tuttavia cercheremo di dire qualcosa, prendendo come punto di partenza qualche riflessione di E. Fromm. 

In quel best-seller che è L’arte di amare egli scrive: «Amore è soprattutto dare, e non ricevere. Che cosa dà una persona a un’altra? Dà se stessa, ciò che possiede di più prezioso… E dare significa fare anche dell’altra persona un essere che dà…» (E. Fromm, L’arte di amare, Il Saggiatore, Milano 1971, pp. 37-39).

Potremmo commentare così questa frase: amore non è un semplice rapporto di accettazione (anche se l’accettazione reciproca è già molto: quante intolleranze, quante discordie nelle coppie, nelle famiglie, nelle comunità, perché non ci si accetta per quello che si è, e non si accettano gli altri per quello che sono… Molte volte, infatti, si coltiva dell’altro un’immagine fittizia, creata dalle nostre attese, ovvero dai nostri egoismi. E quando si scopre che quell’immagine è fittizia, allora crolla tutto). Secondo Fromm, infatti, amore vero è qualche cosa di più rispetto alla semplice conoscenza e accettazione reciproca: amore è quando uno, dimenticandosi di sé, fa essere di più la persona che ama.

Potremmo proseguire il discorso di Fromm, e dire – con l’apostolo Giovanni –  che il vero amore (quello di chi «si dimentica di sé per far essere di più le persone che ama») è l’amore di Dio, che Gesù Cristo ci ha rivelato: «Nessuno ha un amore più grande» di Gesù, «che dà la vita per i suoi amici», cioè per ognuno di noi. Questo amore trova le sue radici nella vita stessa di Dio. Quello che Gesù ci ha rivelato, infatti, è l’amore che lega tra loro le tre Persone della Trinità divina: il Figlio non poteva rivelarci un altro amore… Ci ha rivelato la carità, perché Dio è carità.

Ebbene, chi – a qualunque titolo – vuole partecipare alle intuizioni educative ed evangelizzatrici di Don Bosco, educando i giovani con il cuore di Don Bosco, è chiamato a portare questo amore davanti alle attese e agli immensi bisogni dei ragazzi di oggi.

L’amorevolezza salesiana è esattamente questo. E Don Bosco, per aiutarci a compiere la missione educativa, per aiutarci ad essere «segni e portatori dell’amore di Dio ai giovani», ci ha raccomandato nella celebre Lettera da Roma del 10 maggio 1884, chiamata il poema dell’amore educativo: «Che i giovani non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati… Chi sa di essere amato, ama, e chi è amato ottiene tutto, specialmente dai giovani». E ancora: «Ricordatevi che l’educazione è cosa di cuore».

Allora, quando tu metti in pratica l’amorevolezza come base attiva del processo educativo e, dimenticandoti di te, fai essere di più le persone a cui sei mandato, allora succedono i «miracoli dell’amore educativo».

Perché, in negativo, occorre ammettere che una persona a cui è negata l’esperienza dell’amore e che non cresce in un ambiente in cui ci si ama, rimane compromessa nella sua crescita e in tutte le sue esperienze vitali, compresa quella della fede. 

Mi torna alla memoria Agostino, un ragazzo di Arese morto tragicamente a 16 anni, che scriveva, in forma di preghiera: «Dicono anche che l’amore è una prova della tua (di Dio) esistenza. Forse è per questo che io non ti ho incontrato: non sono mai stato amato in modo da sentire la tua presenza…» (Il progetto di vita dei Salesiani di don Bosco. Guida alla lettura delle Costituzioni salesiane, Roma 1986, p. 177, nota 2).

Ma in positivo possiamo dire che, quando uno riesce finalmente a fare l’esperienza dell’amore, allora anche atteggiamenti che sembravano irrecuperabili appaiono ricuperabilissimi, e vengono di fatto ricuperati.

A questo proposito, ciascuno di noi avrebbe molte esperienze e ricordi da raccontare…

2. La storia della vocazione di Don Bosco e la storia della nostra vocazione, cioè di tutti quelli che vogliono educare i giovani con il cuore di Don Bosco

C’è una canzone molto nota, che dice così: «Camminiamo sulla strada che han percorso i santi tuoi…».

La storia della vocazione di Don Bosco ci sprona anzitutto a metterci sulla strada del Signore, che i santi hanno percorso prim
a di noi: perché quella dei santi non è una corsia riservata, esclusiva. E’ una strada aperta a tutti noi. Scriveva il Servo di Dio Giovanni Paolo II nella Novo Millennio Ineunte: «Come il Concilio stesso ha spiegato, questo ideale di perfezione», cioè la santità, «non va equivocato come se implicasse una sorta di vita straordinaria, praticabile solo da alcuni “geni” della santità. Le vie della santità sono molteplici, e adatte alla vocazione di ciascuno» (nn. 30-31).

Nelle più antiche comunità cristiane «santi» erano chiamati i figli della Chiesa, dunque ciascuno di noi. E noi oggi, per crescere nella santità, vogliamo raccogliere l’insegnamento, e soprattutto l’esempio, di un santo che ci ha segnato la strada: parliamo di don Bosco, Padre e Maestro dei giovani.

Don Bosco è un chiamato nel senso forte, biblico del termine: “La fede di essere strumento del Signore per una missione singolarissima fu in lui profonda e salda. Ciò fondava in lui l’atteggiamento religioso caratteristico del ‘servo biblico’, del profeta che non può in alcun modo sottrarsi ai voleri divini” (P. Stella).

Così noi possiamo confrontarci con la storia della vocazione di Don Bosco, un po’ nello stesso modo in cui possiamo confrontarci con le grandi storie di vocazione della Bibbia. Lo faremo proprio seguendo il metodo della lectio divina: un viaggio di andata (da me a Don Bosco) e un viaggio di ritorno (da Don Bosco a me).

2.1. La storia della vocazione di Don Bosco: tra il sogno e il pianto

Come in ogni storia di vocazione (della Bibbia, ma non solo), anche nella storia di Don Bosco è possibile rintracciare tre momenti tipici: la chiamata-elezione, la risposta, la missione.

a) La chiamata

«Lo Spirito Santo suscitò, con l’intervento materno di Maria, san Giovanni Bosco» (Costituzioni dei Salesiani, n. 1). Qui l’accento, come si conviene al primo atto di ogni storia di vocazione, va sull’iniziativa gratuita di Dio.

b) La risposta

La qualità della risposta di Don Bosco è ben sintetizzata da alcune, poche parole, che esprimono il suo “sì” incondizionato alla chiamata: «Ho promesso a Dio che fin l’ultimo mio respiro sarebbe stato per i miei poveri giovani» (parole citate ancora nelle Costituzioni, n. 1). Di qui traspare l’amore profondo e paterno di Don Bosco ai giovani e la sua totale dedizione alla chiamata del Signore.

c) La missione

Don Bosco, e tutti coloro che in qualunque modo ne condividono il carisma, sono mandati per «essere nella Chiesa segni e portatori dell’amore di Dio ai giovani, specialmente ai più poveri» (Costituzioni dei Salesiani, n. 2). 

Mi limito a richiamare due episodi di questa splendida storia di vocazione, che è la vita di Don Bosco. Un episodio si trova all’inizio, l’altro alla fine della sua vita: ci muoviamo così tra il sogno e il pianto. Da questi due espisodi scaturisce un appello irresistibile a seguire il Padre e Maestro dei giovani sulla via della santità.

«A nove anni» – ecco il primo episodio, il sogno, raccontato da Don Bosco stesso nelle sue Memorie – «a nove anni ho fatto un sogno. Mi pareva di essere vicino a casa, in un cortile molto vasto, dove si divertiva una gran quantità di ragazzi. Alcuni ridevano, altri giocavano, non pochi bestemmiavano. Al sentire le bestemmie, mi slanciai in mezzo a loro. Cercai di farli tacere usando pugni e parole. In quel momento apparve un uomo maestoso, vestito nobilmente. Un manto bianco gli copriva tutta la persona. La sua faccia era così luminosa che non riuscivo a fissarla. Il Signore mi chiamò per nome e mi ordinò di mettermi a capo di quei ragazzi…».

A partire da questa visione si snoda – come il nastro di un film – tutta la storia della vocazione di Don Bosco.

Non sto qui a raccontarla di nuovo. Richiamo solo una celebre scena, molto felice, di un film su Don Bosco, quello del centenario della sua morte. Si vede Giovannino, che per divertire i suoi piccoli compagni dei Becchi, fa il funambolo, e cammina in equilibrio sulla corda, a piedi scalzi, da un albero all’altro. E una voce fuori campo, la voce di Don Bosco adulto, commenta: «Nella mia vita ho sempre dovuto camminare così: guardando avanti e in alto. Diversamente sarei caduto giù…».

Don Bosco sa che a partire da quel primo sogno la sua vita è tutta guidata dall’alto; tutto scorre come se fosse stato pensato prima, per un misterioso disegno d’amore.

E’ proprio questa consapevolezza intensissima, convalidata dai numerosi segni che Don Bosco esperimenta lungo il suo cammino, la causa del lungo pianto, il 15 maggio 1887, pochi mesi prima della morte, nella Basilica del Sacro Cuore a Roma. 

E’ il secondo episodio che racconto. Don Bosco ha appena portato a termine la costruzione della chiesa, tra infinite difficoltà e fatiche, per obbedire a un preciso invito del santo Padre, Leone XIII. Sostenuto da don Rua e da don Viglietti, il fedele segretario, scende nella chiesa per celebrare la Messa all’altare di Maria Ausiliatrice. La folla si accalca attorno all’altare. Ed ecco, appena cominciata la Messa, Don Bosco scoppia a piangere. Un pianto lungo, irrefrenabile, che accompagna quasi tutta la Messa. Don Rua e don Viglietti sono impressionati. Tra la gente c’è un silenzio teso, che quasi si tocca. Alla fine della Messa, Don Bosco dev’essere portato di peso in sacrestia. Don Viglietti gli sussurra: «Don Bosco, ma perché?…». E lui: «Avevo davanti agli occhi, viva, la scena del mio primo sogno, a nove anni».

In quel lontano sogno, gli era stato detto: «A suo tempo, tutto comprenderai». Ora, guardando indietro nella vita, gli pareva proprio di comprendere tutto.

2.2. La nostra storia di vocazione

Ritorniamo ora da Don Bosco a noi: la sua storia di vocazione è anche un po’ la nostra storia di vocazione. Chi, come noi, si avvicina al carisma educativo di Don Bosco, chi vuole educare con il cuore di Don Bosco, è impegnato a rimodellare in se stesso la sua esperienza di vita. Confrontiamoci dunque con ciascuno dei tre momenti della storia di vocazione di Don Bosco.

a) Con riferimento al primo tratto della sua storia di vocazione, la gratuita chiamata-elezione da parte di Dio, diremo che, come Don Bosco, ciascuno di noi è chiamato a essere uomo o donna del gratuito, in docile ascolto dello Spirito, in costante unione con Dio, proprio per poter dare spazio in massimo grado alla chiamata del Signore. Questo significa che dobbiamo maturare e sviluppare un’autentica dimensione contemplativa, proprio come fece Don Bosco.

b) Quanto al secondo atto, la risposta, diciamo che come Don Bosco ognuno di noi è chiamato a maturare una risposta generosa e coerente. Il suo esempio è per noi un invito alla fermezza del nostro impegno, all’unificazione dei nostri pensieri, delle nostre forze, di tutta la nostra persona in una medesima direzione. Anche noi puntiamo alla qualità di una risposta, che sveli «un accordo (nel caso di Don Bosco era uno splendido accordo!) di natura e di grazia» (Costituzione dei Salesiani, n. 21).

c) Come Don Bosco, compiamo anche noi la nostra missione, ben sapendo che la piena fecondità dell’apostolato passa attraverso la croce, il «nardo pestato», che solo allora – quando è pestato – esala il suo profumo migliore…

3. Conclusione

A ben guardare, Don Bosco ci propone un progetto di santità intimamente collegato con la carità pastorale, «centro e sintesi» dello spirito salesiano (Costituzioni dei Salesiani, n. 10).
In questo progetto di santità l’unità perfetta con Cristo e la dedizione totale ai destinatari della missione non appaiono semplicemente due caratteristiche costitutive e irrinunciabili. Esse costituiscono un’unica realtà. Sono come le due facce di una stessa medaglia. L’una invera l’altra.

Sulle rive del mar di Galilea Gesù chiese a Pietro se lo amava. Alla triplice risposta affermativa di Pietro, Gesù concluse: «Se mi ami, pasci…» (cfr. Giovanni 21,17). La condizione per pascere il gregge di Cristo (e per noi, in particolare, quella porz
ione preziosa che sono i giovani, soprattutto i più bisognosi) è sempre la stessa: è l’innamoramento per Gesù. Sit amoris officium pascere Dominicum gregem, diceva  Agostino al termine dei suoi Sermoni sul Vangelo di Giovanni (123,5).

San Giovanni Bosco ha educato così, da innamorato di Cristo, con il cuore del buon Pastore: quel buon Pastore che dà la vita per le sue pecore (cfr. Giovanni 10,11).

In ultima analisi, educare con il cuore di Don Bosco, accoglierne in profondità le intuizioni educative ed evangelizzatrici, significa essere disposti a dare la vita per i giovani e le giovani che noi educhiamo.

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ZENIT Staff

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