Le donne della rivoluzione yemenita contro gli estremisti

Le donne chiedono libertà e parità di diritti

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di Valentina Colombo*

ROMA, lunedì, 18 giugno 2012 (ZENIT.org).- Lo scorso 23 marzo Hamid al-Ahmar, ricco uomo d’affari yemenita e membro del direttivo politico del Raggruppamento yemenita per la Riforma (al-Islah), movimento legato ai Fratelli musulmani, ha rilasciato al New York Times alcune dichiarazioni riguardanti il ruolo delle donne nei moti di rivoluzione popolare nel proprio paese che hanno scatenato la reazione delle attiviste e dei movimenti laici.

Dopo avere affermato che il proprio movimento aveva moderato le proprie posizioni sul ruolo della donna, ha criticato alcuni atteggiamenti in Piazza del Cambiamento e in piazza della Libertà nella capitale Sanaa: “Si è assistito a comportamenti disdicevoli che hanno trasformato la piazza in una discoteca! Quelle donne volevano manifestare mano nella mano con i loro fidanzati, come amanti. Questo non è giusto ed è contro la nostra religione.”

Non sono mancate reazioni immediate. Bilqis al-Lahbi, un’avvocatessa attivista, ha sottolineato che al-Ahmar con le sue dichiarazioni aveva spronato a espellere le donne dalle piazze e ad attaccarle. Anche Samah al-Shakhdari, un’attivista a capo della Fondazione Voce per lo Sviluppo, ha definito le parole di al-Ahmar una provocazione di un uomo che “vuole sodomizzare l’onore delle donne”.

La stessa al-Shakhdari ha da subito reso noto che alcuni movimenti e associazioni femminili avrebbero denunciato e portato in tribunale il politico legati ai Fratelli musulmani per oltraggio nei confronti delle donne attiviste.

Il 29 maggio anche l’Alleanza civile per la Pace e la Protezione dei Diritti e delle Libertà in un comunicato invitava “i partiti, gli elettori, le associazioni della società civile, i mezzi di comunicazione e gli intellettuali a schierarsi con le donne e i giovani yemeniti e a sostenerli contro chi li continua a diffamare… affinché si possano affermare la libertà, la democrazia, la convivenza civile, la pace e lo spirito della legge e della giustizia sociale”.

Ebbene, quattro attiviste hanno finalmente sporto denuncia contro al-Ahmar per diffamazione nei confronti delle donne. E’ curioso notare come si tratti quattro donne apparentemente diverse tra loro – una con il velo integrale, una con il foulard e due senza – si siano ritrovate in questa battaglia contro l’esponente di un movimento che, facendo riferimento alla sharia, considera le donne come esseri inferiori e sottomessi all’uomo. E’ straordinario che in un paese come lo Yemen dove l’islam, nella sua interpretazione conservatrice, e tradizioni arcaiche mirano a occultare la donna, si sia giunti a una simile azione legale.

Stupisce invece negativamente il silenzio del Premio Nobel per la Pace Tawakkul al-Karman. Stupisce, ma non troppo. Aveva ragione l’editorialista Mashari al-Dhaidi quando lo scorso novembre sulle pagine del quotidiano internazionale Asharq al-awsat affermava, in occasione del conferimento del premio Nobel alla yemenita, che quest’ultima non era certo “Madre Teresa, ma un’attivista politica che agisce in accordo alle direttive e alle esigenze politiche e sociali del proprio partito”.

Infatti la Karman è membro del direttivo di al-Islah, il partito di Hamid al-Ahmar, ed è figlia di ‘Abd al-Salam Khalid Karman, anch’egli membro dello stesso partito. Al-Islah, come si evince dal programma politico pubblicato sul sito ufficiale, agisce in nome dell’islam e vuole l’applicazione della sharia, propugna l’uguaglianza tra i credenti senza distinzione di sesso, ma la sharia prevede che la donna vale la metà dell’uomo.

Tawakkul Karman è sì un’attivista, ma un’attivista politica. Non c’è dubbio che sia il simbolo di una rivoluzione, ma si situa nel continuum delle cosiddette “primavere” arabe che stanno assistendo al predominio dei movimento dei Fratelli musulmani, organizzati ed economicamente forti. Forte e simbolico era stato il suo gesto di scoprirsi il viso sulla pubblica piazza, ma il suo essere membro del direttivo di un partito legato ai Fratelli musulmani limita notevolmente la sua azione, soprattutto a difesa della donna.

Non a caso molte attiviste hanno sottolineato il suo silenzio stampa riguardo alle dichiarazioni di al-Ahmar. Probabilmente la Karman non parlerà, non scriverà, dimostrando che il ruolo della donna in seno al movimento fondato nel 1928 da Hasan al-Banna sarà sempre strumentale al fine, sarà sempre una copertura per dimostrare la “moderazione” e l’evoluzione apparente del movimento. Dimostrando soprattutto che il Premio Nobel e la conseguente visibilità se li sarebbero meritati quelle attiviste yemenite, libere da ogni legame ideologico, che ogni giorno lottano, contro l’oscurantismo, per conseguire la vera libertà senza se e senza ma.

* Valentina Colombo (Cameri, Novara, 1964) è docente di Cultura e Geopolitica dell’islam presso l’Università Europea di Roma e Senior Fellow presso la European Foundation for Democracy (Bruxelles). E’ presidente dell’Associazione “Vincere la paura” per la libertà religiosa e la libertà di espressione. Ha scritto numerosi articoli e saggi dedicati al mondo arabo-islamico ed è la traduttrice del premio Nobel per la letteratura Nagib Mahfuz e di tanti altri autori arabi, classici (Jahiz e Hamadhani) e contemporanei (Bayyati, Qabbani, Adonis). La sua ricerca si focalizza in modo particolare sugli intellettuali liberali arabi e sul ruolo della donna nei processi di democratizzazione in Medio Oriente.

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ZENIT Staff

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