Le Chiese di Siria e Libano chiedono all'UE di non armare i ribelli

L’appello del Patriarca melchita di Damasco Gregorio III Laham al presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy

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«Introdurre nuove armi servirebbe solo a far aumentare il numero di orfani e vedove». Sono parole del patriarca melchita di Damasco Gregorio III Laham, pronunciate lo scorso 26 giugno di fronte al presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy.

Su invito di Aiuto alla Chiesa che Soffre una rappresentanza delle Chiese cattoliche siriana e libanese è giunta a Bruxelles per descrivere ai politici dell’Unione il tragico momento vissuto dai rispettivi Paesi. Il patriarca Laham era accompagnato da monsignor Issam John Darwish, arcivescovo di Zahle e Ferzol in Libano, e padre Ziad Hilal, uno dei pochi religiosi rimasti nella città siriana di Homs.

Oltre al presidente Van Rompuy, durante i tre giorni trascorsi nella capitale belga la delegazione ha incontrato – assieme ad alcuni esponenti di ACS – il gabinetto del presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, e oltre duecento europarlamentari ai quali ha sottoposto un’approfondita relazione.

«Soltanto un negoziato politico che tenga in giusta considerazione l’onesto contributo di mediazione dei cristiani potrà ricondurre alla pace il Paese e convincere i siriani a rimanere», ha ammonito il patriarca melchita.

I delegati mediorientali hanno testimoniato le terribili condizioni in cui si trovano le centinaia di migliaia di rifugiati siriani, molti dei quali fuggiti in Libano. Nella sola valle della Bekaa la Chiesa cattolica si prende cura di oltre 1500 famiglie, ognuna composta da almeno sette persone. «Preferiscono essere ospitati da noi piuttosto che nei campi profughi delle Nazioni Unite – ha spiegato monsignor Issam John Darwish, la cui arcidiocesi è situata nella valle della Bekaa – perché non vogliono essere registrati per paura di ritorsioni al termine della guerra. Anche molti musulmani bussano alla nostra porta, ma poi purtroppo non possono più ottenere l’aiuto dell’Onu». Grazie al supporto di associazioni come Aiuto alla Chiesa che Soffre – che dall’inizio della crisi ha donato ad alcune diocesi e a Caritas Libano 1.096.574 euro per il sostegno agli sfollati interni e ai rifugiati siriani – la Chiesa offre a chiunque ne abbia bisogno viveri e cure mediche. «Ma è impossibile far fronte alle necessità dell’interminabile flusso di rifugiati».

I portavoce delle Chiese di Siria e Libano hanno altresì evidenziato come la decisione internazionale di armare i ribelli – confermata nel corso del summit Amici della Siria, tenutosi lo scorso 23 giugno a Doha in Qatar– e i continui ritardi nell’inizio dei colloqui di pace contribuiscano ad aggravare la già drammatica situazione. «Credere che la consegna di armi all’opposizione causerà un bilanciamento delle forze in campo è solo un’illusione» ha detto padre Ziad Hilal. Visto che  Assad può vantare numerosi sostenitori, il gesuita è certo che anche le forze lealiste otterranno facilmente nuovi armamenti. «L’unico risultato sarà un’escalation della violenza. Siamo già inondati da armi, non ne servono altre. Perfino i bambini imbracciano i fucili». Ad Homs padre Hilal ha dovuto trasformare il centro pastorale in una scuola che oggi accoglie oltre 6mila alunni. «Spero che la convivenza pacifica tra bambini cristiani, sunniti, alauiti e sciiti rappresenti un esempio per tutti e getti le basi per un futuro di pace nel nostro amato Paese».

Gli esponenti dell’Unione europea hanno garantito alla delegazione siro-libanese che continueranno a ricercare una soluzione diplomatica alla crisi e che manterranno aperto un canale di comunicazione con i cristiani rimasti in Siria. «Noi europei – ha affermato Joseph Daul, presidente del gruppo del Partito Popolare Europeo – consideriamo ormai la pace come un qualcosa di scontato. Grazie per averci ricordato che dobbiamo invece lavorare ogni giorno per mantenerla o raggiungerla».

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ZENIT Staff

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