Le catacombe del dialogo e della tolleranza

La Fondazione Heydar Aliyev dell’Azerbaijan sovvenziona il restauro dei cubicoli dipinti delle catacombe romane dei santi Marcellino e Pietro sulla via Casilina

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di Gianfranco Ravasi

ROMA, sabato, 7 luglio 2012 (ZENIT.org).- Riprendiamo l’articolo in cui il cardinale Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa e della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, commenta la recente firma della convenzione tra la Fondazione Heydar Aliyev dell’Azerbaijan e la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, per il restauro dei cubicoli dipinti delle catacombe romane dei santi Marcellino e Pietro. L’articolo è tratto dall’edizione de L’Osservatore Romano del 2-3 luglio scorso.

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Nella sede del Pontificio Consiglio della Cultura è stata recentemente firmata una convenzione tra la Fondazione Heydar Aliyev dell’Azerbaijan e la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, riguardante una sovvenzione che permetterà alla Santa Sede di restaurare un cospicuo numero di cubicoli dipinti delle catacombe romane dei santi Marcellino e Pietro sulla via Casilina. Il gesto generoso della presidente della Fondazione, Mehriban Aliyeva, che con tanta sensibilità ha voluto contribuire alla valorizzazione di un sito archeologico cristiano tanto prestigioso, permetterà agli operatori della Commissione di fare un passo avanti, in vista dell’apertura al pubblico di una delle catacombe ancora poco conosciuta, ma estremamente importante dal punto di vista storico e religioso.

Inoltre questo atto costituisce un gesto di grande rilievo a livello simbolico: per la prima volta nella storia recente un’istituzione di una nazione musulmana sciita contribuisce in modo efficace alla valorizzazione di un monumento cristiano. È, quindi, un evento di particolare significato in cui il dialogo interculturale fa da battistrada, come aveva suggerito Benedetto XVI, al successivo dialogo interreligioso. Tra l’altro, gli ottimi rapporti diplomatici che intercorrono tra la Santa Sede e l’Azerbaijan fanno da sfondo a questa operazione che si accosta a un analogo intervento a favore del restauro di manoscritti azeri custoditi presso la Biblioteca Apostolica Vaticana. Un segno di dialogo, quindi, che ho potuto sperimentare anche personalmente durante una mia visita ufficiale in quel Paese che s’affaccia sul mar Caspio e che custodisce memorie storiche, espressione di una passata coesistenza tra culture e religioni differenti.

Vorremmo ora offrire ai nostri lettori un profilo essenziale di queste catacombe. L’area dove sorsero nel suburbio romano era di proprietà imperiale. Si trattava, infatti, di un praedium appartenente a Elena, la madre di Costantino, che verrà sepolta proprio nell’area sovrastante le stesse catacombe, nel mausoleo a pianta centrale, oggi definito di Tor Pignattara. Quel mausoleo, in realtà, era stato edificato proprio per l’imperatore Costantino, come dimostrano le scene di battaglia, scolpite sul sarcofago porfiretico, oggi conservato ai Musei Vaticani. Il progetto di realizzare una “nuova Roma” sul Bosforo, suggerì successivamente di seppellire l’imperatore nell’Apostoleion, l’edificio di culto costantinopolitano, che accoglieva le reliquie degli apostoli. Fu così che il mausoleo della via Casilina venne riservato a Elena, il personaggio più impegnato nella conversione cristiana dell’impero. Il nostro sito, che si collega idealmente a Costantinopoli, fornisce una prima idea circa la stretta relazione tra le due parti dell’impero, ma anche tra le Chiese d’Oriente e d’Occidente, e fa balenare il tentativo di coesione tra ideologie che tendevano a maturare sistemi di pensiero diversificati.

Entrando nelle sottostanti catacombe, si avverte infatti un’atmosfera caratterizzata da intense relazioni interculturali e da un dialogo religioso estremamente aperto. Sono proprio gli affreschi, che decorano i cubicoli e che verranno restaurati con il prezioso aiuto della Fondazione della Repubblica dell’Azerbaijan, a parlarci di questa interazione culturale. Essa, tra l’altro, propone alla nostra attenzione la composizione multietnica e multireligiosa della societas romana tardoantica. Questi affreschi riproducono, innanzitutto, storie dell’Antico e del Nuovo Testamento, privilegiando quegli episodi, che sottolineano la via specifica biblica della salvezza eterna, ma anche il valore del dialogo insito allo spirito del cristianesimo. Tra le scene emerge, ad esempio, il colloquio di Cristo con la Samaritana al pozzo (Giovanni, 4, 4-42): attraverso esso si vuole tradurre in figura il desiderio di comporre la storica ostilità dell’ebraismo nei confronti della comunità samaritana. Infatti, agli occhi dell’artista cristiano, la donna diventa la sintesi allegorica dell’Ecclesia ex gentibus, secondo un linguaggio simbolico estremamente caro al repertorio iconografico paleocristiano.

Ma nell’arte delle catacombe dei santi Marcellino e Pietro si riconoscono anche i segni, le immagini e le scene di un mondo pagano, profano, neutrale, ancora legato alla cultura ideale e religiosa della tradizione classica. Questo fenomeno — che rende particolarmente attuale questo intreccio tra diverse espressioni culturali e religiose — deve essere calato in quel clima di tolleranza che si era diffuso proprio al tempo dei Costantinidi. È così che in un cubicolo della catacomba, insieme alle storie di Giona e alla figura del Buon Pastore, sono raffigurati i busti delle Stagioni, per esprimere un concetto più ampio della palingenesi, che fluirà verso l’idea della Resurrezione.

È così che un altro cubicolo è completamente decorato con figure di atleti, per “eroizzare” il defunto e rappresentare metaforicamente la sua apoteosi.

L’affresco più singolare rappresenta Orfeo, il mitico cantore trace che suonando la cetra ammalia gli animali selvatici e feroci. In questa figura e in questo mito di origine classica, convergono le idee dell’armonia e della dolce potenza persuasiva del suono, del canto e della parola. Si richiama, così, innanzitutto una generica tematica bucolica, capace di creare un contesto felice, tranquillo, beato e, dunque, un ameno habitat edenico, che permette di tradurre i Campi Elisi nel Paradiso cristiano. Tuttavia, la figura di Orfeo, già debitrice — per quanto riguarda lo schema iconografico — al mito di Apollo musageta e all’immagine di Davide salmista, diventerà anche un simbolo cristologico, come ricorda Clemente Alessandrino, quando precisa che il Lògos è il vero Orfeo, capace di addomesticare le bestie malvagie e feroci, come il leone, il porco e il lupo (Protrettico, 1, 3). Orfeo e Cristo si sovrappongono, tanto che Eusebio di Cesarea decodificherà questa giustapposizione affermando: «Se Orfeo, con il suono della lira, ammansì le fiere (…) il Verbo di Dio fece di più: ammansì i costumi dei barbari e dei pagani» (Laudatio Constantini, 14).

(©L’Osservatore Romano 2-3 luglio 2012)

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Per conoscere l’area sovrastante il complesso catacombale dei Santi Marcellino e Pietro, basta cliccare su: http://www.zenit.org/article-31601?l=italian.

Segnaliamo ai nostri lettori anche l’articolo del prof. Fabrizio Bisconti sul restauro dei cubicoli dipinti delle medesime catacombe: http://www.zenit.org/article-31502?l=italian.

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ZENIT Staff

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