Le ambiguità dietro i diritti dei disabili e delle persone omosessuali

Il commento dell’Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’ONU

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CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 30 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Negli ultimi tempi, la posizione espressa dalla Santa Sede in relazione alla Convenzione sulle persone disabili e alla Dichiarazione sull’orientamento sessuale, l’identità di genere e i diritti umani ha suscitato non poche critiche.

In questo contesto, l’Arcivescovo Celestino Migliore, Nunzio Apostolico e Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, ha spiegato in un’intervista rilasciata a Il Regno ciò che la Chiesa pensa al riguardo.

Circa la Convenzione sulle persone con disabilità, il presule ha affermato che, “pur riconoscendone l’importanza e l’urgenza di attuazione in molti dei suoi aspetti, la Santa Sede si astenne dal firmarla perché il testo si presta ad avallare l’aborto come modalità della cosiddetta salute riproduttiva”.

Nella fase negoziale, la delegazione della Santa Sede ha sottolinea l’ambiguità dell’espressione chiedendo “non che essa fosse espunta, ma che venisse precisata una volta per tutte, così da escludere l’aborto dal ventaglio delle sue accezioni”, ma la richiesta non è stata accolta, adducendo che il testo “non intendeva creare nuovi diritti, ma solo assicurare che alle persone con disabilità venisse riconosciuto nulla in meno di quanto è riconosciuto a ogni persona”, punto sul quale “la Santa Sede era perfettamente d’accordo”.

L’intensificazione delle pressioni da parte dei sostenitori dell’aborto per lo sbarramento della proposta ha fatto emergere il fatto che “la posta in gioco non era più la sola tutela giuridica delle persone disabili – compiutamente espressa nella proposta della Santa Sede -, ma l’uso di questa Convenzione per far avanzare un discorso che, tra l’altro, mina la consistenza di un vero sistema di protezione legale di ogni persona”, ha dichiarato.

Quanto alla Dichiarazione sull’orientamento sessuale, l’identità di genere e i diritti umani, presentata dalla presidenza francese dell’Unione Europea, monsignor Migliore ricorda che consta di 13 paragrafi, tre dei quali chiedono l’abrogazione di ogni legge penale e la cessazione di qualsiasi forma di violenza perpetrata contro persone appartenenti alle due categorie menzionate nel titolo.

“Non si parla mai esplicitamente di depenalizzazione dell’omosessualità – osserva -. Vengono, invece, usate le categorie di orientamento sessuale e identità di genere”, che però “non sono né riconosciute, né univocamente definite nel diritto internazionale e, pertanto, sono suscettibili di essere interpretate e definite secondo le intenzioni di chi a esse si riferisce”.

“Se venissero accolte nel loro stato fluido e imprecisato, come chiede la dichiarazione, ciò causerebbe una grave incertezza del diritto”, constata.

“Uno dei possibili travisamenti è che, se uno Stato o una comunità religiosa rifiutassero di celebrare il matrimonio per le coppie dello stesso sesso o di riconoscerne le adozioni infantili, sarebbero suscettibili di violare queste clausole antidiscriminatorie e passibili di sanzioni; in casi estremi, i ministri religiosi potrebbero addirittura ricevere un’ingiunzione a celebrare tale tipo di ‘matrimoni'”.

Paragonando la Chiesa a Stati come l’Arabia Saudita, il Sudan, la Nigeria, gli Emirati Arabi e l’Iran, che prevedono la pena di morte per l’omosessualità, monsignor Migliore sostiene che alcuni media hanno “commesso un misero autogoal”.

La Santa Sede, infatti, esorta in modo deciso “singoli e Stati a mettere fine a ogni forma di violenza e di ingiusta discriminazione contro le persone omosessuali”.

Ricordando poi il 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, l’Arcivescovo Migliore ha sottolineato il contributo della Chiesa alla riflessione sui diritti umani, che “non è mai disgiunto dalla prospettiva della fede nel Dio creatore”.

“Trattandosi di diritti che hanno a che vedere con la vita e i comportamenti delle persone, delle comunità e dei popoli – ha osservato -, il discernimento prevede che ci si chieda ogni volta se le problematiche che si vogliono riconoscere come nuovi diritti promuovano un vero bene per tutti e in quale rapporto stiano con gli altri diritti e con le responsabilità di ognuno”.

Tra i diritti, fondamentale è quello alla libertà religiosa. Per il presule, “da una parte ci si deve contrapporre a una dittatura della ragione positivista che esclude Dio dalla vita della comunità e dagli ordinamenti pubblici, privando così l’uomo di suoi specifici criteri di misura”, dall’altra "è necessario accogliere le vere conquiste dell’Illuminismo, i diritti dell’uomo e specialmente la libertà della fede e del suo esercizio, riconoscendo in essi elementi essenziali anche per l’autenticità della religione”.

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ZENIT Staff

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