"Lavorare per la santità dei fedeli laici"

Le conclusioni di mons. Domenico Sigalini al convegno “Assistenti adulti per adulti nella fede”

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Pubblichiamo di seguito le conclusioni di monsignor Domenico Sigalini, assistente generale dell’Azione cattolica italiana, al Convegno nazionale degli assistenti di Ac, “Assistenti adulti per adulti nella fede”, svoltosi dal 21 al 24 gennaio a Roma.

***

Che cosa ci portiamo a casa da questo convegno, da queste relazioni, dai nostri pensieri personali e dalle convinzioni che ci siamo fatti?

Mi provo a ripercorrere i momenti di ascolto e di dialogo.

1. Adulti nel mondo e nella Chiesa

Essere nella chiesa significa essere collocati in un tessuto di relazioni e provocati a rispondere ad un invito; questo ci fa coscienti che siamo collocati da Dio in un dialogo necessario che è iniziato con la presenza di Gesù Cristo tra noi. E’ un dialogo che ci obbliga ad ascoltare il mondo, che non ci permette di vivere da autosufficienti o da lattanti psichici che hanno interrotto quel circolo, che fa la vita buona, bella e felice, tra ricevere e donare, prendere e lasciar scorrere.

Questo dialogo non è un insieme di soliloqui, come lo diventano spesso le nostre astrazioni intellettuali, ma una presa diretta sulla vita, sull’esperienza del nostro umano annaspare, del farci sempre tante domande e nel cercare senso a tutto. Il prete e come un ostetrico del senso, perché il senso non lo impone e nemmeno insegna, ma lo fa scaturire dalle profondità di ogni persona. Il prete ancora è come fuochista dell’assoluto, che aiuta a mantenere accesa la scintilla di infinito che c’è in ogni persona. Il prete è telaio che con pazienza aiuta a ritessere gli strappi tra le persone. Certo l’uomo secolarizzato di oggi, visto come disincantato, autosufficiente, orizzontale e immanente, più che aperto e trascendente, schermato da ogni intervento che lo chiama a responsabilità, deve diventare adulto nello scavarsi una maturità che almeno sia dare inizio a una vita degna e far durare ciò che ha iniziato. (Chiara Giaccardi)

La sua maturità nel rapporto con Dio, nel campo intrigante della fede sta nell’amore, nella consapevolezza di essere amato per primo da Dio, amato fino alla croce e nello stesso tempo proprio per questo capace di amare nel tempo, a partire dalle sue infinite e insistite pulsioni dell’eros, e decidersi ad amare secondo un per sempre. Qui una persona diventa adulta nella novità del suo essere cristiano, perché rende possibile e sperimentabile nella vita quotidiana l’agape di Dio, la novità del fatto cristiano. Qui percepiamo uno dei concetti di maturità che cerchiamo: maturità in quell’esperienza fondante per il cristiano e per l’uomo che è l’amore. E il prete raggiunge la sua maturità, il suo essere adulto, nell’esprimere paternità, che è manifestare e  testimoniare la verità dell’amore di Dio e dell’uomo nella forma sponsale che ci è stata rivelata (Asolan).

2. Ma come si fa a raggiungere una  maturità di vita e di fede?

Due indicazioni ci offre la scrittura:

la statura di Cristo che ci dà la configurazione dell’uomo perfetto, che è l’uomo inserito in Cristo, redento dalla colpa. Gesù è la vera pienezza dell’umano, che si contempla nella mistica, nel fare esperienza di Dio nella profondità della nostra esistenza

diventare piccoli, perché riconosciamo che è impossibile a salvarci da soli, disponibili ad affidarci alle braccia del padre, ad accettare i limiti della vita esteriore e della vita dell’anima, oltre le gioie incompiute e le sofferenze che non hanno spiegazione. Diventare piccoli ci aiuta a coltivare i perché della vita, a crescere continuamente a vivere con povertà di mezzi, ma ricchezza di ideali (Sanna).

Essere adulti è avere unità di vita e soprattutto riferirsi a un centro che funge per noi da catalizzatore e unificatore di tutte le esperienze umane e di fede. Per un uomo e per un cristiano questa unità è assolutamente legata a credere che la vita non è un affastellamento di idee o di attività, ma la risposta a una chiamata di Dio alla vita e alla fede. Da qui nasce la responsabilità, che diventa corresponsabilità, che si tiene assieme tutte le stagioni dell’esistere e le azioni del crescere, del maturare e del credere (Miano).

3. Rendere ragione della propria vita bella e felice e della propria fede  forte e comunicativa

Occorre avere dentro e operanti i capisaldi della nostra fede che sono:

la  storia vera di un passaggio dal buio all’alba, dal buio della morte ignominiosa di Gesù, di un amore fino all’ultima goccia dentro le braccia del Padre e l’alba della sua risurrezione a cui crediamo nel più profondo del nostro esistere;

L’esperienza quotidiana di una fraternità sperimentabile e confortatrice che diventa strutturale per la persona e per le relazioni intense. L’ecclesialità è intrinseca alla fede;

L’amore responsabile e corresponsabile alla giustizia e alla uguaglianza;

La dignità di un rapporto tra scienza e fede paritario, su piani distinti e dialoganti;

L’impegno a farsi continuamente la domanda delle domande: la questione del male (Repole).

Ma la nostra fede non è forte, granitica, altamente comunicativa. Deve essere vissuta sotto le sferzate di Gesù ai suoi apostoli, visti come gente di poca fede e sotto atteggiamenti progettuali di approfondimento e annuncio come ha fatto Gesù. Una fede che è fidarsi di Dio, che è salvezza in ogni disperazione, tenere e aiutare a tenere lo sguardo fisso su Gesù, accompagnata da preghiera insistente e che nasce da un cuore aperto al dono sempre (Sigalini).

Da qui nasce tutto il lavoro formativo sia su di noi che per coloro che ci sono affidati tramite l’associazione che favorisce la ricerca di unità nella vita a partire dall’esperienza concreta e dalla visione di fede. E’ unità tra vita di famiglia o progetto di famiglia e esperienza credente e di impegno pastorale. E’ unità tra vita civile di responsabilità e vita professionale illuminata dalla fede, assieme a una appartenenza vocazionale alla associazione per i laici. Per i presbiteri è anche unità tra impegno in parrocchia o in qualche sezione della pastorale diocesana  e  servizio formativo ed ecclesiale alla associazione.

A noi presbiteri compete anche un impegno per aiutare i confratelli a far fiorire nella chiesa vocazioni laicali di corresponsabilità e di santità. L’AC ci dà la possibilità di lavorare per la santità dei fedeli laici, di promuovere l’unità, la freschezza e la bellezza della chiesa, di far crescere vocazioni alla missione in ogni professione e campo di vita sia istituzionale che personale.

Siamo grati a Dio e alla associazione per questo cammino che ci viene offerto di servizio presbiterale in comunione con il nostro vescovo e con l’insegnamento del Santo Padre.

Roma, 24 gennaio 2013

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ZENIT Staff

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