Lanciato un libro di Asia Bibi in Portogallo

Una condanna a morte per blasfemia raccontata in prima persona

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LISBONA, lunedì, 12 settembre 2011 (ZENIT.org).- La cristiana pakistana Asia Bibi ha scritto, in collaborazione con una giornalista, un libro sulla sua storia, segnata dalla condanna a morte per l’intolleranza religiosa in Pakistan.

La coautrice, la giornalista francese Anne-Isabelle Tollet, ha presentato “Blasfemia. Condannata a morte per un bicchier d’acqua” mercoledì a Lisbona, ha reso noto l’associazione Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), che collabora all’edizione.

Si tratta di “un racconto impressionante di questa pakistana che attende da due anni l’ordine di impiccagione semplicemente per aver osato condividere un bicchier d’acqua con altre donne”, sottolinea un comunicato di ACS.

La sua storia ha acquisito una dimensione planetaria, suscitando un ampio movimento di compassione e preghiera e portando anche Papa Benedetto XVI a chiedere la sua liberazione. In conseguenza di tutto ciò, si è ottenuto il rinvio della sua esecuzione.

Due delle voci che si sono azzardate a difendere Asia Bibi in Pakistan, quelle del governatore del Punjab Salman Taseer e del Ministro per le Minoranze Shahbaz Bhatti, sono state messe a tacere con un brutale assassinio.

Collaborando all’edizione di questo libro, ACS cerca di continuare a mobilitare l’opinione pubblica a favore della liberazione di Asia Bibi e della libertà religiosa in generale.

L’organizzazione anima anche un gruppo su Facebook per Asia Bibi che riunisce già circa 1.800 persone. L’iniziativa si inserisce in un’azione a favore dei cristiani perseguitati per la loro fede, per raccogliere aiuti materiali per queste comunità e pregare per loro.

Ordine di arresto

Dall’altro lato, il Tribunale Speciale per la Lotta contro il Terrorismo a Rawalpindi ha diffuso un ordine di arresto contro due uomini sospettati di essere gli autori dell’omicidio del Ministro cristiano Shahbaz Bhatti, assassinato il 2 marzo scorso a Islamabad.

Secondo fonti della polizia, i due sospetti – Ziaur Rehman e Malik Abid – sono fuggiti a Dubai, e si chiederà l’aiuto dell’Interpol per catturarli ed estradarli.

“E’ un passo nella giusta direzione. Accogliamo con soddisfazione questa notizia e speriamo che i veri colpevoli siano catturati e puniti secondo la legge”, ha detto all’agenzia vaticana Fides monsignor Lawrence Saldanha, Arcivescovo emerito di Lahore.

“L’arresto e il processo dei responsabili sarebbero un segno importante per la tutela delle minoranze e dei cristiani nel Paese. Siamo ancora molto colpiti e addolorati per morte del nostro leader Bhatti”.
“D’altro canto”, ha continuato il presule, “ci accorgiamo che i processi, quando intervengono la politica, le pressioni di personaggi influenti, i condizionamenti di gruppi islamici integralisti, spesso si concludono con un nulla di fatto”.

“Por otra parte -continuó el arzobispo-, nos damos cuenta de que los procesos, al participar en la política, las presiones de personas influyentes, las influencias de los grupos fundamentalistas islámicos, a menudo terminan en un punto muerto”.

Impunità

La debolezza del Pakistan nella ricerca dei terroristi è stata sottolineata dal recente rapporto del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti “Country Report on Terrorism”, pubblicato ad agosto.

Il documento indica che il Pakistan non è capace di processare i sospettati di terrorismo, visto che tre accusati su quattro sono stati assolti e molti casi continuano a non essere risolti.

Il rapporto critica anche l’incapacità di Islamabad di mettere al margine della legge i gruppi terroristi militanti (spesso islamisti), che sfuggono ai divieti cambiando il proprio nome.

Secondo altri analisti del Pentagono, attualmente il “centro nevralgico” della rete terroristica più nota al mondo, Al Qaeda, è ancora in Pakistan, anche se l’omicidio di Osama bin Laden e del numero 2, Atiyah Abd al-Rahman, hanno assestato un duro colpo all’organizzazione.

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ZENIT Staff

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