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Laici e Chiesa: a che punto siamo?

Una riflessione per superare lo spiritualismo intimista e l’attivismo sociale fine a sé stesso

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La confusione, spesso intenta ad attingere la sua linfa dai momenti più critici dell’uomo, è figlia del male e si muove con accuratezza per sottrare spazi di luce e d’amore alla vita umana di ogni giorno. Non è certo una novità, ma ogni credente ha il sacro dovere di ridurre i suoi tentacoli e farla indietreggiare fino a dove sia possibile. Il fedele laico perciò deve fortificare la sua spiritualità, scudo potente nel quadro delle attività sociali nelle quali svolge la sua azione quotidiana. Come sempre le indicazioni provengono dal Vangelo.
È proprio per questo che il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa diventa strumento essenziale di verifica, decifrando la realtà in ogni suo campo e contestualizzando la Parola di Cristo. Al punto 545 si legge: “I fedeli laici sono chiamati a coltivare un’autentica spiritualità laicale, che li rigeneri come uomini e donne nuovi, immersi nel mistero di Dio e inseriti nella società, santi e santificatori”.
Le difficoltà attuali in campo economico, sociale e politico, in ogni parte del mondo, richiedono con impellenza una partecipazione umana più capace di leggere la storia alla luce del mistero di Dio. Donne e uomini immersi in una spiritualità viva, in prima linea nell’impegno di edificare un mondo secondo lo spirito di Gesù. È questo lo strumento giusto per guardare oltre ogni cosa, senza distaccarsi dai problemi reali e facendo lievitare un’attenzione senza limiti per il Signore. In questa solida cornice interiore non bisogna mai disinteressarsi dei fratelli più deboli, ai quali va offerto lo stesso sguardo che riserva loro il Creatore.
La DSC invita i cristiani a non tradurre la propria spiritualità in una sorte di spiritualismo intimista o in un attivismo sociale fine a sa stesso. Viene in proposito sollecitato una sintesi vitale che elargisca piena unità e speranza all’esistenza, spesso inconciliabile e ridotta a pezzettini.
Solo una autentica spiritualità laicale è in grado di contribuire alla “santificazione del mondo”, quale enzima evangelico, per poi far scorgere agli altri la presenza di Cristo nella storia e nella propria vita. Il lavoro da compiere è importante e non facile, ma chi porta dentro di sé il gusto reale del vangelo può offrire il meglio del proprio modo di essere, partecipando di fatto all’azione diretta dell’Altissimo sulla terra.
Bisogna crederci e non cadere nel relativismo vigente, da sempre attento a chiudere i ponti che legano lo spirito di Dio alle azioni degli uomini, senza scorciatoie o “costruzioni abusive” dello spirito, predisponendo ogni individuo ad una attenta formazione personale. Chiaro il punto 546: “I fedeli laici devono fortificare la loro vita spirituale e morale, maturando le competenze richieste per lo svolgimento dei propri doveri sociali”. Approfondire le proprie motivazioni interiori ed acquisire uno stile adeguato, in relazione al proprio ruolo sociale o politico, diventa così un percorso di istruzione stabile e attivo.
Un impegno chiaro e diretto ad armonizzare le tante articolazioni della vita con la luce essenziale della fede. È fuori da ogni verità tenere in piedi due vite parallele, come spesso succede nella nostra realtà sociale. Non può la “vita spirituale” esistere, con i suoi valori, particolarità e occorrenze, senza fondersi con la “vita secolare”, fatta di famiglia, lavoro, politica, rapporti sociali, relazioni culturali, ecc.
Il tutto, per il credente che deve incidere sul benessere della società in modo equo e responsabile, deve comprendere una autentica attinenza alla Parola; la rievocazione liturgica del Mistero cristiano; la devozione personale; un’esperienza ecclesiale credibile, sempre arricchita e guidata dalla presenza di un direttore spirituale; il persistente impegno alla formazione; l’esercizio delle virtù sociali. Non a caso nel Compendio questo passaggio fondamentale venga ben evidenziato: “La sintesi tra fede e vita richiede un cammino scandito con sapienza dagli elementi qualificanti dell’itinerario cristiano”.
Ci troviamo dinnanzi ad una nota pregiata che la società di oggi fa fatica ad utilizzare. Oro prezioso per l’azione positiva dell’uomo che cerca, in altre mille formule umane, il senso alto delle sue attese, ignorando la verità eterna del vangelo, vera novità del mondo che cambia. Basta leggere il punto 547, sempre del Compendio, per ritrovare l’importanza della guida cristiana nel superare il disordine sociale a cui siamo esposti. Nessun devoto laico può avallare con il suo prudente comportamento qualsiasi tipo di negligenza, pena la sconfessione della sua presenza di fede.
Il messaggio è inequivocabile: “Il fedele laico deve agire secondo le esigenze dettate dalla prudenza: è questa la virtù che dispone a discernere in ogni circostanza il vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per compierlo. Grazie ad essa si applicano correttamente i principi morali ai casi particolari”. Oggi il valore della prudenza si è molto affievolito. La cautela viene intesa come una sconfitta o un gesto che denota la mancanza di intraprendenza. Un bavaglio alla velocità dei nostri tempi. Niente di più sbagliato! È proprio la precarietà sociale, politica ed economica che ci circonda a trovare nella prudenza il suo alimento principale, quando si affida alle mani della saggezza.
La DSC ci ricorda che essa si articola in tre precisi momenti: chiarifica e valuta una particolare situazione; ispira dal di dentro alla decisione da prendere; dona un giusto impulso all’azione da compiere. I passaggi che la contraddistinguono sono necessari quando si vuole agire per il bene comune, in qualunque campo si voglia apportare un proprio risoluto contributo. Quale infatti operato, se si vuole raggiungere un risultato vincente per sé e per gli altri, può fare a meno del momento della riflessione e consultazione? Oppure del tempo valutativo dell’analisi e del giudizio? O comunque della fase del discernimento finale tra le azioni da compere?
Si tratta di passaggi essenziali all’interno di un oculato comportamento umano, sunto naturale delle qualità che sovrintendono ad ogni forma di equilibrata accortezza. La prudenza, si legge ancora nel Compendio, non è altro che “una virtù esigente l’esercizio maturo del pensiero e della responsabilità, nell’obiettiva conoscenza della situazione e nella retta volontà che guida alla decisione”. Una compagna obbligatoria se si decide, per coerenza cristiana, di attuare quella sintesi tra “vita spirituale e secolare”, in grado di reprimere qualunque forma di confusione sociale che rallenta il cammino, nella Parola, dell’uomo di oggi.

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Egidio Chiarella

Egidio Chiarella, pubblicista-giornalista, ha fatto parte dell'Ufficio Legislativo e rapporti con il Parlamento del Ministero dell'Istruzione, a Roma. E’ stato docente di ruolo di Lettere presso vari istituti secondari di I e II grado a Lamezia Terme (Calabria). Dal 1999 al 2010 è stato anche Consigliere della Regione Calabria. Ha conseguito la laurea in Materie Letterarie con una tesi sulla Storia delle Tradizioni popolari presso l’Università degli Studi di Messina (Sicilia). E’ autore del romanzo "La nuova primavera dei giovani" e del saggio “Sui Sentieri del vecchio Gesù”, nato su ZENIT e base ideale per incontri e dibattiti in ambienti laici e religiosi. L'ultimo suo lavoro editoriale si intitola "Luci di verità In rete" Editrice Tau - Analisi di tweet sapienziali del teologo mons. Costantino Di Bruno. Conduce su Tele Padre Pio la rubrica culturale - religiosa "Troppa terra e poco cielo".

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