La vocazione del sacerdote, secondo il Cardinal O'Malley

L’Arcivescovo di Boston al ritiro sacerdotale internazionale di Ars

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di Anita S. Bourdin

ARS, martedì, 13 ottobre 2009 (ZENIT.org).- Come San Girolamo, il sacerdote è chiamato a togliere la spina anche dalla zampa di un leone, ha osservato il Cardinale Sean O’Malley, ofm cap, Arcivescovo di Boston, nell’incontro sacerdotale internazionale di Ars all’inizio di ottobre.

Per Girolamo, ha ricordato il Cardinale, “ignorare le Scritture è ignorare Cristo”, per cui “non parla dei nostri problemi esegetici, ma di scoprire Dio nella Parola viva”. Citando una riflessione di padre François Marie Léthel, ocd, menzionato il giorno prima dal Cardinale Schönborn, ha ricordato: “I santi sono veri teologi”.

Ha quindi proposto di trarre questa conseguenza per la vita del sacerdote: “Se siamo icone del Buon Pastore, dobbiamo conoscere le sue parole perché diventino le nostre”.

Il Cardinale O’Malley ha commentato la prima lettura della Messa, del libro di Neemia: “Il re vide la tristezza di Neemia e gli chiese di aprire il suo cuore. Neemia disse che il suo cuore era spezzato perché la Città Santa, Gerusalemme, e il Tempio erano in rovina”.

“Anche noi vediamo i problemi della secolarizzazione, gli scandali sessuali, la Chiesa disprezzata, abbandonata da tante persone – ha commentato l’Arcivescovo di Boston –. Ma il re ha accolto la richiesta di Neemia che gli ha chiesto: ‘Mandami in Giuda per ricostruire la città dei miei antenati’”.

Il salmo evoca anche l’esilio del Popolo “sulle rive dei fiumi di Babilonia”; sembra che l’esilio ricordi la “situazione della Chiesa oggi, tra persone indifferenti o ostili, scettiche, che resistono al fatto che una verità possa interferire con la loro libertà, con l’autonomia che rivendicano”.

Girolamo, ha sottolineato il Cardinale O’Malley, descrive i cristiani del primo secolo di cui la gente dice “abitano vicino a noi, tra noi, ma non abortiscono e rispettano il matrimonio, questo è raro!”. Per il Cardinale, questa lettera “avrebbe potuto essere scritta la settimana scorsa”.

La “Leggenda d’oro” di Jacopo da Varazze, ha detto il porporato, evoca la scena in cui Girolamo è circondato da un gruppo di monaci. Quando vengono attaccati da un leone, tutti fuggono, ma Girolamo rimane: vede che il leone zoppica e va a togliergli la spina dalla zampa.

E trae questa lezione: “Dobbiamo comportarci così: Cristo è il nostro medico, il nostro Salvatore. Dobbiamo essere convinti e convincere gli altri, e avere la grazia che i nostri nemici diventino nostri fratelli”.

A questo proposito, ha citato la testimonianza del Cardinale vietnamita François-Xavier Nguyên Van Thuân, per tredici anni prigioniero nelle carceri comuniste del suo Paese, che convertì i suoi carcerieri per l’autenticità della sua vita evangelica.

I sacerdoti, ha aggiunto, sono “araldi di Cristo, chiamati a ricostruire la città santa”, a immagine di San Francesco d’Assisi al quale Gesù disse a San Damiano: “Ripara la mia casa”.

Anche gli apostoli, però, hanno abbandonato Gesù nella sua Passione, e Pietro, “il pomeriggio della sua ordinazione, taglia l’orecchio di Malco, vede i soldati, si mette in salvo… Cerca di fare ciò che tutti noi abbiamo fatto qualche volta, seguire Gesù, ma a una distanza di sicurezza. Ad ogni modo, qualcuno lo riconosce, non un soldato armato di spada ma una serva – che lo trattò con sdegno –, ed egli rinnega il suo Maestro”.

Per questo, ha proseguito il Cardinale, Cristo sulle rive del lago dopo la risurrezione gli domanda tre volte: “Mi ami?”. Gli autori spirituali evocano questa seconda chiamata, la “seconda opportunità”, questa nuova possibilità dopo i nostri tentennamenti, la nostra ritirata. Noi, come sacerdoti, possiamo ricevere questa grazia di una nuova chiamata… Come Santa Teresa di Gesù, che ha ricevuto una seconda conversione davanti all’immagine dell’Ecce Homo, ha spiegato.

Il Cardinale O’Malley ha quindi ricordato il giovane del Vangelo che disse a Gesù che lo avrebbe seguito ovunque andasse, al quale Cristo rispose: “le volpi hanno le loro tane, ma il Figlio dell’Uomo non ha dove posare il capo”.

“I primi discepoli domandano: ‘Dove abiti?’, e si sentono rispondere ‘Venite e vedrete’, e scoprono che è un Maestro senza casa. ‘E’ nato in una stalla ed è stato sepolto nella tomba di un altro’”, ha osservato il Cardinale.

Ciò richiama al celibato sacerdotale, ha proseguito: “il nostro celibato è una partecipazione al fatto che non c’è casa per l’amico dello Sposo e per gli altri discepoli. Il celibato senza amore non ha senso, è anche mortale. Deve invece essere il segno della gioia della fede nello spirito, nel Cristo risorto: il sacerdote non ha bisogno di sposarsi per avere figli perché è chiamato a vivere la vita eterna”.

“Il Santo Curato d’Ars ci aiuti a trovare il nostro cammino qui sulla terra, la nostra via in una vita interiore rinnovata di amicizia profonda con Cristo e con i nostri confratelli sacerdoti”, ha concluso il Cardinale O’Malley.

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ZENIT Staff

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