La vittoria di Orbán in Ungheria: un monito per l'Europa post-moderna

Fidesz, il partito di maggioranza ha ottenuto il 46% dei voti, a testimonianza del forte consenso popolare verso le politiche economiche del governo uscente e la sua adesione ai valori cristiani

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La competizione elettorale svoltasi in Ungheria il 6 aprile 2014 ha confermato la rielezione del premier uscente, il conservatore Viktor Orbán. Salvo improbabili smentite, risulta che le consultazioni si siano svolte in assoluta regolarità, sancendo con il suffragio democratico la vittoria del suo partito Fidesz, che a spoglio quasi ultimato ha conquistato il 46% dei voti. L’opposizione, riunita in una coalizione di socialisti, verdi e liberali, si è fermata intorno al 25%, mentre i consensi al partito di estrema destra Jobbik hanno raggiunto circa il 20%.

La figura di Viktor Orbán è stata aspramente criticata dall’Unione Europea per il suo programma di «nazionalizzazione» economica, nonché per la riforma costituzionale entrata in vigore nel 2012. La nuova Costituzione ungherese rivendica con orgoglio «il ruolo del cristianesimo nella preservazione della Nazione», pur rispettando «le diverse tradizioni religiose del Paese»; afferma di tutelare la vita umana «fin dal concepimento», l’istituto del matrimonio «quale unione volontaria di vita tra l’uomo e la donna, nonché la famiglia come base di sopravvivenza della Nazione». Significativo inoltre il richiamo al battesimo del popolo quale atto d’ingresso «nell’Europa cristiana».

La storia millenaria dell’Ungheria è d’altronde uno dei migliori esempi di come la tradizione cristiana in Europa abbia costituito il lievito sovranazionale in cui sono fermentate le diverse identità etniche locali. I Magiari, fiero popolo guerriero di ceppo ugrico, nel IX secolo raggiunsero dalle steppe d’Oriente l’antica provincia romana di Pannonia. Alla dinastia degli Árpád apparteneva il re Stefano I (969-1038), che introdusse la fede cristiana e fu un modello di equilibrio, alta cultura e buona amministrazione. Come per le popolazioni germaniche, scandinave e slave che formano il substrato di altre nazioni europee, anche per i Magiari l’acclimatamento in Europa coincise quindi con la conversione religiosa. La Corona di Santo Stefano, per dieci secoli emblema della monarchia ungherese, è custodita oggi nel Parlamento di Budapest come simbolo nazionale (1).

Si direbbe che la maggioranza degli Ungheresi contemporanei si riconosca nei valori della Costituzione e della propria storia, visti i risultati elettorali su cui hanno certamente influito le azioni concrete dell’esecutivo conservatore. Dal 2013 a oggi, la disoccupazione in Ungheria è scesa dall’11% all’8%. Il debito pubblico sembra sotto controllo, come dimostra il rapporto deficit/PIL rientrato sotto la fatidica soglia del 3%. Agli indicatori di crescita economica corrisponde un abbassamento dei prezzi al consumo, con il tasso d’inflazione che a settembre 2013 era sceso all’1,3%. Quali politiche si celano dietro a questi parametri, che documentano traguardi economici definiti come «innegabili successi» persino da un quotidiano anticonservatore come Repubblica? (2).

Da un lato, il governo ungherese ha imposto pesanti tasse sui profitti delle banche e delle società finanziarie straniere, entrando in rotta di collisione con UE e Fondo Monetario Internazionale, ma favorendo le imprese nazionali in base al giusto principio secondo cui gli incentivi alla libera iniziativa privata devono privilegiare i soggetti economici residenti sul territorio che operano nell’economia reale. Dall’altro lato, Budapest ha attratto una discreta quota di investimenti produttivi d’eccellenza dall’estero, in particolar modo dalla Germania, ma anche dal Giappone e dalla Corea. Gli ottimi rapporti con la Federazione Russa (testimoniati anche dal prestito di 10 miliardi che Mosca ha concesso per i lavori alla centrale nucleare di Paks, nell’Ungheria centrale), hanno accresciuto un clima imprenditoriale di fiducia, dimostrando inoltre la funzione geopolitica di ponte verso la Russia cui è chiamata tutta l’Europa Orientale. Alcune popolari misure interne, come il taglio del 20% sulla bolletta dell’elettricità per le famiglie, hanno incentivato il potere d’acquisto contribuendo a generare consenso. Sia chiaro: l’Ungheria non è certo il faro del mondo contemporaneo, persistono problemi legati a povertà, tensioni etniche, sperequazioni nelle pari opportunità. Gli oggettivi miglioramenti, testimoniati dalle statistiche e dallo stesso risultato elettorale, meritano tuttavia di essere compresi e analizzati.

Molti osservatori hanno rilevato con preoccupazione la crescita del partito d’ispirazione neonazista Jobbik. In realtà, già all’epoca dell’inefficiente esecutivo socialista (2006-2010) i suoi consensi erano molto alti. Anche per questo la vittoria dei conservatori costituisce un monito per l’Europa: il premier si è sempre distanziato da Jobbik, giudicando aberranti le sue posizioni ed escludendo qualsiasi forma di alleanza (3). In luogo di dipingere Orbán come un despota autoritario, persino i suoi oppositori potrebbero onestamente riconoscere che proprio la sua presenza ha arginato l’estremismo xenofobo in Ungheria e che, in ogni caso, i valori e le politiche del suo esecutivo possono certo essere criticati da un punto di vista progressista, ma non delegittimati come estranei al confronto civile. Se davvero gli obiettivi dell’Europa odierna sono quelli di frenare l’ondata di estremismo, riconquistare la fiducia dei cittadini e sostenere la ripresa, la storia recente e il voto ungherese dimostrano che non è saggio affidarsi né alle sinistre giacobine stile Zapatero-Hollande-Tsipras, né a un liberalismo succube di interessi privati e altrettanto rozzo e inadeguato sul piano culturale. Nonostante la secolarizzazione e i problemi delle società post-moderne, una larga fetta di Europei chiede alla politica soprattutto il sostegno concreto alle classi medie impoverite, alla famiglia naturale, ai valori religiosi e comunitari, al principio di sussidiarietà.

Già dissidente anticomunista, vicino negli anni Novanta al liberalismo anglosassone, il premier ungherese ha un percorso di difficile valutazione. Ufficialmente di confessione calvinista, secondo diverse fonti negli ultimi anni Orbán si è avvicinato al Cattolicesimo, partecipando con frequenza alla Messa domenicale e visitando per quattro volte Benedetto XVI a Castel Gandolfo. Tuttavia, alcuni commentatori sostengono che le sue idee in campo etico-religioso siano soltanto strumentali (4). Ciò non si può escludere, ma un politico si giudica dagli atti pubblici, che nel caso specifico non sembrano palesare, almeno sinora, insanabili contraddizioni tra princìpi e prassi.

Il 15 aprile 2013, a Bilbao, il premier ungherese ha tenuto un’allocuzione dal titolo La risposta cristiana alle sfide poste all’Europa, di un tale spessore intellettuale che meriterebbe di essere letta per intero (5). In un discorso che forse avrebbero sottoscritto politici del calibro di Giorgio La Pira, Orbán proponeva una chiara distinzione tra ordine temporale e spirituale in cui fosse però riconosciuta alla tradizione cristiana – la più solida base storica di unità tra le nazioni europee – la funzione di rammentare i princìpi generali su cui orientare il bonum commune rispettando la libertà personale. Il suo nuovo mandato sarà un banco di prova decisivo: per adesso, il voto ungherese suggerisce che la tradizione non solo non si oppone allo sviluppo, ma ne costituisce valido presupposto. Forse, anche nell’Europa post-moderna, chi pensa ancora che i bambini nascano sempre e solo da un padre e una madre non è per forza «dal lato sbagliato della storia».

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Dario Citati è Direttore del Programma di ricerca «Eurasia» dell’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG) [www.istituto-geopolitica.eu] e redattore della rivista Geopolitica [www.geopolitica-rivista.org].

NOTE

1) Per approfondire, si veda La civiltà ungherese e il cristianesimo, a cura di I. Monok, P. Sárközy,
Budapest-Szeged 1998; A. Papo, G. Nemeth Papo,
Storia e cultura dell’Ungheria. Dalla preistoria del bacino carpato-danubiano all’Ungheria dei giorni nostri, Soveria Mannelli 2000. Del re Santo Stefano I d’Ungheria si possono leggere le Esortazioni al figlio. Leggi e decreti, tr. it., Roma 2001

2) A. Tarquini, Ungheria, Orban stravince, http://www.repubblica.it/esteri/2014/04/06/news/ungheria_dagli_exit-poll_netta_vittoria_di_orban_la_sinistra_tiene_sui_neonazisti-82909948/

3) A. Tarquini, Ungheria, il consigliere di Orban: “Mai un’alleanza con l’ultradestra”, http://www.repubblica.it/esteri/2014/04/06/news/ungheria_spin_doctor_orban-82876400/

4) J. Stolz, Viktor Orban, apôtre de la Hongrie, http://www.lemonde.fr/europe/article/2014/04/03/viktor-orban-apotre-de-la-hongrie_4395051_3214.html

5) V. Orbán, A Christian Response to the Challenges Facing Europe, http://static.szajer.fidesz-eu.hu/media/1/4/8/3/1483.pdf

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Dario Citati

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