La vita consacrata che sveglia il mondo

Pur con i loro limiti, i consacrati sono un esempio a cui guardare per imboccare una strada diversa dai modelli attualmente imperanti

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«Mi attendo non che teniate vive delle utopie, ma che sappiate creare altri luoghi dove si viva la logica evangelica del dono, della fraternità, dell’accoglienza della diversità, dell’amore reciproco. Mi attendo che svegliate il mondo».

Nella lettera che ha rivolto loro in occasione del 50° anniversario della Lumen gentium e dell’inizio dell’anno della vita consacrata, di cui domani si celebrerà la giornata mondiale, Papa Francesco ha ridisegnato i compiti di quegli uomini e donne, chierici o laici – e solo in Italia sono più di centomila – che con una libera scelta di vita si sono consacrati in modo speciale a Dio attraverso la professione, mediante voto pubblico, dei consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza.

V’è, in ciò, un significato particolare: non è certo una moda, oggi, il sacrificare l’esistenza o almeno perdere un piccolo vantaggio per una causa ideale. Rinuncia è parola ormai cancellata dal vocabolario pedagogico come da quello ecclesiale e spirituale: si vuole sempre tutto e senza limiti perché – si sostiene – non si deve ridimensionare la personalità. Il risultato è un egoismo bello e tondo.

Pur con i loro limiti, le umane debolezze e gli errori – a volte gravi – che a nessuno l’esistenza risparmia, i consacrati sono un esempio al quale guardare per imboccare una strada diversa dai modelli anche culturali attualmente imperanti: per vocazione e missione essi sono chiamati a frequentare – come anche il Santo Padre ha ricordato – «le periferie e le frontiere dell’esistenza», dove si consumano i drammi di un’umanità smarrita e ferita. Rovesciando criteri e parametri che sembrano insuperabili nel loro dividere gli uomini in fortunati e sfortunati, degni di vivere e condannati a soccombere, integrati ed esclusi, la vita consacrata mostra come la verità del potere sia il servizio, la verità del possesso sia la custodia e il dono, la verità del piacere sia la gratuità dell’amore. E sono proprio le persone consacrate, spesso, il volto di una Chiesa capace di prendersi cura e ridonare dignità a esistenze sfruttate e ammutolite, a relazioni congelate e spezzate, affinché la persona sia rimessa al posto d’onore riservatole da Cristo, povero, ubbidiente e casto.

Perché il loro insegnamento abbia efficacia, dovrà consistere soprattutto in una coerente testimonianza di vita, la vita buona del Vangelo. Ne consegue uno stile di vita diverso da quella che domina la scena del mondo in cui prevalgono l’orgoglio, la concupiscenza e tutto il corredo delle passioni che rendono schiavo l’uomo in nome di una non meglio identificata libertà. Nei consacrati deve potersi vedere Gesù povero, umile, obbediente, gratuito, accogliente, distaccato, felice. È questa la logica dell’amore puro e assoluto che è non di rado testimoniato da chi dona se stesso per l’altro, confermando la celebre frase di Gesù stesso: «Non c’è amore più grande di chi dona la vita agli altri per amore e solo per amore a Cristo».

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Fonte: La Gazzetta del Sud, domenica 1 febbraio 2015

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Vincenzo Bertolone

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