La vicenda umana e divina del santo falegname (Seconda parte)

L’Angelo che convinse San Giuseppe a sposare Maria

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di don Marcello Stanzione

ROMA, sabato, 24 dicembre 2011 (ZENIT.org) – Ma come l’Arcangelo convinse Giuseppe? Ascoltiamo ed ammiriamo con quale sapienza egli parla: Giuseppe, figlio di Davide – gli dice – non temere di prendere con te Maria, tua sposa“.

L’angelo menziona dapprima Davide, da cui il Messia doveva nascere; e così calma di colpo tutti i suoi timori, facendogli tornare alla mente, citando il nome di uno dei suoi antenati, la promessa che Dio aveva fatta a tutto il popolo giudeo. Non solo, ma spiega anche perché lo chiama “figlio di Davide”, con l’aggiungere le parole “non temere”. Dio, attraverso l’Angelo, parla con infinita dolcezza: il “non temere” sta ad indicare che Giuseppe temeva di offendere Dio tenendo presso di sé una potenziale adultera. L’Angelo, cioé, vuol provare, e lo prova a sufficienza, che egli viene da parte di Dio e, dopo aver pronunciato il nome della Vergine, aggiunge “tua sposa”, poiché questo titolo mai si sarebbe dato ad un’adultera. Il termine “sposa” sta, ovviamente, qui per “fidanzata”.

Prendere Maria“, non indica altro che Giuseppe continui a tenere Maria nella sua casa, dicendogli in sostanza che é Dio che gliela dona, non già i suoi genitori. Egli gliela dona non per i soliti scopi del matrimonio, ma soltanto perché dimori con lui, unendola a Giuseppe per mezzo dell’Angelo stesso che gli parla. Ella èé ora affidata a Giuseppe, come più tardi, sotto la Croce, Cristo La affiderà al suo Discepolo prediletto, figura dell’intera umanità.

Darà alla luce un figlio – continua Gabriele – e tu lo chiamerai Gesù” (Mt. 1, 21).

Infatti, gli spiega l’Arcangelo, sebbene questo fanciullo sia stato concepito dallo Spirito Santo, non credere per questo di essere dispensato dal prendertene cura e dal servirlo in ogni cosa. Sebbene tu sia estraneo al concepimento e sebbene Maria sia rimasta perfettamente Vergine, tuttavia io ti do il compito di un padre: il compito, cioè, di dare il nome al neonato. Sarai tu, infatti, che gli imporrai il nome e, sebbene egli non sia tuo figlio, tu gli dimostrerai l’affetto, proprio di un padre.

Per questa ragione – conclude l’Arcangelo Gabriele – ti permetto di dargli il nome, per renderti subito familiare al Bambino”.

Per evitare che ciò gli faccia credere che egli sia veramente il padre del bambino che sta per nascere, ascoltiamo con quanta precisione Gabriele gli parla. “Partorirà”, egli dice; non dice: partorirà da te, ma dice genericamente che partorirà, in quanto la Vergine non ha partorito Gesù Cristo con Giuseppe e per Giuseppe, ma per tutti gli uomini.

Non dimentichiamo, infine, che nella descrizione della nascita di Gesù, si legge: “promessa ad un uomo, che si chiamava Giuseppe“. Lo chiama dunque “uomo”, ossia vir, per dire che egli è, non per essere marito, ma “uomo di virtù”, nonché uomo di lei.

Egli doveva essere il “suo uomo”, perché era necessario che tale egli fosse reputato; così come anche fu chiamato padre del salvatore, perché fosse creduto che lo fosse, ed infatti anche l’evangelista dice: “Gesù aveva quasi trent’anni ed era creduto figlio di Giuseppe” (Lc. 3, 23). Dunque, egli non era né marito della madre né padre del figlio, sebbene per una certa e necessaria disposizione, per un po’ di tempo, tale fosse detto e creduto.

Questi è San Giuseppe, il Testimone cosciente della mantenuta Promessa, l’uomo al quale il Signore riconobbe poter affidare i suoi più grandi tesori, l’arcano segretissimo del suo cuore, ed a cui confidò i segreti della sua sapienza e non vuole che fosse all’oscuro del suo Mistero, mistero che a nessun principe o profeta fu mai rivelato; l’uomo al quale fu dato ciò che questi cercarono di vedere e non videro, di sentire e non sentirono. Solo a lui fu dato non solo di vederlo e di sentirlo, ma di portarlo in braccio, di allevarlo, di stringerlo al petto, di baciarlo, nutrirlo e vegliarlo.

La seconda volta l’angelo si presenta a Giuseppe per salvare la vita del bambino seriamente minacciata. I due santi sposi non erano in grado di sfuggire da soli alla furia di erode; anzi non erano neppure a conoscenza della terribile minaccia. Ma l’angelo si precipita da Giuseppe e lo chiama in sogno: “Sorgi! Prendi il bambino e sua madre e fuggi in Egitto! Rimani colà sino al mio avviso! Erode infatti cerca il bambino per ucciderlo”. Egli si alzò che era ancora notte, prese il bambino e sua madre e se ne partì per l’Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode”.

Maria, “la donna fuggì con il bambino nel deserto”, guidata dall’affetto e dalla prudenza di Giuseppe, tutti e tre protetti “ dalle ali della grande aquila”. La fuga della sacra famiglia non sarà stata né comoda né facile. Anch’essa ha sofferto tutta la miseria dei profughi in lotta con la sabbia e col calore del deserto. Ciononostante l’angelo avrà fatto conoscere ai fuggitivi i pericoli, la meta e il tempo. Lo spirito celeste avrà dato loro la forza per cui nel loro animo non albergavano né timori esagerati né nervosismo.

L’ammonimento che l’angelo porta la terza volta, è assai più piacevole: “Morto Erode, ecco che l’angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe, che si trovava in Egitto, e disse: “Alzati! Prendi il bambino con sua madre e va nella terra d’Israele! Poiché sono morti coloro che volevano la vita del bambino. Egli si levò, prese il bambino con la madre e se ne partì per la terra d’Israele”. Gesù doveva rimanere in Egitto non più a lungo di quanto fosse necessario per la sua sicurezza. La scarsa conoscenza della bibbia, ha portato qualcuno dei circoli esoterici ad affermare che egli nei parecchi anni di soggiorno in Egitto, avesse imparato l’antica magia dei faraoni e l’abbia poi utilizzata per i suoi miracoli. In realtà egli si è fermato in Egitto non più di due anni e per giunta nella prima fanciullezza. Gesù doveva crescere nella terra d’ Israele, nella cornice geografica e spirituale della rivelazione dell’Antico Testamento: quale straniero venuto dall’Egitto non avrebbe potuto realizzare la sua missione.

E’ stato un angelo a provocare questa deviazione nella sua vita. L’ultima volta che l’angelo ammonitore appare è per vincere l’indecisione di Giuseppe sulla scelta della località del rimpatrio. Anche la Palestina ha i suoi pericoli. Erode era morto ma il figlio Archelao, avrebbe lo stesso soffocato nel sangue un neonato Re dei Giudei. Il vangelo afferma: “Allorché Giuseppe udì che Archelao era al posto di suo padre erode, ebbe timore di andarvi. Ricevette informazioni in sogno e passò nel territorio della Galilea, dove si stabilì in una città di nome Nazareth”. Nella Galilea, fuori dalle grandi strade di comunicazione, Gesù potè maturare nel silenzio e prepararsi alla sua missione divina. L’angelo ammonitore ha terminato il suo compito. A Nazareth la giovane vita del Messia è sufficientemente protetta da Maria e da Giuseppe.

Dal vangelo non conosciamo più alcun intervento angelico fino alla tentazione. Tuttavia è lecito pensare che anche in quel periodo un angelo speciale avrà steso le sue ali sul fanciullo. Quando Gesù più tardi si ricorderà in modo particolare degli angeli dei bambini (Mt 18,10), vorrà probabilmente esprimere un sentimento di gratitudine verso l’angelo, che con tanta cura aveva vigilato sulla sua infanzia, cioè l’angelo ammonitore. E’ curioso che l’angelo sia apparso a Giuseppe tutte quattro le volte in sogno.

A Zaccaria, a Maria ed ai pastori, si è presentato in forma percettibile ai sensi esterni. Una apparizione visibile sembra più sicura e meno soggetta a illusioni: tanto più c
he sempre è collegata ad una illuminazione interiore. A Giuseppe invece è apparso solo in sogno: ciò era per lui sufficiente e onorevole allo stesso tempo.

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ZENIT Staff

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