La storia di Malala va al di là del Premio Sakharov

La cerimonia di premiazione della giovane pakistana si è svolta il 20 novembre a Strasburgo

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Il 20 novembre 2013 il Parlamento europeo ha premiato la sedicenne Malala Yousafzai della più alta riconoscenza dell’Unione europea nel campo dei diritti dell’Uomo. Il premio Sakharov per la libertà di pensiero è stato infatti assegnato a questa giovane ragazza pakistana in seguito alla decisione dei 4 maggiori gruppi politici dell’Assemblea di Strasburgo (PPE, S&D, ALDE, ECR). Questa riconoscenza, istituita nel 1988 in onore del dissidente sovietico Andrej Dmitrievič Sakharov, è molto prestigiosa, se si pensa che in precedenza ne sono state insignite personalità e organizzazioni che hanno segnato la storia, come Nelson Mandela (1988), le Nazioni Unite (2003), e Aung San Suu Kyi (premiata nel 1990, ma che ha causa della prigionia a ritirato il riconoscimento soltanto nell’ottobre scorso).

Ma la storia di Malala va ben al di là di questo premio. Come ha affermato su queste pagine Valentina Colombo, “la vita di Malala è un miracolo. E’ sopravvissuta, praticamente senza grandi conseguenze, a un attentato mortale (…) Era una bambina ferita, in bilico tra la vita e la morte, una bambina vittima della crudeltà di chi non vuole vedere la luce, di chi non ama il sorriso, di chi non prova tenerezza o amore”. Malala era stata infatti ferita mortalmente da uno sconosciuto, inviato dai talebani che volevano mettere fine alla vita di quella bambina che rivendicava con tanta forza il diritto all’educazione.

Ora quella bambina è oramai una ragazza cresciuta, considerata motivo di incoraggiamento per tutte le donne alle quali sono negati lo studio e l’educazione e che sta viaggiando nel mondo intero per raccontare la sua storia, attirando l’attenzione delle grandi organizzazioni internazionali e dei potenti del mondo sulla situazione delle bambine nel suo paese e sul diritto di tutti i fanciulli, in tutto il mondo, all’educazione. È stata già invitata dal Presidente Barak Obama alla Casa Bianca ed ha parlato all’Assemblea giovanile delle Nazioni Unite di fronte al Segretario Generale Ban Ki Moon.

Malala resta tuttavia una ragazza semplice, che continua a parlare di fronte a tutti con la stessa passione e con gli stessi valori con i quali è stata educata da suo padre che, non a caso, era dirigente di scuole in Pakistan. In ogni circostanza, non si fa alcun problema ad iniziare i sui discorsi “In nome di Dio, il più benevolo ed il più misericordioso” e a rivolgersi agli ascoltatori chiamandoli “fratelli e sorelle”, proprio come ha fatto di fronte ai deputati europei, che riempivano l’emiciclo al momento del suo discorso.

La neo-premiata si è detta onorata di ricevere questo premio, considerandolo “un incoraggiamento a portare avanti la causa” per la quale ha già rischiato la vita. Si è detta onorata, soprattutto guardando “alla lista dei precedenti premiati”. In un momento in cui tanti politici europei sembrano dimenticare l’importanza dei diritti umani di base, come la libertà di coscienza e di pensiero, Malala ha indicato l’Unione europea come un esempio di unità, invitando il Parlamento a guardare al di là dell’Europa, a non chiudersi in se stesso.

Si è trattato di un discorso di speranza, di fronte ad un’assemblea abituata a dibattere di una crisi economica che non sembra aver termine e che a volte non sembra riuscire ad incarnare le esigenze dei cittadini che essa dovrebbe rappresentare. Malala ha invitato tutti a guardare ben al di là del proprio naso, a guardare alle grandi sfide del mondo attuale, nel quale a tanti bambini è negato il diritto all’educazione: “Ma c’è ancora speranza. Cari fratelli e sorelle, c’è ancora speranza poiché voi siete qui, uniti, per agire (…) Noi abbiamo anche bisogno di un cambiamento nel nostro modo di pensare, nella la nostra idea di essere potenti… La potenza dei Paesi non dovrebbe essere misurata contando i suoi soldati e le sue navi”. Piuttosto “un Paese con persone talentuose, abili ed educate, questo Paese è una vera superpotenza”.

Da questa giovane ragazza pakistana arriva un vero monito ai rappresentanti dei popoli europei, che spesso sembrano voler privilegiare le convenienze politiche, i calcoli economici, trascurando le radici del Vecchio Continente e mettendone da parte la bellezza culturale e l’enorme ricchezza intellettuale e spirituale. (N.S.)

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ZENIT Staff

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