La Santa Sede e la pace: dalla Prima guerra mondiale a oggi

Il segretario di Stato vaticano card. Parolin è intervenuto oggi al convegno ‘Inutile strage. I cattolici e la Santa Sede nella prima guerra mondiale’

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L’impegno della Santa Sede per la pace. È intorno a questo tema che si è snodata la relazione d’apertura che il card. Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, ha tenuto questo pomeriggio intervenendo al convegno Inutile strage. I cattolici e la Santa Sede nella prima guerra mondiale, che si svolge a Roma fino al 17 ottobre.

E proprio dalla miccia che accese quella “inutile strage” è partito il card. Parolin per riavvolgere il luttuoso nastro della memoria bellica europea e mondiale. “Si contava su una guerra breve; fu una interminabile catastrofe”, ha osservato il segretario di Stato. Le cifre del conflitto furono strazianti: “il conflitto mobilitò 65 milioni di soldati, cancellato tre imperi, fece 20 milioni di morti, civili e militari, e 21 milioni di feriti”.

Di fronte a questa catastrofe, non rimase indifferente la Chiesa. Pio X fece sentire la sua voce, ha ricorda il card. Parolin, attraverso l’esortazione Dum Europa, che fu per il porporato “un testamento di pace fra i più alti che siano stati consegnati alle future generazioni”.

Purtroppo, il tentativo di papa Sarto di impedire che la guerra degenerasse rimase inascoltato. Così “l’Europa cadde nel precipizio di una immane tragedia, di cui sono tristi testimoni i monumenti ai caduti della prima guerra mondiale sparsi in molti Paesi del mondo e perfino nelle più piccole comunità, le quali conservano il ricordo di tanti uomini falciati in giovane età”.

Un nuovo appello alla pace giunse il 1° agosto 1917 da Benedetto XV, successore di Pio X. Il Pontefice – ha sottolineato il card. Parolin – seguì una linea “che non è quella della mera neutralità, bensì quella della perfetta imparzialità e della beneficenza, nell’‘esortare e popoli e Governi belligeranti a tornare fratelli’, secondo le parole dello stesso Benedetto XV”. Mentre la neutralità di uno Stato – ha osservato ancora – implica una certa estraneità se non indifferenza rispetto alla sostanza di un conflitto tra terzi e agli interessi dei belligeranti, “l’imparzialità contiene in sé un agire, ispirato a una rivendicata equità, nonché orientato verso un bene superiore”.

Benedetto XV propose inoltre alcune misure “significative” agli Stati belligeranti che furono però rifiutate. Determinante nel rifiuto fu la “questione romana” ancora aperta, per cui l’Italia si oppose alla partecipazione della Santa Sede a tutte le negoziazioni internazionali. Un rifiuto che non arrestò tuttavia l’opera di assistenza della Chiesa, affidata a mons. Eugenio Pacelli, la quale “permise di trattare all’incirca 600.000 lettere d’informazioni, di provvedere a 40.000 rimpatri e di fornire più di 50.000 comunicazioni alle famiglie”.

Opera di assistenza che passò non solo attraverso la Santa Sede, ma coinvolse – come ha spiegato il card. Parolin – “l’insieme dei cattolici, sacerdoti, religiose, religiosi, laici uomini e donne”. Tante furono le testimonianze di  “generoso, coraggioso e indefesso impegno nel servizio della carità e dell’assistenza sui campi di battaglia e nelle trincee, negli ospedali, nel soccorso agli orfani, così come nel servizio della Patria, per il quale caddero a milioni, insieme ai loro fratelli di varie confessioni cristiane o di altre religioni”.

Altrettanto importante fu l’azione rivolta dalla Chiesa nel corso della Seconda guerra mondiale. Il segretario di Stato vaticano ha ricordato il famoso radiomessaggio di Pio XII ai governanti e ai popoli del 29 agosto 1939, tre giorni prima dello scoppio della guerra.

“Ancora una volta – l’osservazione del card. Parolin -, nel rivendicare la coerenza della propria linea d’imparzialità, la Santa Sede dovette resistere a fortissime pressioni, che molti ignorano ancora, come testimonia un telegramma dell’ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede al ministero degli Affari Esteri, denunciando il rifiuto della Santa Sede di prendere posizione in favore della Germania nella lotta contro l’Unione Sovietica”.

Fu sempre mediante un radiomessaggio che, anni dopo, Giovanni XXIII intervenne nella crisi missilistica di Cuba, “per salvaguardare la pace e promuovere l’intesa e la concordia tra i popoli”. Un gesto che fu – ha affermato il card. Parolin – “impulso decisivo a risolvere la gravissima situazione prodottasi per lo scontro fra Stati Uniti e Cuba”, poiché stavolta “il Papa fu ascoltato, a differenza dei suoi predecessori”.

Il porporato ha poi fatto menzione dell’enciclica di Giovanni XXIII Pacem in terris, che chiama gli uomini “a essere artefici della pace”. Pace che è un tema che ricorre anche nel pontificato di Paolo VI, come dimostra – ha osservato il card. Parolin – il suo discorso alle Nazioni Unite del 4 ottobre 1965.

Come Paolo VI, anche Giovanni Paolo II pronunciò parole con l’intento di fermare le guerre. Il Papa polacco provò a porre fine al conflitto in Jugoslavia e ad allontanare la prospettiva di una guerra in Iraq. Appelli caduti nel vuoto. “Quello che è successo in seguito ha ampiamente dimostrato che la voce del Papa era la voce della saggezza – ha affermato il segretario di Stato -, una voce inascoltata, una voce imparziale avendo per solo scopo il bene comune dell’umanità”.

Ma l’impegno dei cattolici e della Santa Sede “per la risoluzione dei conflitti e la promozione di una pace giusta e duratura nella verità non è mai venuto meno”, ha aggiunto il card. Parolin. Il quale ha ricorda in tal senso “le molteplici iniziative di Benedetto XVI e, recentemente, di papa Francesco in favore del Vicino oriente, dell’Iraq e dell’Ucraina”.

A conclusione del suo intervento, il card. Parolin ha dunque ricordato quanto detto da papa Francesco a proposito di “coltivare la pace”, durante l’incontro del giugno scorso nei Giardini Vaticani con il Patriarca di Costantinopoli e i presidenti israeliano e palestinese. “Chi si impegna a coltivare non deve però dimenticare che la crescita dipende dal vero Agricoltore che è Dio – affermò il Santo Padre -. Del resto, la vera pace, quella che il mondo non può dare, ce la dona Gesù Cristo. Perciò, nonostante le gravi ferite che purtroppo subisce anche oggi, essa può risorgere sempre”.

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Federico Cenci

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