La Santa Sede contro la promozione dell'“aborto sicuro” nei Paesi poveri

Respinge l’impiego per l’aborto degli aiuti sanitari necessari alle donne

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GINEVRA, giovedì, 22 settembre 2011 (ZENIT.org).- Intervenendo alle 18ma sessione del Consiglio per i Diritti Umani a Ginevra, l’Osservatore Permanente presso gli uffici ONU nella città svizzera, monsignor Silvano Tomasi, ha espresso il totale rifiuto da parte della Santa Sede della promozione dell’“aborto sicuro” nei Paesi poveri.

“La mia delegazione ritiene inaccettabile qualsiasi tentativo di sviare le risorse economiche, così necessarie, dagli efficaci interventi salvavita verso programmi più ampi di anticoncezionali e aborto volti a limitare la procreazione di una nuova vita o a distruggere la vita di un bambino”, ha sottolineato il presule nel suo intervento di giovedì scorso.

Monsignor Tomasi si riferiva al Rapporto su “Pratiche per l’adozione di un approccio basato sui diritti umani per eliminare la mortalità materna evitabile e i diritti umani” (A/HRC/18/27, 8 luglio 2011), sottoposto ad analisi in questa sessione di studio.

Nel Rapporto si parla delle pratiche mediche adeguate per combattere la mortalità materna, con cui la Santa Sede è d’accordo, come la tutela dei diritti delle donne e delle bambine, l’estensione dell’assistenza sanitaria, ecc.

Ad ogni modo, ha affermato l’Arcivescovo, ci sono due elementi problematici proposti dal Rapporto e definiti “aspetti di buona prassi” per ridurre la morbilità e la mortalità materne, cioè “aumentare l’accesso agli anticoncezionali e alla pianificazione familiare” e risolvere il problema del cosiddetto “aborto non sicuro per le donne”.

Di fronte a questo, ha osservato, “l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dimostrato che in Africa le donne muoiono soprattutto per cinque cause principali: patologie legate all’ipertensione, mancanza di assistenza ostetrica, emorragie, sepsi, infezioni e malattie collegate all’Hiv”.

“Gli interventi realizzati per affrontare queste emergenze mediche includono la formazione e l’impiego di strumenti ostetrici, la fornitura di antibiotici e di medicazioni uterotoniche e il miglioramento del sistema delle banche del sangue”, ha sottolineato, dichiarando “inaccettabile” che i fondi per questi interventi vadano a finanziare anticoncezionali e aborto.

Responsabilità della famiglia

La delegazione vaticana, ha proseguito il presule, ritiene che debba essere rivolta “una particolare attenzione perché al marito e alla moglie venga assicurata la libertà di decidere responsabilmente, liberi da qualsiasi coazione sociale o legale, il numero di figli e l’intervallo tra una nascita e l’altra”.

“L’intenzione dei Governi e delle altre agenzie non dovrebbe essere quella di decidere per la coppia, ma quella di creare le condizioni sociali che le permettano di prendere le decisioni corrette alla luce delle sue responsabilità di fronte a Dio, a se stessa, alla società della quale fa parte e all’ordine morale oggettivo”, ha affermato, richiamando la lettera di Giovanni Paolo II al segretario generale della Conferenza internazionale su popolazione e sviluppo del 1994.

Monsignor Tomasi ha anche ricordato che la Conferenza Internazionale delle Nazioni Unite sulla Popolazione, svoltasi a Città del Messico nel 1984, ha riconosciuto all’unanimità che “l’aborto, che distrugge la vita umana esistente… non è mai un metodo accettabile di pianificazione familiare”.

“Consideriamo del tutto inaccettabile che il cosiddetto ‘aborto sicuro’ sia promosso dal Rapporto dibattuto in questa sessione del Consiglio per i Diritti Umani o piuttosto, forse in forma più significativa, dalla Strategia Globale per la Salute delle Donne e dei Bambini delle Nazioni Unite, avviata dal Segretario Generale delle Nazioni Unite nel settembre 2010”, ha aggiunto.

Azione ecclesiale

Dall’altro lato, ha voluto ricordare che la Chiesa cattolica “sostiene un’ampia rete di servizi sanitari in tutto il mondo, e in particolare offre assistenza a comunità povere e rurali che spesso sono escluse dall’accesso ai servizi promossi dai Governi”.

Tra gli altri, ha citato i servizi specializzati nel trattamento e nella reintegrazione sociale delle vittime della violenza domestica, la promozione dello sviluppo integrale e l’istruzione delle donne e delle ragazze.

“Le organizzazioni cattoliche, inoltre, difendono a livello globale, regionale, nazionale e locale politiche e pratiche volte a tutelare i diritti delle donne e delle bambine”, ha aggiunto.

In questo senso, ha affermato che per ridurre la mortalità e la morbilità materna è necessario in primo luogo “migliorare la condizione delle donne, promuovendo la parità tra uomini e donne, l’eliminazione dei matrimoni in età precoce e la conseguente promozione della dilazione nell’inizio delle relazioni sessuali, il miglioramento della condizione sociale, economica, sanitaria e alimentare delle donne e delle ragazze e l’eliminazione di alcune pratiche dannose come la mutilazione dei genitali femminili e la violenza domestica”.

E’ infine necessario, ha indicato, rafforzare “i sistemi sanitari e dell’assistenza sanitaria di base per migliorare l’accesso a ostetriche valide e all’assistenza ostetrica d’emergenza in caso di complicazioni”, e “migliorare l’assistenza e la valorizzazione dei doveri statali per garantire la responsabilità di tutti i partecipanti e mettere in pratica le varie politiche”.

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ZENIT Staff

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