La salute dei Rom tra mediazione e partecipazione

Un’indagine realizzata nellambito del progetto “ROMa: mediazione socio-sanitaria come percorso di inclusione dei rom nella città di Roma”

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ROMA, mercoledì, 27 giugno 2012 (ZENIT.org) – Sportelli di promozione della salute nei campi rom, incontri di informazione sanitaria materno- infantile con le giovani mamme, un laboratorio teatrale con i bambini e un corso di formazione con gli operatori sanitari. Sono queste le azioni messe in atto dal progetto ROMa: mediazione socio-sanitaria come percorso di inclusione dei rom nella città di Roma con l’obiettivo di proseguire il percorso di promozione della salute della popolazione rom, e di riqualificazione del rapporto con i servizi.

L’iniziativa è stata co-finanziata dal Fondo Europeo per l’Integrazione dei Paesi terzi (Bando FEI 2007-2013) e coordinata dalla Caritas di Roma/CRS in partenariato con Laziosanità – Agenzia di Sanità Pubblica e con il sostegno della ASL RM/D e della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni.

I risultati del progetto, che si concluderà il prossimo 30 giugno, sono stati presentati oggi presso l’Aula “Foschi” dell’Ospedale San Giovanni Addolorata (Piazza San Giovanni in Laterano, 76), in un convegno. Nell’ambito della manifestazione è stato presentato il rapporto “La salute per i rom. Tra mediazione e partecipazione” che illustra l’esperienza del progetto rivolto ai cittadini di etnia rom di origine non comunitaria.

Nel solco dell’esperienza romana maturata dalla Caritas romana a partire dalla campagna vaccinale del 2002 e da quella per l’accessibilità del 2006, il Progetto “ROMa” ha inteso proseguire il percorso di promozione della salute della popolazione rom, e di riqualificazione del rapporto con i servizi. Destinatari dell’intervento sono stati i rom provenienti dalla ex-Jugoslavia, giunti in Italia a partire dagli anni ’70 per motivi economici e in ondate successive negli anni ’90, in seguito ai conflitti nei Balcani.

Si tratta di persone che risiedono a Roma da più di trent’anni, con figli nati perlopiù in Italia, molti dei quali senza cittadinanza italiana e in condizione di apolidia. Generalmente i rom slavi sono considerati il “popolo dei campi”, perché abitano negli insediamenti attrezzati e semi-attrezzati allestiti dal Comune di Roma, anche se alcune famiglie, non avendo ancora trovato una collocazione stabile, vagano per la città spostandosi di volta in volta in accampamenti di fortuna.

La lunga permanenza nei campi li ha resi per molti aspetti dipendenti dalle politiche assistenzialiste, accentuando la loro condizione di esclusione sociale.

Nello specifico, il progetto si è concentrato sui rom residenti nel villaggio autorizzato di via Candoni (insediamento di grandi dimensioni, distante dal centro urbano), in quello “tollerato” di via Ortolani (piccolo campo inserito nel tessuto urbano), entrambi situati nel territorio di competenza della ASL RM/D.

Le attività sono state avviate nell’agosto del 2011 (per un periodo complessivo di 11 mesi), con l’obiettivo di favorire l’accesso ai servizi sanitari da parte dei rom, attraverso l’informazione e l’orientamento attivo, e nel contempo sensibilizzando e formando gli operatori alla relazione transculturale.Fondo Europeo per l’Integrazione 2007-2013

Inizialmente, la strategia adottata puntava a individuare e addestrare dei “referenti rom per la salute”, ossia delle persone appartenenti alla comunità, consapevoli del funzionamento del Servizio Sanitario Nazionale e dunque in grado di orientare gli altri membri al corretto uso dei servizi territoriali. Sono però insorte delle difficoltà in ordine all’identificazione di figure che fossero realmente espressione della comunità, e questo ha portato a rivedere la strategia, diversificando gli approcci e adattandoli alle necessità del contesto.

In particolare, gli interventi messi in atto hanno riguardato:

– la creazione di uno sportello salute, gestito da personale dell’ASP, della Caritas e della Croce Rossa (coadiuvati da operatori dell’associazione Arci Solidarietà), con funzioni di informazione, individuazione dei bisogni e orientamento ai servizi;

– la promozione di incontri di educazione sanitaria sui temi della salute materno-infantile, condotti da operatori della ASL RM/D e della Croce Rossa, in collegamento con le attività dello sportello salute;

– la realizzazione di un laboratorio teatrale (nel campo di via Ortolani), volto a coinvolgere i bambini rom in spettacoli ad alto contenuto informativo su temi di interesse sanitario (alimentazione, igiene, vaccinazioni ecc.);

– l’organizzazione di un corso di formazione da parte dell’ASP, volto a coinvolgere gli operatori delle ASL e delle Aziende ospedaliere sui temi della salute rom e sull’esperienza del progetto (6-7 e 27 giugno 2012).

In definitiva, il progetto ha rappresentato un’importante occasione per sperimentare modelli operativi sostenibili, improntati alla molteplicità delle azioni, all’integrazione dei piani di intervento, alla flessibilità delle strategie e all’ascolto empatico delle persone e delle comunità. Avendo in mente un obiettivo finale: quello di promuovere la salute dei rom, attraverso dinamiche virtuose di inclusione sociale, empowerment della popolazione e maggiore accessibilità dei servizi sociosanitari.

“La presenza sul campo accanto a rom e operatori, – scrivono gli operatori sociali nel report finale – le sperimentazioni, le delusioni e le nuove scoperte che hanno caratterizzato questo anno di intenso lavoro, ci pongono nuovamente di fronte alla situazione di marginalità sociale in cui versano le comunità rom che vivono nei campi, condizione che inevitabilmente si riflette nella scarsa conoscenza della realtà dei servizi sanitari e nella ridotta fruizione del diritto alla salute”.

Il progetto, malgrado ciò, ha permesso di “confermare la validità dell’approccio metodologico fondato da una parte sull’incontro diretto tra rom e gagè, che favorisce la conoscenza reciproca, il dialogo e il superamento delle diffidenze, e dall’altra sul lavoro di rete, sulla formazione e sul coinvolgimento attivo del personale dei servizi sanitari”.

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ZENIT Staff

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