La salute come bene comune e il welfare civile

Nonostante la spending review, bisogna attivare un modello sanitario basato sulla reciprocità tra cittadino e servizi, che ponga al centro la persona malata e consideri la salute un bene comune

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di Carmine Tabarro

ROMA, venerdì, 17 agosto 2012 (ZENIT.org) – Come tutte le crisi oltre i costi economici e sociali da pagare, spesso si aprono anche nuove opportunità. In questa analisi, voglio dimostrare come la salute – bene comune – possa trovare una nuova tutela nel welfare civile nonostante la spending review.

Il welfare civile prevede realtà dove il malato, da paziente, viene messo al centro, contribuendo attivamente al miglioramento del servizio sanitario.

Numerosi studi scientifici hanno analizzato i punti di forza e di debolezza dei modelli di sanità pubblica e privata. Questi indicano come la vera impresa sociale a sfondo motivazionale, sia la via più sostenibile per raggiungere sia gli obbiettivi di efficienza (sostenibilità economica e finanziaria) e di efficacia (qualità del servizio e bene comune).
In Italia esistono le secolari esperienze cattoliche e laiche.

Negli ultimi anni dopo la sbornia dello statalismo e del liberismo, stanno ripartendo nuove imprese sociali ne cito due tra le più importanti: Welfare Italia del Consorzio Gino Mattarelli e la recente nascita di Sanicoop di LegaCoop, che pongono al centro la persona e la salute come bene comune.

Il welfare civile richiede l’attivazione di una sussidiarietà circolare in cui i cittadini da soggetti passivi vengano aiutati a diventare cittadini attivi. Questa vale anche nel difendere il “diritto alla salute”. In tal modo partecipano alla tutela e allo sviluppo del bene comune e, come tale, indivisibile, inalienabile, fraterno e umano.

In altri termini va superata la consueta dicotomia pubblico/privato che tanto male ha fatto alla sanità cattolica, perche’ esiste una terza via: una cultura medica e del malato che considera la salute come bene comune, con protagonisti i cittadini.

Per comprenderlo, è necessario far cadere un’altro preconcetto: prima che un mercato di servizi e prodotti, la sanità è un “luogo” di rapporti non strumentali medico -paziente molto
delicati perché il cittadino, scegliendo il suo medico, gli delega la piena fiducia di un bene che solo lui può difendere, ossia la propria integrità psico-fisica, la propria salute. Ma il cittadino è in grado di assumere questa responsabilità?

I dati degli studi ci dicono che allo stato attuale la qualità della sanità in Italia è una realtà a macchia di leopardo. In altre parole a fronte di casi d’eccellenza abbiamo una diffusa inefficenza con sprechi, malversazioni, corruzione ecc.  Resta inoltre il problema dell’”informazione asimmetrica e imperfetta” nella scelta delle terapie e nei costi delle strutture.

Va considerata, poi, l’imprevedibilità dell’evento malattia. In questo caso il paziente non ha le competenze per documentarsi e seppure ha qualche competenza no sa dove e come documentarsi; e non è detto che chi lo aiuta lo sappia fare nel modo più giusto.

Nonostante in questi anni sia cresciuta la cultura della prevenzione, sia primaria sia secondaria (medicina preventiva, attenzione all’ alimentazione e allo stile di vita),
resiste il conflitto d’interesse del medico, insieme venditore e consulente del paziente/consumatore.

La salute diventa un bene comune sin dal medioevo con i francescani che vivevano accanto ai lebbrosi assistendoli, per poi essere seguiti da vari ordini religiosi ospedalieri.
Nello sviluppo storico – la salute – come bene comune, nei paesi anglosassoni prende la strada del mutualismo sanitario britannico nel tardo ‘700, mentre in Italia si sviluppano le Società Operaie di Mutuo Soccorso di matrice cattolica e socialista (seconda metà ’800).

Il welfare civile fa parte della cultura europea, bisogna aggiornare forme e strumenti rispetto alla società liquida, ai diritti sociali, e ai diversi modi sorti per soddisfare il diritto alla salute, dal pagamento diretto al modello assicurativo.

In Italia vi è stata la grande stagione del “Sistema Sanitario Universale”, che ritiene la salute non un servizio, ma “un diritto individuale e un interesse collettivo” (art.32 Cost.) da difendere con la mediazione dello Stato. Ma questa mediazione coinvolge anche la libera iniziativa dei privati (art.41), e soprattutto l’autonoma iniziativa dei cittadini (art.118, ultimo comma).

Negli ultimi anni si è cercato un equilibrio tra pubblico e privato nel finanziamento e nell’erogazione dei servizi. Ma entrambi, nonostante le diverse eccezioni, sono stati fonte di furti, corruzione, clientelismi, sprechi, inefficienze, crescita di poteri baronali ecc.

Il tutto a danno del bene comune salute, del singolo malato e della famiglia a cui è lasciato in ultima istanza il ruolo di welfare, senza averne i mezzi e le competenze. La vera impresa sociale o la congregazione religiosa, liberata dalla dicotomia pubblico/privato, ha nella sua cultura la capacità di dare beni intangibili come la fiducia e la reputazione che dà al cittadino malato quel qualcosa di più che lo fa sentire al centro della cura, lo fa sentire persona e non un braccialetto con un numero.

Il welfare civile riprende il meglio del passato, contro l’eccesso di medicalizzazione dell’assistenza o i privilegi spesso accordati a una medicina inumana: limiti che hanno trasformato il cittadino da “paziente-malato” a “oggetto-consumatore”.

Bisogna riprogettare la sanità bene comune in cui al centro c’è la persona-malata. In Italia il mito dell’ aziendalizzazione e del cattivo federalismo hanno prodotto disuguaglianze nell’offerta di prestazioni sanitarie; gravi squilibri finanziari; un’integrazione tra territorio e ospedale sempre più difficile; la disapplicazione delle leggi vigenti sulla partecipazione; un dilagante uso privato del SSN di esponenti dei partiti e professionisti; mortificazione della valorizzazione e delle competenze, con la fedeltà al direttore generale a determinare l’organigramma  e non la norma costituzionale, che prevede il concorso pubblico.  

Infine la spending review, o le meglio conosciute “misure anti crisi”, con l’introduzione dei ticket hanno reso più conveniente il ricorso al privato, mentre i tagli hanno ridotto alcuni servizi sociali legati alla domanda di salute.

In questa situazione, segnata dalla razionalizzazione e dai tagli della spesa pubblica, è fondamentale favorire le vere imprese sociali e le congregazioni religiose affinchè la salute possa essere veramente un bene comune.

Serve un modello di servizio sanitario basato sulla reciprocità tra cittadino e servizi, e in cui si attivi una gestione relazionale simmestrica e sociale del servizio sanitario che sia accessibile a tutti anche a diversità di reddito, con percorsi assistenziali integrati tra territorio e ospedale, dando ai cittadini poteri di valutazione, azione e scelta delle priorità, a partire da audit, osservatori indipendenti.

In questo modo viene anche arricchito il concetto di salute includendo quello di benessere, e togliendo la sola specificità patologica.

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ZENIT Staff

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