La risoluzione del Consiglio dei Diritti Umani dell'ONU sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere (Terza parte)

di Jane Adolphe*

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ROMA, martedì, 11 dicembre 2012 (ZENIT.org) – [Leggi seconda parte] La Tavola Rotonda sul Rapporto UNHCHR richiesta dalla Risoluzione 17/19 dell’HRC si è tenuta il 7 marzo 2012 durante la 19° Sessione dell’HRC. Se, da un lato, il dialogo doveva essere trasparente ed aperto, l’Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’ONU a Ginevra, ha affermato: “Era comunque evidente che molti Stati e organizzazioni che promuovono la Tavola Rotonda hanno anche un’agenda che persegue i “diritti speciali”. […] Alcuni Stati, infatti, insistono che tutti i relatori […] seguano la stessa linea ideologica e rifiutino suggerimenti, rivolti da altri Stati, per includere relatori che avevano concezioni divergenti riguardo all’impegno per la promozione dei ‘nuovi diritti’” (Osservatore Permanente della Santa Sede, Preservare l’Universalità dei Diritti Umani, Libreria Editrice Vaticana, 2012, 9].

I relatori hanno sviato i partecipanti con i seguenti termini ed espressioni, senza darne alcuna definizione né classificazione: “orientamento sessuale”, “identità di genere”, “omofobia”, “attitudini omofobiche”, “attitudini sociali negative nei confronti dei LGBT”, “stereotipi negativi”, “attitudini discriminatorie”, “proclami d’odio”, “violenza contro i LGBT motivata dal pregiudizio” e “pregiudizio anti-LGBT”.

Inoltre, i relatori hanno espresso preoccupazioni che vanno ben al di là dell’opposizione alla violenza e alla discriminazione contro tutte le persone, per promuovere le seguenti istanze: “decriminalizzazione delle relazioni omosessuali consensuali” (questa frase, a mio avviso, dimentica di includere la parola “adulti”, riferita alle relazioni omosessuali), “riconoscimento delle relazioni omosessuali” (includendo il matrimonio e l’adozione per le coppie omosessuali), “riconoscimento di genere” (ridefinire il genere, che si riferisce al maschio e alla femmina o a donne e uomini, includendo le persone transgender).

Secondo la sintesi ufficiale dell’evento, “un certo numero di Stati ha manifestato la propria opposizione a ogni forma di discussione sull’OS e sull’IG, lasciando la camera di Consiglio com’era all’inizio dell’incontro”. Una parte dei rimanenti, “ha espresso la propria opposizione su basi culturali o religiose e ha argomentato che l’OS e l’IG non hanno alcun fondamento in nessuna norma di diritti umani internazionali, poiché non è stato sufficientemente definito e non sono stati menzionati in nessuno strumento di diritti umani internazionali”. Di conseguenza, gli Stati non possono essere costretti a riconoscere l’OS e l’IG come terreni proibiti per la discriminazione, perché, in tal modo, verrebbero minacciati i principi di universalità, di pluralismo culturale e di comune proprietà delle norme sui diritti umani internazionali. Altri argomentano che le particolarità nazionali e religiose vanno sollevate nel contesto di ogni discussione sui diritti umani, dal momento in cui gli atti omosessuali sono contrari sia ai principi delle religioni che dei valori culturali e tradizionali di molte comunità (Tavola Rotonda sui Diritti Umani su OS e IG, Sintesi della Discussione, 7 marzo 2012, Ginevra, par. 11,19-22).

Da notare che l’Osservatore Permanente della Santa Sede ha tenuto un evento parallelo due giorni dopo, il 9 marzo 2012, dal titolo Preservare l’universalità dei diritti umani: nel contesto delle discussioni sull’Orientamento Sessuale e sull’Identità di Genere alle Nazioni Unite. L’incontro “ha radunato 150 partecipanti, incluse le rappresentative di 30 Missioni Permanenti all’ONU di Ginevra (Preservare l’Universalità dei Diritti Umani, 10). Si è avuta una tavola rotonda tra esperti, poi c’è stata un’animata discussione, seguita dai feedback dei relatori e la distribuzione di documenti per incoraggiare un pieno dibattito. Il punto di accordo raggiunto dai relatori è che nessuna persona umana debba essere soggetta a violenza o discriminazione. Comunque, ciò che è mancato è stata l’implementazione, a livello locale, di obblighi internazionali esistenti. “Nuovi diritti” non erano necessari e possono risultare in un “deterioramento dell’universalità dei diritti umani e mettono a repentaglio la protezione del matrimonio tra uomo e donna, della famiglia naturale e della libertà di coscienza e di religione”.

*Jane Adolphe è professore associato di legge all’Ave Maria School of Law di Naples (Florida)

[Traduzione dall’inglese a cura di Luca Marcolivio. La quarta e ultima parte sarà pubblicata domani, mercoledì 12 dicembre]

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ZENIT Staff

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