La reliquia di San Bartolomeo

La costruzione della Chiesa dedicata ad uno dei dodici apostoli di Cristo, che sorge sull’Isola Tiberina a Roma, risale a più di mille anni fa

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Sull’Isola Tiberina, luogo di Roma carico di fascino e di storia, sorge una chiesa dedicata ad uno dei dodici apostoli che seguirono Gesù, San Bartolomeo. Sorta in parte a seguito di un equivoco, la sua origine merita comunque di essere ricordata. Così come, merita di essere menzionata la sua attuale funzione.

La costruzione risale a più di mille anni fa, e si deve all’imperatore del Sacro Romano Impero Ottone III, un sovrano dalle mire assai ambiziose, convinto che sarebbe riuscito a riconsegnare all’Urbe il prestigio del vecchio Impero Romano. Ottone si premurò affinché l’Isola Tiberina, antico luogo di pellegrinaggio per via del tempio di Esculapio ivi presente, tornasse a pullulare di fedeli; stavolta cristiani. Nel 998 fece dunque costruire la chiesa per accogliere i resti di due martiri: San Bartolomeo apostolo, appunto, e Sant’Adalberto, vescovo di Praga, che fu ucciso appena un anno prima, nel 997, mentre evangelizzava tribù pagane all’estremo confine settentrionale dell’Europa cristiana.

Intorno all’autenticità della reliquia di quest’ultimo, un braccio, non aleggia alcun dubbio. Essa fu fatta trasferire da Ottone III a Roma, in questa chiesa, sotto il cui altare rimase sino al 1928, quando fu donata alla città polacca di Gniezno, situata nei pressi del luogo in cui il Santo venne martirizzato. La storia della reliquia di San Bartolomeo, invece, è segnata da un episodio controverso. Si sa per certo che l’apostolo di Gesù conobbe il martirio il 24 agosto di un anno intorno alla metà del I secolo, probabilmente in Siria. Bartolomeo fu condannato alla morte cosiddetta persiana: fu scorticato vivo e poi fu crocifisso dai pagani. Celebre ed evocativa l’immagine realizzata da Michelangelo nel Giudizio Universale della Cappella Sistina, che lo vede raffigurato con la propria pelle in mano.

Il suo culto si diffuse molto presto, dapprima nell’area mediterranea, dove era particolarmente implorato dai malati e dagli ossessi. Le reliquie furono oggetto di trasferimenti, contese e trafugamenti tra la Mesopotamia, la Sicilia e le regioni peninsulari del Meridione d’Italia. Nell’838 giunsero finalmente a Benevento grazie all’intervento del principe longobardo Sicardo, che volle fornire alle reliquie del Santo un luogo in cui potessero esser custodite con devota e gelosa vigilanza.

In vista della costruzione della chiesa sull’Isola Tiberina, tuttavia, l’imperatore Ottone III si recò personalmente nella città sannita per chiedere la consegna della parte del corpo di San Bartolomeo. Si narra che in quell’occasione l’imperatore tedesco fu vittima di un vero e proprio imbroglio da parte delle autorità beneventane. Al posto della reliquia richiesta, gli venne infatti consegnato il corpo di San Paolino, vescovo di Nola. Ottone, una volta accortosi di essere stato ingannato, cinse d’assedio la città, ma non riuscendo ad espugnarla, fece ritorno a Roma. Non a mani vuote, però. L’imperatore portò con sé le spoglie di San Paolino da Nola, le quali furono conservate per secoli nella chiesa di San Bartolomeo. È ancora visibile all’interno della chiesa, il catino originale con cui esse furono trasportate a Roma. Soltanto nel 1909, su autorizzazione di papa San Pio X, il corpo venne invece traslato a Nola, dove è a tutt’oggi venerato. E le reliquie, quelle autentiche, di San Bartolomeo? Sono custodite in un elegante reliquiario, nella Basilica di Benevento.

Stando ai fatti, pertanto, è lecito pensare che nella chiesa di San Bartolomeo all’Isola, a Roma, non vi siano oggi né le reliquie di Sant’Adalberto di Praga, né quelle di San Paolino da Nola, né tantomeno – non vi sono mai state – quelle di San Bartolomeo, a cui ad ogni modo la chiesa è dedicata. Eppure, come fosse scritto nel destino di questa bella Basilica romana, la sua attuale funzione ricalca proprio ciò che Ottone III pensò di attribuirle più di mille anni fa, ossia la conservazione delle reliquie dei martiri.

Nell’anno 1999, Giovanni Paolo II decise, in preparazione del Giubileo del 2000, di istituire una commissione “Nuovi Martiri”, con l’obiettivo di indagare sui martiri cristiani del secolo XX. La chiesa di San Bartolomeo venne individuata come il luogo in cui svolgere i lavori, coordinati da Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio. Passato il Giubileo, alla luce delle copiose testimonianze che vennero raccolte dalla commissione, Giovanni Paolo II volle che questa memoria dei “Nuovi Martiri” potesse diventare qualcosa di visibile nella Basilica di San Bartolomeo.

Oggi, nelle cappelle laterali della chiesa, è possibile ammirare come il progetto del Beato papa polacco sia divenuto realtà. In ogni cappella, suddivise per provenienza geografica e per periodo storico, sono custodite le memorie di quanti, appartenuti ad ogni confessione cristiana, non hanno esitato di testimoniare la fede malgrado gravi avversità. La posizione di San Bartolomeo tra le acque del Tevere esprime bene la caratteristica che contraddistingue oggi la chiesa, crogiuolo di testimonianze provenienti da mondi diversi e lontani, ma uniti dalla fede in Cristo.

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Federico Cenci

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