La questione dell’etica nell’informazione ecclesiale

Il giornalista Fabrizio Mastrofini affronta il tema dell’info-etica

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di Mirko Testa

ROMA, venerdì, 7 maggio 2010 (ZENIT.org).- Ha senso continuare a discutere su una possibile obiettività dell’informazione o è preferibile che i giornalisti seguano un’etica del concreto nell’approcciarsi alla comunicazione? A sostenere la seconda ipotesi è Fabrizio Mastrofini, giornalista della Radio Vaticana, che per i tipi delle Edizioni Dehoniane Bologna ha dato alle stampe un volume, presto in libreria, dal titolo “Info-etica. L’informazione e le sue logiche”.

Nel libro, che reca la prefazione del portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, il giornalista, specializzato sui temi dell’informazione religiosa e della comunicazione, con anni di studio e di esperienza sul campo, parte dalla situazione italiana per analizzare il rapporto tra economia e media e suggerire alcuni criteri pratici per un’info-etica applicabile al mondo cattolico.

Quali sono le idee cardine che costituiscono l’ossatura del libro?

Mastrofini: L’idea portante del libro è quella di parlare di etica dell’informazione in maniera concreta, cioè dal punto di vista di chi è impegnato tutti giorni nel lavoro redazionale. Questo perché i testi di etica della comunicazione e dell’informazione in circolazione sono testi scritti da docenti universitari e non riflettono altro che degli approcci teorici. Ovvero si focalizzano soprattutto sul problema dell’obiettività dell’informazione e non entrano invece nel concreto del lavoro quotidiano svolto nelle redazioni, dove si operano delle scelte sulle notizie da far entrare o dal lasciare fuori. E allora occorre capire quali sono i criteri in base ai quali vengono operate queste scelte. Quindi la prima domanda da porsi è: chi sono i padroni dei diversi mezzi di comunicazione? Per esempio, oggi in Italia ma anche all’estero si osserva la tendenza che va sempre più consolidandosi per cui non esiste più un editore puro, perché spesso i proprietari dei mezzi di comunicazione sono delle aziende e delle imprese. Quindi diventa evidente, in tal caso, che i giornali non potranno che essere al servizio di interessi economici e commerciali. Tant’è che negli ultimi rapporti, ad esempio, della Fondazione Rosselli o della Agcom si parla normalmente di “industria della comunicazione”, perché riesce a veicolare un giro di affari di 100 miliardi di euro l’anno.

Come si applica questo discorso alla comunicazione istituzionale della Chiesa?

Mastrofini: La comunicazione della Chiesa si dovrebbe differenziare. In sostanza qualsiasi comunicazione che voglia avere un approccio etico deve differenziarsi, cioè deve esplicitare sempre il suo punto di vista, deve dire chiaramente da che parte sta e deve realizzare una nuova forma di interazione tra gli emittenti e i destinatari dell’informazione. Se applichiamo il concetto di Popolo di Dio alla comunicazione possiamo facilmente capire come la comunicazione debba coinvolgere sempre più il proprio pubblico e interagire con esso. Per fare questo, però, servirebbe un progetto. Non si improvvisa una comunicazione di questo genere. Inoltre, vanno trovate le risorse per realizzarlo perché esso implica anche una formazione degli operatori della comunicazione.

La sfida del web 2.0 divenda quindi molto reale?

Mastrofini: Ci deve essere una rivoluzione comunicativa. Se analizziamo la dottrina della Chiesa sulle comunicazioni sociali troviamo che già negli anni ’50 ci si poneva il problema dell’opinione pubblica all’interno della Chiesa. I mezzi di comunicazione di massa hanno quest’obiettivo che forse oggi si è un po’ perduto. Oggi si avverte sempre di più il bisogno di persone informate e formate. Da qui, però, ha origine un problema generale: invece di lamentarci sul fatto che i mezzi di comunicazione di tutto il mondo possano in certi momenti attaccare la Chiesa o darne un’immagine distorta, perché non cerchiamo di capire come poter reagire a questo possibile stato di cose dando vita a dei mezzi di comunicazione ecclesiali, a delle fonti d’informazione a cui gli altri possano attingere ben fatti, credibili, realizzati con metodi professionali?

La Santa Sede, per esempio, è presente nel mondo digitale o dell’informazione generale attraverso la pagina ufficiale www.vatican.va, in cui si può consultare la Sala Stampa, il quotidiano “L’Osservatore Romano”, il servizio di notizie Vatican Information Service (VIS), le trasmissioni del Centro Televisivo Vaticano e la “Radio Vaticana”, ma anche con una casa editrice, la Libreria Editrice Vaticana, a cui si stanno aggiungendo diverse ramificazioni e iniziative laterali. La domanda è: perché dobbiamo pensare che tutto questo patrimonio, tutte queste risorse valgano di meno del Wall Street Journal o del New York Times? Per quale ragione dobbiamo o soffrire questo complesso d’inferiorità? Il problema è che si tratta di un patrimonio enorme che va coordinato fatto lavorare in sinergia, organizzato.

Non pensa che nei programmi di formazione dei futuri comunicatori della Chiesa le scienze sociali dovrebbero rivestire un peso maggiore rispetto alla teologia?

Mastrofini: Direi che il problema fondamentale qui è saper parlare agli altri. Se si sa parlare al proprio pubblico interno allora si sa parlare anche a un pubblico esterno. Occorre essere facilmente comprensibili da parte di tutti. In un comunicato stampa non conta l’esattezza teologica, conta che ci sia un nucleo, che ci sia un messaggio che venga fatto passare in maniera appropriata. Cioè non ci si improvvisa comunicatori. La comunicazione è un’arte raffinata che s’impara con gli anni, e che va affidata a persone preparate. Dobbiamo rifuggire dai resoconti scolastici e dare, al contrario, anima a ciò che facciamo. Il pubblico ha bisogno di contenuti.

A suo avviso, la Chiesa ha seguito troppo l’agenda dei giornali nella crisi aperta dagli scandali degli abusi sessuali da parte di membri del clero?

Mastrofini: Rispondo dicendo soltanto che la comunicazione va attentamente pianificata perché viviamo in una situazione in cui si osserva sempre più quel fenomeno definito come “agenda-setting”: ovvero i mezzi di comunicazione con la loro pervasività, invadenza e forza sono in grado di condizionare le agende dei governi, delle grandi istituzioni politico-sociali È anche delle chiese. Questo perché i giornali, nello scegliere in maniera concorde un argomento e nell’insistere su quell’argomento, riescono ad entrare prepotentemente nel dibattito politico, sociale ed eclesiale portando il loro approccio o il loro punto di vista. Di fronte a questo grande rischio una comunicazione ecclesiale ben organizzata, ben congegnata e ben programmata deve sapere come rispondere, non andando a rimorchio ma proponendo qualcosa di nuovo. E questo implica anche la capacità di saper prevenire gli eventi.

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ZENIT Staff

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