La predicazione sociale dei Francescani nella seconda metà del '400

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di Pietro Messa*

ROMA, giovedì, 11 giugno 2009 (ZENIT.org).- Tutti quanti apparteniamo a una cultura dell’immagine, e questo stesso calendario dedicato ai Monti di Pietà e Monti Frumentari tra Umbria e Marche ne è una testimonianza.

Le immagini hanno il privilegio di essere altamente comunicative, anche con la loro forza simbolica. Tuttavia se non sono accompagnate da uno sforzo intellettuale che cerca di comprenderne i motivi che le hanno prodotte e che aiutino a renderle in un certo qual senso intelligibili, anche se risultano non totalmente incomprensibili, certamente non si coglie la complessità di ciò che rappresentano.

Così per capire meglio i Monti di Pietà e i Monti Frumentari tra Umbria e Marche si potrebbe analizzare come sono nati, quali circuiti economici interessarono, la realtà sociale coinvolta, eccetera. Tuttavia anche questo non andrebbe al fondamento di ciò che li hanno prodotti. Infatti essi sono l’espressione di una sintesi mirabile tra vita attiva e vita contemplativa vissuta da frate Francesco d’Assisi, recuperata soprattutto grazie alla predicazione di Bernardino da Siena, e testimoniata dalla predicazione sociale dei Francescani nella seconda metà del Quattrocento. Ma andiamo per ordine…

Uno degli argomenti più dibattuti nella letteratura cristiana antica fu proprio il rapporto tra vita attiva e vita contemplativa, intendendo con la prima espressione sia lo sforzo ascetico, sia l’operosità nelle opere caritative, ma anche la predicazione. Contrapposte l’una all’altra, oppure disposte secondo una certa gerarchia di valore, esse sono state rappresentate mediante delle immagini simboliche; certamente l’immagine più immediata è quella evangelica di Marta tutta presa dalle molte faccende per accogliere Gesù nella sua casa a Betania, contrapposta alla sorella Maria seduta ai piedi di quest’ultimo dedita all’ascolto della sua parola e che a detta del divino Maestro si sarebbe scelta la parte migliore.

Tuttavia i Padri della Chiesa usarono anche altre immagini bibliche per illustrare la vita attiva e quella contemplativa, ad esempio rispettivamente quella delle mogli di Gicobbe, ossia Lia – che pur non essendo bella era feconda di figli – e Rachele, la prediletta dal marito, ma poco feconda. Anche gli apostoli Pietro e Giovanni divennero figura dei due tipi di vita: il primo emblema della vita attiva nella predicazione, il secondo tutto contemplativo come mostra l’aquila con cui è raffigurato, simbolo di una visione profonda della realtà.

Normalmente in una graduatoria di valore la vita contemplativa, praticata soprattutto da monaci ed eremiti, era considerata superiore alla vita attiva; ma non sempre fu così perché alcuni videro una superiorità dell’operosità della carità rispetto all’ozio della contemplazione. Così ad esempio Innocenzo III, uno dei più grandi uomini del Medioevo, scrivendo agli inizi del XIII secolo ai cistercensi francesi, usando sempre la metafora delle mogli di Giacobbe, affermava che anche se Rachele – ossia la vita contemplativa – era più bella, tuttavia Lia era più feconda; di conseguenza a tale ragionamento li invitava ad abbandonare il chiostro per dedicarsi alla predicazione.

Nonostante la sua autorità di Pontefice e i suoi sottili ragionamenti teologici infarciti di una lettura allegorica della Bibbia tipica dell’esegesi medievale, i suoi ammonimenti non ebbero l’esito sperato: i monaci cistercensi presi dalla nostalgia del chiostro non seppero corrispondere alle attese di Innocenzo III[1].

Negli stessi anni, però frate Francesco d’Assisi, volendo vivere, come lui stesso afferma nel Testamento, “secondo la forma del santo Vangelo”, impostò la sua vita come una alternanza tra la contemplazione negli eremi (basti pensare all’Eremo delle Carceri in Assisi, oppure a Greccio nella valle reatina, o a La Verna) e la presenza tra la gente, sia per predicare, sia per dare buon esempio con il lavoro, che per curare i lebbrosi, come avvenne ad esempio nel lebbrosario di San Lazzaro del Valloncello.

Tale alternanza fu così tipica della sua esperienza cristiana, tanto che qualche studioso ha definito la sua come una esistenza vissuta “tra eremo e città”[2]. Proprio tale alternanza fu uno dei punti di forza della proposta di frate Francesco d’Assisi, anche perché risolveva un dilemma che si trascinava da secoli e che, come detto sopra, Innocenzo III cercò inutilmente di risolvere; l’equilibrio vissuto dalla fraternità dell’Assisiate fu così avvincente che in pochi anni i Frati Minori raggiunsero cifre impressionanti tanto che alcuni cronisti coevi scrissero che non si trovava villaggio dove essi non fossero presenti.

Dopo la morte di Francesco i frati, sollecitati anche dal Papa, furono solleciti nel conservare il suo ricordo, ma spesso le problematiche a loro contemporanne presero il sopravvento sull’oggettività dei fatti. Così, alcuni, sopratutto i cosiddetti copmagni del Santo, come frate Leone o frate Egidio, per contrapporsi allo sviluppo dell’Ordine – che portava i frati sempre più a stanziarsi dentro le città, con grandi conventi, ricche biblioteche, ampi spazi per lo studio e chiese immense per la predicazione – si ritirarono negli eremi, come quello di Greccio o di Monteripido appena fuori le mura della città di Perugia.

D’altra parte i frati impegnati nella predicazione dentro le città cercarono di legittimare la loro scelta presentando nelle loro narrazioni san Francesco tutto dedito alla vita tra la gente[3]. In questo modo l’alternanza tra vita attiva e vita contemplativa che rappresentava uno degli elementi di forza della proposta minoritica, fu trasformata in una alternativa: non più “tra eremo e città”, ma “o eremo o città”[4]. Ciò significò la rottura dell’equilibrio vissuto da Francesco e mentre alcuni frati vivevano normalmente nelle città, spesso con poca incisività sulla vita sociale e contestati dalla gente affascinata dalla radicalità di gruppi ereticali, altri si ritirarono in una vita contemplativa eremitica assolutizzante, come fu nell’eremo di Brogliano, presso Colfiorito.

Merito di aver recuperato l’equilibro di frate Francesco d’Assisi ritornando da un’alternativa – ossia o vita contemplativa o vita attiva – ad una alternanza per cui la vita negli eremi era soltanto temporanea per poi passare tra la gente beneficando tutti con una predicazione penitenziale che esortava alla riconciliazione e alla pace, fu soprattutto di Bernardino da Siena, il rappresentante dell’Osservanza.

Egli, usando l’immagine degli apostoli Pietro e Giovanni, affermò che i Francescani dovevano seguire l’esempio di san Francesco il quale scelse una vita mista, ossia un’alternanza tra la vita attiva raffigurata da Pietro e la vita contemplativa rappresentata da Giovanni. In questo modo i Frati Minori poterono recuperare quell’equilibrio che aveva vissuto frate Francesco, ossia ritornare nelle città come predicatori di pace e operatori di carità, dopo essersi formati allo spirito del Vangelo negli eremi.

Bernardino da Siena morì il 20 maggio 1244 e il 24 maggio 1450 venne canonizzato; in questo modo anche la sua riproposta della vita mista, ossia d’alternanza tra vita attiva e vita contemplativa, condotta da san Francesco trovò un’ulteriore conferma pontificia e i Francescani poterono intraprendere speditamente tale strada.

I Francescani della seconda metà del Quattrocento, proprio stimolati e confermati da tale modello di santità, ritennero la predicazione sociale come un elemento costitutivo della loro vocazione e così senza remore passavano dagli eremi alle città come predicatori di pace e operatori di carità. Visto che la carità è sempre creativa, contrariamente all’egoismo, essi seppero dare inizio e incentivare nuove opere con fini sociali, come appunto i Monti di Pietà e i Monti Frumentari.

La loro predicazione sociale toccava vari argomenti, dal gioco d’azzardo alla magia, dall’usura alla famiglia, ma una particolare at
tenzione fu prestata alla moralità dei mercanti. Così i Minori affermavano che il mercante deve essere colui che gode di buona fama, in quanto attento al bene comune ed alla felicità pubblica, e fornirono alcuni criteri per riconoscerlo, o meglio, per discernere chi non lo fosse stato in modo autentico.

Dato lo stretto legame tra attività commerciale ed attenzione alla comunità, ne consegue il fatto che non ci si possa fidare di coloro che vivono non pienamente integrati nella vita civica e le cui attività sono giudicate dai Francescani come la negazione dell’economia solidale e mercantile che deve, al contrario, caratterizzare il vero mercante. Proprio ciò diventa il presupposto ideologico della fondazione dei Monti di Pietà che verranno ad esprimere un progetto economico di sviluppo favorito dalle stesse autorità pubbliche[5].

Coloro che sono dediti all’economia devono essere uomini di fede, come mostrano le prediche di Bernardino da Siena, innanzitutto nella loro famiglia per poi esserlo nel mercato, a beneficio di tutta la città. Non c’è la distinzione tra vita privata e impegno pubblico, ma tutta la persona del mercante è chiamata a vivere nella bontà che si manifesta nel retto uso del denaro. Infatti le ricchezze non devono essere accantonate improduttivamente, ma fatte circolare in modo produttivo.

Persino la restituzione di ciò che è stato tolto ingiustamente va differita se essa va a scapito del bene di tutta la comunità, così come il fallimento di un commerciante incapace è da favorirsi se significa uscire da una situazione di improduttività. In questa maniera si spiega anche la predicazione contraria alle spese futili, come i monili femminili, che sottraggono ricchezza destinata all’utilità della comunità, la quale è il fine ultimo della vita economica, come mostrano appunto i Monti di Pietà e i Monti Frumentari.

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*Padre Pietro Messa è Preside della Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani della Pontificia Università Antonianum di Roma

NOTE

1) P. Messa, Le fonti patristiche negli scritti di Francesco di Assisi, prefazione di G. Miccoli, Assisi, 1999, 122-124.

2) G.G. Merlo, Tra eremo e città. Studi su Francesco d’Assisi e sul francescanesimo medievale (Medioevo Francescano. Saggi, 2), Assisi 1991.

3) P. Messa, Frate Francesco tra vita eremitica e predicazione, Assisi 2001.

4) F. Accrocca, Dall’alternanza all’alternativa. Eremo e città nel primo secolo dellOrdine francescano: una rivisitazione attraverso gli scritti di Francesco e le fonti agiografiche, in Via Spiritus 9 (2002), 7-60.

5) G. Todeschini, Ricchezza francescana. Dalla povertà volontaria alla società di mercato (Intersezioni, 268),Bologna 2004.

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ZENIT Staff

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