"La persona non è mai un essere isolato"

Discorso del cardinale Bozanic all’Incontro dei Direttori Nazionali per la Pastorale dei Migranti in Europa

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Proponiamo di seguito l’intervento tenuto oggi dal cardinale Josip Bozanić, arcivescovo di Zagabria (Croazia) e presidente della Sezione Migrazioni della Commissione “Caritas in Veritate” del CCEE, all’Incontro dei Direttori Nazionali per la Pastorale dei Migranti in Europa, in corso a Malta, dal 2 al 4 dicembre 2013.

*** 

1. A nome della presidenza del CCEE e in particolare della Commissione Caritas in Veritate del CCEE sono lieto di salutare tutti i partecipanti a quest’incontro. In modo particolare desidero ringraziare Sua Eminenza il Cardinale Antonio Vegliò per la sua presenza qui tra di noi.

Voglio estendere un ringraziamento molto speciale a tutti i membri della Conferenza Episcopale di Malta: a Sua Eccellenza Mons. Paolo Cremona, Arcivescovo di Malta, al Vescovo Ausiliare Mons. Charles Scicluna, a S.E. Mons. Mario Grech, presidente della Conferenza Episcopale maltese e Vescovo di Gozo, a padre Alfred Vella: grazie per tutto l’impegno che avete dedicato nella preparazione di quest’incontro ma anche per tutto quello che a nome della Chiesa avete fatto e fate per i tanti rifugiati che arrivano a Malta.

Saluto cordialmente e ringrazio per l’accoglienza che ci hanno riservato anche i ministri della Repubblica di Malta qui presenti: l’On. Dr. Emanuel Mallia e l’On. Dr.ssa Helena Dalli.

Saluto ognuno dei partecipanti a questo nostro incontro: vi ringrazio per aver aderito a questo nostro invito! Il compito della pastorale per i migranti e i rifugiati noi lo vediamo ben riassunto nella testimonianza che voi stessi ci offrite:  essere per questi uomini e queste donne un sostegno, difenderli dai tanti cattivi interessi di chi vede in loro solo una merce di scambio, e prima di tutto essere per i migranti in Europa la presenza e l’abbraccio di Cristo che viene loro incontro per amarli e rivelare loro che agli occhi del Padre ogni vita umana ha un valore inestimabile. 

2. Permettetemi alcune riflessioni sul tema del nostro incontro dal titolo “La pastorale per i migranti e i rifugiati tra integrazione e inclusione”, e sulle sfide odierne che in Europa fanno seguito all’impressionante fenomeno della mobilità delle persone nel nostro continente.

In primo luogo l’orizzonte dentro il quale prendono forma questi incontri che il CCEE organizza per i delegati delle Conferenze Episcopali per la pastorale dei migranti è proprio l’attività pastorale della Chiesa presso i migranti (siano essi lavoratori legali o illegali che si spostano all’interno dell’Europa o che vengono da altri continenti, che siano studenti, rifugiati o richiedenti di asilo).

L’approccio pastorale che la Chiesa propone obbliga tutti coloro che vi sono coinvolti innanzitutto ad un realismo nel modo di guardare la realtà delle persone e delle comunità di migranti, evitando quindi di ridurre la questione e la problematicità del tema a valutazioni meramente economiche, sociologiche o di carattere politico.

Tutte le dimensioni della vita umana interessano la Chiesa e attraverso il suo Vangelo, Gesù offre a tutti gli uomini la Parola che sola è in grado di riempire la vita in abbondanza e letizia: il punto di partenza per noi in quanto pastori rimarrà quindi sempre la persona umana in quanto tale e nella sua totalità. Nel suo corpo e nel suo spirito, nel proprio intimo e nella vita sociale, nella famiglia e nel lavoro, sempre la persona è una unità e mai  può essere concepita come una monade. Il metodo “realista” della pastorale di cui stiamo parlando esige quindi una presenza concreta e vicina alle persone fino al punto di saper riconoscere il nome e il volto di ognuno che incontriamo. Soltanto questa vicinanza permette quell’incontro che è il segreto del metodo di Gesù e che, come tante volte insiste il Santo Padre Francesco, permette lo sviluppo di una cultura dell’incontro che combatte la moderna cultura dello scarto, dove le persone sono considerate come oggetti o problemi da risolvere.

Cristo è venuto ad incontrare ogni persona e il metodo con il quale si avvicina oggi è sempre lo stesso, proprio come duemila anni fa: si fa prossimo all’uomo di oggi attraverso i suoi discepoli, che Lui manda nel suo nome per raggiungere ognuno. Tante volte la pastorale dei migranti garantisce questa presenza in una modalità che le parrocchie locali non riescono ad assicurare, proprio perché a causa della lingua e della cultura sono necessarie persone che possano far sentire ognuno accolto come a casa. 

3. In questo senso sono contento che avremo tempo di riflettere insieme sulla cooperazione tra le chiese locali in questo ambito. Non saranno sicuramente soltanto le varie “strutture” costruite da mani d’uomo a poter sviluppare una buona pastorale dei migranti: è necessario un modo di vivere la pastorale dove l’io di ognuno e le ricchezze culturali con cui ognuno arriva siano accolte, rispettate e promosse. La cooperazione tra chiese locali e le missioni nazionali o linguistiche è molto importante: cerchiamo di non proporre mai l’idea che queste siano tra loro concorrenti o che una formula debba sostituire l’altra! Come si può osservare in tanti luoghi in Europa dove una sana cooperazione tra le due realtà esiste, quando le Chiese di origine sono impegnate nell’accompagnamento dei propri figli che partono verso altri Paesi e le chiese dei Paesi che accolgono i migranti sono vere chiese evangelizzatrici e accoglienti, solo allora, col passare del tempo e con pazienza – alle volte dopo una o due generazione – la bellezza della comunione di fede fruttificherà. In questo modo l’integrazione diventa possibile senza forzare un’inclusione in poco tempo. Come ha scritto il Santo Padre Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium:“la comunità evangelizzatrice si dispone ad “accompagnare”.  Accompagna l’umanità in tutti i suoi processi, per quanto duri e prolungati possano essere. Conosce le lunghe attese e la sopportazione apostolica. L’evangelizzazione usa molta pazienza.” 

4. A volte la società e quindi anche la Chiesa si confrontano con idee e progetti politici che, purtroppo, non hanno come orizzonte il bene comune e la giustizia ma soltanto gli interessi di una parte. Il fatto che la Chiesa prenda le mosse non soltanto dalla giustizia ma anche dall’insegnamento della carità da un lato la fa essere vero difensore della giustizia – quando si ama una persona si lotta per la giustizia – ma dall’altro garantisce che essa non smetterà mai di abbracciare ogni persona anche laddove manchi la giustizia. Anche quando il mondo fa distinzione tra le persone, la Chiesa, seguendo il Signore Gesù, non lo fa mai. Spesso infatti la Chiesa è l’unica voce e l’unico volto amico che si avvicina e che difende ognuno, a prescindere da ogni discriminazione. Certamente il compito della Chiesa non è quello di “cambiare il mondo” diventando una strategia politica, ma di portarlo all’incontro con Cristo. La presenza di Gesù Cristo nella vita spinge sempre chi Lo ha già incontrato a “uscire fuori”, a coinvolgersi con chi soffre di più, a cercare la giustizia e quindi a diventare lievito di un mondo migliore, come ricorda il Papa nel messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del rifugiato del 2014. Insomma l’incontro con Cristo porta alla conversione che cambia il mondo.

La nostra presenza qui a Malta ci spinge a non dimenticare le tante persone che attraversano il mare Mediterraneo in condizioni così disumane alla ricerca di un mondo migliore con un sogno tra le mani che spesso si trasforma in un incubo. L’Unione Europea e i diversi Paesi europei non possono chiudere gli occhi difronte al dramma di questa gente o lasciare tutta la responsabilità sulle spalle dei singoli Paesi di frontiera. Al contrario, devono impegnarsi sempre più seguendo le più profonde radici e eredità che l’Europa ha ricevuto dalla fede cristiana, aiutando sia le persone sia le comunità ed i sing
oli Paesi di origine e di arrivo perché la giustizia ed il bene comune non siano calpestati.

Non dimentichiamo neanche tutti quelli che a causa della crisi economica in Europa sono costretti a cercare un lavoro spesso lontano dalle loro case. Questo fatto ci obbliga ad un’attenzione pastorale di tutte queste persone perché la crisi sia, come diceva Papa Benedetto, un’opportunità e non il cadere in un secolarismo materialista. 

5. Quando i problemi umani sono guardati esclusivamente attraverso una lente economica avviene una riduzione antropologica così forte che – come è avvenuto con il marxismo- che nessuno riuscirà a rimanere in pace. Proprio per questo è necessario un sincero impegno da parte della Comunità internazionale per la pace e per lo sviluppo dei Paesi africani.

Lo sviluppo non può, però, essere considerato fine a se stesso, come un’ideologia da perseguire: il solo vero progresso è il raggiungimento del bene che il cuore umano, creato da Dio e per Dio, cerca continuamente. Mantenere vivo nel cuore dell’uomo, anche in quello dell’emigrato o rifugiato che si sente solo o che non è ben accolto, questa sete di Dio e testimoniare l’amore di Dio che viene all’incontro di ciascuno di noi, questo è compito di una Chiesa viva che accoglie ma che si fa anche compagna di strada nei viaggi che i suoi figli intraprendono. Queste persone che non si lasciano omologare o ridurre agli scopi economici sono i veri protagonisti di una cultura nuova.

La persona non è mai un essere isolato: essa appartiene ad una comunità e, in modo particolare, ad un famiglia. Non potrà mai esserci una politica migratoria giusta se essa non presuppone la famiglia come sua base! E non ci sarà mai uno sviluppo integrale al di fuori di questa dimensione comunitaria! Il Papa scrive ancora nella sua recente Esortazione Apostolica: “l’individualismo postmoderno e globalizzato favorisce uno stile di vita che indebolisce lo sviluppo e la stabilità dei legami tra le persone, e che snatura i vincoli familiari. L’azione pastorale deve mostrare ancora meglio che la relazione con il nostro Padre esige e incoraggia una comunione che guarisca, promuova e rafforzi i legami interpersonali.” (EG 67). 

San Paolo, che è approdato proprio su queste spiagge e che ha lasciato una fede viva e radicata in questo popolo, ci ha anche insegnato il bisogno dell’andare incontro di tutti, anche di quanti arrivano da Paesi lontani o lasciano la propria casa. Affidiamo al grande evangelizzatore questo nostro incontro e le riflessioni che qui nasceranno, chiedendo la sua intercessione perché la grazia di Dio faccia germogliare quello che qui il Suo Spirito ci suggerirà. 

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ZENIT Staff

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