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La metafisica aristotelico-tomistica (Settima parte)

Ente come essenza

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Il mondo è un insieme di sostanze, le quali sono gli individui che esistono concretamente: questi alberi, questi gatti, questi ciclamini ecc. Aristotele usava l’espressione tode ti “questo qui” come sinonimo di sostanza, per significare che le sostanze sono individuali e si possono indicare con un dito: esiste non l’umanità, ma questo o quell’uomo, Andrea o Giovanni, che vive in un dato tempo e in dato spazio.

L’esistenza è sempre e soltanto l’esistenza di sostanze, cioè di individui concreti.

Tutto ciò che è collettivo, come lo stato, il partito, il sindacato, non esiste.

Popper afferma giustamente che la società non esiste, anche se “la gente […] crede alla sua esistenza e di conseguenza dà la colpa di tutto alla società o all’ordine sociale”[1].

Il filosofo afferma l’esistenza soltanto degli individui e nega la realtà di tutto ciò che è collettivo, inoltre sottolinea che “uno dei peggiori sbagli è credere che una cosa astratta sia concreta. Si tratta della peggiore ideologia”[2].

Secondo Popper esistono i singoli poliziotti e i singoli uomini politici, ma non esistono né la polizia né i partiti, e lo stesso discorso vale per tutte le istituzioni sociali. Esse sono tutte “cose astratte”.

Il più autorevole discepolo di Popper, Dario Antiseri, sostiene che il suo maestro si ispira alla scuola austriaca di economia, la quale ha messo in crisi l’atteggiamento collettivistico che è specifico delle scienze sociali. Esse, infatti, considerano l’individuo umano come un membro di un tutto sociale, cioè di una struttura, e nella sociologia “è addirittura impossibile immaginare l’esistenza di un uomo separato dal resto dell’umanità e non connesso con la società”[3].

Il caposcuola degli economisti viennesi, von Mises, ha rivoluzionato i tradizionali modelli interpretativi delle scienze sociali, affermando che il loro vero oggetto di indagine sono le azioni degli individui umani e non le strutture e il loro funzionamento.

La vita umana, secondo questo autore, “è una sequenza incessante di azioni singole”[4], le quali, comportano una infinità di conseguenze sociali, indipendentemente dagli scopi che si prefiggono gli individui che agiscono.

Questo modo di pensare, che pone al centro della riflessione l’individuo, è stato aspramente criticato dalle scuole di ispirazione hegelo-marxista e strutturalista che fagocitano gli individui all’interno di strutture onnivore come la classe, il partito, lo stato[5].

Von Mises non nega che totalità collettive come “le nazioni, gli stati, le municipalità, i partiti, le comunità religiose” possano addirittura determinare la vita umana[6], ma sottolinea che “una collettività funziona sempre per l’intermediazione di uno o parecchi individui[7].

Esemplificando la sua tesi, l’autore aggiunge: “Il boia, non lo stato, giustizia il criminale. E’ la riflessione degli interessati che discerne nell’azione del boia un’azione dello stato”[8].

L’esistenza di nazioni, stati e chiese “diventa discernibile soltanto nelle azioni di certi individui[9], i quali, soltanto, propriamente esistono, mentre “è illusorio credere che sia possibile visualizzare dei tutti collettivi”[10].

Esistono soltanto sostanze individuali, ma come si distinguono l’una dall’altra? Come si distingue un’anatra da un pesce, un fiore da un albero, ecc. ?

Irwin scrive in proposito:

“L’individuo è tale […] perché è un che di determinato, e la determinazione è dovuta alla forma, all’essenza, sicché, senza la forma non esisterebbe alcun tode ti [questo qui] e quindi nessun individuo[11].

L’essenza di una sostanza, cioè la “forma sostanziale”, è il principio di intellegibilità dell’ente-sostanza, ciò che rende possibile la sua conoscenza. Gli individui esistenti non sono identici, ma si differenziano l’un l’altro in riferimento alle diverse essenze: ad esempio, l’essenza di un cavolo è diversa da quella di una sedia e viceversa.

Maritain afferma giustamente che l’essenza è “ciò che […] è presente immediatamente e prima di tutto all’intelligenza, id quod in aliqua re per se primo intelligitur[12].

“Quiddità” è un sinonimo del termine essenza ed esprime in modo esauriente cosa significa l’essenza di una cosa. Essa, infatti, è id quod est, ciò che è, una determinata sostanza e risponde alla domanda quid est hoc? Cos’è questo?

Questa domanda, da Socrate in poi, è presente in tutta la storia della metafisica, il cui tipo di conoscenza, come è stato precedentemente evidenziato, è di carattere non opinativo, ma epistemico, cioè ricerca l’essenza della realtà indagata in vista dell’edificazione di un sapere di carattere assoluto e incontrovertibile.

“Le essenze delle cose – scrive Aristotele – sono come i numeri e non vi sono due numeri uguali”[13]: Ad esempio, l’essenza dell’uomo non è l’essenza dell’animale, e come ogni numero rimane sempre identico a se stesso e non cambia mai (il numero 3 è sempre 3), così le essenze non mutano: l’essenza dell’uomo, così come dell’animale, è sempre la stessa.

Maritain afferma in proposito che l’essenza è “l’ente che la cosa posta davanti all’intelligenza è necessariamente e immutabilmente. […] Così, per esempio, Pietro, finché è, non può non essere uomo. (Al contrario può non essere «seduto»)”[14].

Gli accidenti, come le sostanze in cui ineriscono, possiedono la loro essenza, che consente di distinguerli tra loro, come ad esempio l’essenza della gioia, da quella della tristezza, l’essenza del colore, da quella del suono, ecc.

Maritain, nella sua ontologia di stampo tomistico, ha analizzato l’ente da tre punti di vista (tre oggetti formali), da quello dell’esistenza, dell’intellegibiltà e dell’azione[15]. Dal primo punto di vista ha preso in considerazione la sostanza e l’accidente, dal secondo l’essenza, dal terzo l’atto e la potenza.

Nel prossimo articolo verrà affrontato quest’ultimo tema, seguendo l’impostazione di Maritain, la cui chiarezza espositiva favorisce la comprensione di problemi complessi.

(Il prossimo articolo sarà pubblicato sabato 14 novembre. La sesta parte è stata pubblicata sabato 31 ottobre 2015)

*

NOTE​

[1] K.R. Popper, La scienza e la storia sul filo dei ricordi, Intervista di G. Ferrari, Jaca Book – Edizioni Casagrande, Bellinzona 1990, p. 25.

[2] Ibidem.

[3] L. von Mises, L’azione umana. Trattato di economia, a cura di T. Biagiotti, Unione Tipografica – Editrice Torinese, Torino 1959, p. 40.

[4] Ibidem, p. 44.

[5] Althusser ha afferma: “Gli individui sono soltanto gli effetti della struttura” (L. Althusser, Leggere il capitale, citato in D. Antiseri, Liberi perché fallibili, Rubbettino, Messina 1995, p. 78. Il corsivo è mio).

[6] Cfr. ibidem, p. 41.

[9] Ibidem. Il corsivo è mio.

[10] Ibidem, p. 42.

Riflessioni analoghe a quelle svolte da von Mises riguardo allo stato e alla nazione, possono riguardare anche la Chiesa? Si può affermare che non esiste la Chiesa, ma esiste soltanto questo o quel vescovo, questo o quel presbitero, questo o quel fedele?

Ad una prima analisi sembrerebbe di sì.

Sartre, entrando in una chiesa durante il momento della consacrazione, vede soltanto un prete che beve del vino e alcune donne inginocchiate. Scrive infatti nella Nausea: “Nelle chiese, al chiarore dei ceri, un uomo beve del vino davanti a donne inginocchiate” (J.P. Sartre, La nausea, Einaudi, Torino 1962, p. 61).

Sartre “vede” nella celebrazione eucaristica solo degli individui che compiono un rito, mentre de Lubac “vede” la presenza reale di Gesù Cristo in un sacramento, il quale rende possibile l’unità ecclesiale. Scrive il teologo, commentando la Didaché: “Come il pane e il vino formati da una miriade di chicchi di grano e di gocce di spremute da grappoli di uva, così questa comunità si forma dall’unificarsi di tutte queste persone che partecipano alla stessa eucaristia e diventano pertanto membra dell’unico corpo di Cristo” (H. de Lubac, citato in P.J. Cordes, Partecipazione attiva all’Eucaristia, la “actuosa partecipatio”nelle piccole comunità, Edizioni San Paolo, Roma 1996, p. 80).

Le singole persone che partecipano al banchetto eucaristico sono membra del corpo mistico di Cristo, il quale vive in esse e fonda e alimenta, nel contempo, la Sua Chiesa.

La Chiesa, in quanto Corpo di Cristo, trascende sempre gli individui che la compongono; essi infatti sono le membra di Cristo, il quale è il capo del Corpo, colui che guida la Chiesa tramite i suoi Pastori, cum Petro et sub Petro.

La Chiesa è quindi soprattutto Gesù Cristo vivo oggi in una comunità ecclesiale, la quale costituisce il Suo popolo.

La Chiesa in quanto Corpo di Cristo esiste, a differenza delle altre istituzioni. Essa infatti, come afferma Benedetto XVI, “non è una struttura; noi stessi cristiani, insieme, siamo tutti il Corpo vivo della Chiesa” (Benedetto XVI, Incontro con i parroci e il clero di Roma, Aula Paolo VI, Roma 14 febbraio 2013).

Un corpo che è chiamato a dare la vita, che ha ricevuto da colui che è la Vita, per annunciare il Vangelo a tutte le genti, fino ai confini del mondo.

[11] T. Irwin, I principi primi di Aristotele, Presentazione di G. Reale, Introduzione di R. Davies, Vita e Pensiero, Milano 1996, p. 513.

[12] J. Maritain, Elements de philosophie, cit., p. 140.

[13] Aristotele, Metafisica, VIII, 3, 1043b32-1044a2.

[14] J. Maritain, Elements de philosophie, cit., p. 143.

[15] Cfr. ibidem, pp. 136-183.

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Maurizio Moscone

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