La mappa del sacro. Le reliquie del Giovedì Santo

Dal “Sacro Catino” conservato a Genova, alla tavola dell’ultima Cena dell’altare del Santissimo Sacramento nella Basilica Lateranense

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Il culto delle reliquie nella Chiesa Cattolica è antichissimo. Si può dire che esso è diretta emanazione della teologia dell’incarnazione perché, se come noi cristiani crediamo, è vero che il divino ha preso la forma umana nella persona di Gesù di Nazaret, allora è altrettanto vero che tutto ciò che può essere concretamente vicino alla sua persona ci può avvicinare a Lui. Le reliquie non sono prove del mistero dell’incarnazione, per di esse è difficile dimostrarne l’autenticità, tuttavia è interessante poterle avvicinare e conoscere perché comunque ci invitano a guardare a Dio come a “qualcosa” di concreto.

Siamo nella Settimana Santa e vogliamo dunque provare a conoscere qualcosa di quelle reliquie che sono legate alle ultime ore di vita di Gesù. Partiamo da quelle che la tradizione lega all’ultima cena e quindi al giovedì santo

I vangeli sinottici e la prima lettera ai Corinzi narrano che Gesù durante la sua ultima cena, desiderando donare tutto se stesso, istituì il sacramento dell’eucaristia attraverso i segni del pane e del vino.

Secondo la tradizione il piatto che fu usato per contenere il pane azzimo adoperato da Gesù si trova a Genova nel Museo del Tesoro della Cattedrale di San Lorenzo. Tale reliquia viene chiamata “Sacro Catino” e viene nominata per la prima volta da Jacopo da Varagine il quale racconta nella celeberrima Legenda Aurea che durante la prima crociata dei soldati genovesi vennero in possesso di questa reliquia dopo aver espugnato la città di Cesarea. Il piatto ha una forma esagonale, è di cristallo bizantino di colore verde. Dalle indagini scientifiche effettuate su questo oggetto sembrerebbe che esso sia databile attorno IX-X secolo e sia di origine araba.

Invece il calice che Gesù avrebbe adoperato durante l’ultima cena si trova a Valencia (Spagna). Chi oggi lo può ammirare nella cattedrale della città iberica vede un vero e proprio calice, ma ad una analisi più attenta questo oggetto risulta composto di tre parti. La più antica è formata da una piccola coppa di agata corallina. Questa coppa sarebbe quella adoperata durante l’ultima cena. Essa effettivamente risale al primo secolo dopo Cristo ed è geograficamente compatibile con i manufatti dell’area medio-orientale. Le doppie impugnature che costituiscono la parte centrale risalgono invece al IX secolo. Ancora più recente è la parte bassa del calice che ad un periodo compreso fra il X e l’XI secolo e collocabile in Egitto. La base è riccamente ornata con pietre preziose. Secondo la tradizione questo calice venne usato anche da San Pietro che lo portò prima ad Antiochia e poi a Roma. Nella Città eterna ne fecero uso anche i suoi successori fino a Sisto II (III sec. d.C.). Di tale uso liturgico sarebbe rimasta traccia nel canone romano nel quale, al momento della consacrazione, si dice “…prese QUESTO calice nelle sue mani”. Sisto II diede la preziosa reliquia al diacono Lorenzo (che è venerato il 10 agosto) il quale lo portò nella sua città natale di Huesca. Da quì, dopo varie vicende, venne trasportato a Valencia dove ancora oggi i cristiani lo possono venerare

L’ultima reliquia della quale parliamo è quella della tavola adoperata per l’ultima cena. Secondo la tradizione è incorporata nell’altare del Santissimo Sacramento della basilica lateranense. Si tratta di una semplice tavola di legno che quasi contrasta con la teatralità barocca del contesto in cui è inserita. Fra le reliquie delle quali stiamo parlando è quella di cui forse si hanno meno elementi storiografici. La sua collocazione presso l’altare ci fa cogliere l’unità del mistero eucaristico che è allo stesso tempo memoriale del sacrificio di Cristo e mensa alla quale il Padre ci invita.

(Articolo tratto da Àncora Online, il settimanale della Diocesi di San Benedetto del Tronto)

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Nicola Rosetti

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