La lotta al Morbo di Hansen di tutti gli uomini di buona volontà

Messaggio del Presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari per la 59ª Giornata Mondiale sulla lebbra

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di Eugenio Fizzotti

ROMA, domenica, 29 gennaio 2012 (ZENIT.org).- «Le persone curate e sanate dalla lebbra possono e debbono esprimere tutta la ricchezza della loro dignità e spiritualità e, inoltre, una piena solidarietà verso gli altri, soprattutto nei confronti di chi ne è stato egualmente colpito ed è stato segnato indelebilmente dall’infezione! Tutte le realtà impegnate nella lotta al Morbo di Hansen devono al contempo continuare con tenacia il proprio lavoro affinché i successi ottenuti siano resi definitivi e sempre migliorati, riducendo il più possibile le ricadute e i nuovi casi».

Inizia così il messaggio che l’Arcivescovo Mons. Zygmunt Zimowski, Presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, ha inviato in occasione della 59ª Giornata Mondiale sulla lebbra che si celebra il 29 gennaio e nel quale ha sottolineato che il Mycobacterium Leprae non è stato ancora sradicato, anche se il numero ufficiale di nuovi contagiati continua a decrescere e attualmente è intorno ai 200mila, secondo le anticipazioni dell’OMS relative al 2010-2011. Ciò vuol dire che, «oltre a sostenere la distribuzione gratuita dei farmaci necessari, occorre promuovere ulteriormente una diagnostica tempestiva e la perseveranza nel sottoporsi alle terapie», sensibilizzando le comunità e le famiglie nell’assumere impegni seri nei confronti di coloro che corrono il rischio del contagio.

Facendo riferimento al messaggio per XX Giornata Mondiale del Malato che ricorrerà l’11 febbraio prossimo nel quale è riportato il passo evangelico “Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato” (Lc 17,19) che racconta di 10 lebbrosi che, guariti da Gesù, sono riammessi nella comunità e reinseriti nel tessuto sociale e lavorativo, il Santo Padre Benedetto XVI, secondo Mons. Zimowski, pone in evidenza l’opportunità che si attuino un approfondimento e una sollecitazione che toccano in particolar modo chi è stato colpito da tale infezione.

Le parole, infatti, che Gesù rivolge all’uomo che, guarito, ritorna lodando Dio a gran voce e si getta ai suoi piedi per ringraziarlo, «aiutano a prendere coscienza dell’importanza della fede per coloro che, gravati dalla sofferenza e dalla malattia, si avvicinano al Signore e nell’incontro con Lui possono sperimentare realmente che chi crede non è mai solo!».

Ciò vuol dire, come ripropone Benedetto XVI e Mons. Zimowski riporta nel suo messaggio, che «la fede di quell’unico lebbroso che, vedendosi sanato, pieno di stupore e di gioia, a differenza degli altri, ritorna subito da Gesù per manifestare la propria riconoscenza, lascia intravedere che la salute riacquistata è segno di qualcosa di più prezioso della semplice guarigione fisica, è segno della salvezza che Dio ci dona attraverso Cristo; essa trova espressione nelle parole di Gesù: la tua fede ti ha salvato. Chi, nella propria sofferenza e malattia, invoca il Signore, è certo che il Suo amore non lo abbandona mai, e che anche l’amore della Chiesa, prolungamento nel tempo della sua opera salvifica, non viene mai meno».

Si tratta, dunque, di un amore profondo e costante che storicamente ha visto coinvolte numerose persone che, partecipando alle iniziative di volontariato ecclesiale proposte dalla Fondazione Raoul Follereau e dall’Ordine Sovrano dei Cavalieri di Malta, hanno favorito come espressione di successo del loro impegno individuale e sociale una forte riduzione del numero di infettati. E l’auspicio avanzato da Mons. Zimowski è che i governi e gli organismi internazionali non cessino di «aumentare l’attenzione e il lavoro contro la diffusione della lebbra né limitino le loro responsabilità per quanto riguarda la prevenzione, in termini educativi e igienicosanitari, e la ‘riammissione’ della persona guarita nonché il sostegno a tutte le vittime dell’infezione».

D’altro lato, continua a leggersi nel messaggio, «chi è stato sanato e ha intrapreso la difficile strada del  reinserimento sociale e lavorativo può comunicare la propria gratitudine anche materialmente, diventando egli stesso testimone, contribuendo alla divulgazione dei criteri di prevenzione e di tempestiva identificazione della malattia nonché  al sostegno morale delle persone infettate; quando possibile, inoltre, cooperando con le strutture e le iniziative ad hoc affinché le terapie necessarie vengano completate e seguite dal reinserimento sociale di chi è stato sanato».

Ciò vuol dire che chi ha ottenuto la guarigione è in grado di comunicare tutta la propria ricchezza interiore e la propria esperienza e nello stesso tempo ha la possibilità sia di venire in aiuto ad altri la cui dignità e profondità di persona è stravolta dalla sofferenza e sia di favorire l’impegno in favore della salute della comunità d’appartenenza.

Conseguenza di tutto questo sarà un ulteriore e rilevante contributo al progresso nella lotta al Morbo di Hansen che per millenni ha rappresentato una piaga terrificante e l’automatica esclusione dalla società.

E poiché solo l’impegno di tutti e a tutti i livelli consentirà di trasformare la lebbra, da minaccia e flagello a memoria, per quanto spaventosa, del passato, Mons. Zimowski invita a rivolgere con coerenza e frequenza la propria preghiera a Maria, Madre di Misericordia e Salute degli Infermi, affidandole tutti coloro che sono colpiti dalla lebbra, «affinché la Sua materna compassione e vicinanza li accompagni sempre anche nella quotidianità della vita».

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ZENIT Staff

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