La lingua scritta, parlata, trasmessa, per colorare l'immaginario

Il linguaggio dell’online risponde a esigenze di comunicazione immediata per esprimere anche visivamente il proprio pensiero

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La lingua italiana sta bene, ha detto il linguista Tullio De Mauro, il problema è come la usiamo. Anche il prof. Gian Luigi Beccaria è dello stesso avviso. Nicoletta Maraschio, già presidente dell’Accademia della Crusca, ha sottolineato che l’italiano non è affatto messo a rischio dal linguaggio di Internet e degli sms.
Il problema è che, a causa della scarsa frequentazione della lettura, i giovanissimi hanno poca confidenza con i vari linguaggi che compongono la nostra lingua, e tendono quindi a usare quello virtuale oltre il suo ambito d’impiego.
Ciò non toglie che quello usato nelle reti di comunicazione virtuale (Facebook, anzitutto) non abbia più le iniziali caratteristiche gergali, ma abbia ormai acquisito la dignità di linguaggio settoriale. Fra le forme assunte da quello che il filologo Francesco Sabatini chiama “italiano dell’uso medio” è stata individuata infatti una nuova variabile nota come “scritto trasmesso”, che comprende appunto il linguaggio di Internet, della posta elettronica, degli sms.
Oltre allo scritto e al parlato, esiste insomma lo “scritto trasmesso” attraverso la comunicazione digitale: un linguaggio che ormai estende la sua influenza anche nei media tradizionali.
Le attuali generazioni di adolescenti, i “nativi digitali”, stanno dunque contribuendo (unitamente alla penetrazione massiccia dell’inglese) all’evoluzione dell’italiano: i vocabolari della nostra lingua non possono che accogliere periodicamente i neologismi, i calchi, i prestiti (integrali o adattati) usati dai giovani sia nel virtuale sia, ormai, nella lingua parlata e in quella scritta. Esiste poi tutto un catalogo di abbreviazioni impiegate da chi comunica online.
La pratica di abbreviare le parole scritte ha radici insospettabili nella nostra cultura classica. Non credo che Cicerone si sarebbe scandalizzato dell’odierna scrittura digitale. Il suo liberto Marco Tullio Tirone usò un codice di abbreviazioni (fra cui quel “7” al posto di “et” noto come “nesso tironiano”) che il grande arpinate, nell’Orator, non considera dannoso per la regolarità grammaticale della lingua. In fondo non c’è poi una differenza così marcata fra il “cm stai”, “dv 6?” dell’odierna lingua dei social network e l’antico “9” usato in luogo di “cum”, che dava luogo, per esempio, a “9cedo” per “concedo” (già attestato dal grammatico Valerio Probo nel I secolo d.C.).
Nel medioevo le abbreviazioni per contrazione e per sequenza consonantica furono incrementate dai copisti, per esempio “ds” per “Deus”, “pp” per “propter”. Quando oggi i ragazzi scrivono l’avverbio di negazione “nn” usano inconsciamente lo stesso procedimento abbreviativo.
In tempi decisamente più vicini ai nostri scopriamo che nelle lettere della famiglia Leopardi è abituale l’uso di “ñro” per “nostro”, “q˜do” per “quando”, “g˜no” per “giorno”. Nella corrispondenza epistolare ottocentesca è frequente trovare altre sequenze alfanumeriche come “8bre” per “ottobre”, “9bre” per “novembre” e “Xbre” per “dicembre”. L’esigenza di una scrittura veloce è sempre stata la miglior spinta verso questi accorgimenti.
Mentre l’odierna continua creazione di forme abbreviate ha determinato un’evidente risalita delle nuove coniazioni nel parlato (“info”, “demo”, “prof”, sono solo alcuni dei numerosi esempi tratti dall’uso vivo), appare sempre più frequente presso i giovani l’uso di sequenze come “qcs” per “qualcosa”, “qnd” in luogo di “quando”, “cmq” per “comunque”.
Fino a non molti anni fa, quando ancora non esisteva un linguaggio per l’online, sarebbe stato impensabile comunicare con abbreviazioni del genere. La scrittura attraverso macchina da scrivere o l’uso più recente dei videoterminali non facevano altro che riprodurre le caratteristiche di un testo che nasceva come scritto e tale doveva rimanere.
Quello che accade oggi è invece esattamente il contrario: il “novum” dello “scritto trasmesso” è nella sua valenza di forma dialogica, intimamente legata al contesto e agli interlocutori. Non c’è solo una rinnovata esigenza di velocità e di economia (come poteva accadere in passato negli esempi citati) a determinare il linguaggio dei giovani quando si collegano online. Il disinvolto uso di simboli quali “faccine” (cosiddetti “emoticon”) o “adesivi” risponde piuttosto a esigenze di comunicazione immediata, al tentativo di coinvolgere in modo più pervasivo possibile chi legge, cioè chi è online in quel momento.
Alla scrittura su chat e social network presiede ormai la mimesi del parlato. Vi è anzitutto un ampio uso dei segnali “demarcativi”, che indicano l’inizio, la ripresa o la fine di un intervento come avviene dal vivo (“ciao a tutti”, “ecco”, “chiaro, no?”, “cioè”), e dei segnali cosiddetti “fatici”, che assicurano il contatto con l’interlocutore stimolandone la partecipazione (“guarda”, “senti”, “dai”, “vedi”, “figurati”). Si tratta in ogni caso di accorgimenti tali da indurre nel lettore la comprensione non solo del testo, ma di tutto ciò che è presente a livello di oralità, quali la forza, l’intonazione, il ritmo, la durata con cui vengono pronunciate le parole.
Si sarà notato che molte volte i ragazzi digitano più vocali (“sono stato mooolto bene!”) proprio per mettere in rilievo un’intenzionalità assertiva che, nel passaggio da oralità a scrittura, andrebbe altrimenti persa. Se si pensa che nella comunicazione verbale il 55% del significato è indotto da stimoli visivi, si può affermare che lo “scritto trasmesso” si pone come l’unico linguaggio in grado di ridurre questo gap, simulando l’immediatezza e la ricchezza del dialogo; tende anzi a diventare un sostitutivo dell’oralità.
Al mezzo telefonico non pochi fra i giovanissimi preferiscono la scrittura online, che ha dalla sua una carica espressiva alternativa e più accattivante, più ludica di quella “semplicemente” orale. Anche l’iterazione smodata dei puntini di sospensione, dei punti interrogativi e di quelli esclamativi, ha l’effetto di esprimere anche visivamente il proprio pensiero. Il linguaggio deve coinvolgere tutti i sensi di chi è connesso in quel momento, anzi deve convincerlo. In realtà chi “parla” online con i propri coetanei fotografa anzitutto se stesso con tutti i mezzi a disposizione pur di rendere presente agli altri il proprio stato d’animo complessivo. Il linguaggio dell’online è un mezzo per descrivere in modo esaustivo, enfatico, diretto, le proprie emozioni del momento.
Forse siamo arrivati, se mi si consente, a una sorta di “impressionismo del linguaggio”: il giovane che digita su social network e smartphone vuole gettare là le sue frasi a effetto, le sue pennellate di luce e colore, per poi riconoscere se stesso nell’approvazione che presumibilmente riceverà. Ho negli occhi le espressioni di mio figlio quando chatta con gli amici: tutta la sua persona è implicata in questo rapporto comunicativo particolarmente intenso, irrinunciabile.
Il rischio è che i difensori dell’italiano standard non comprendano l’importanza assunta dallo “scritto trasmesso” e la sua specificità: l’italiano si allarga ancora, e proprio l’uso quotidiano provvede a riformularne i confini. Manzoni, che alla “questione della lingua” dedicò riflessione continua e, fra l’altro, il trattato incompiuto Della lingua italiana, sosteneva che l’uso vivo giustifica la violazione della norma grammaticale. Le resistenze dei puristi nella storia della lingua italiana non hanno mai avuto esito fortunato; avversare il linguaggio della comunicazione online sarebbe indice di una ristretta considerazione delle varietà assunte dall’italiano.
D’altra parte il giovane scrivente sa, o almeno intuisce, che un testo destinato alla scrittura tradizionale è altra cosa da una conversazione virtuale; se quindi continua a usare le convenzioni di quest’ultima è solamente per “abulia linguistica”, o per ignoranza dei codici che presiedono ai vari linguaggi. Ciò che occorre curare è allora la coscienza dello scrivente, la consapevolezza del linguaggio da usare in rapporto al mezzo di comunicazione scelto.
 
 

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Marco Righetti

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