La grazia dell'obbedienza

Omelia per la Messa Crismale di monsignor Bruno Forte

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ROMA, giovedì, 5 aprile 2012 (ZENIT.org).- Pubblichiamo l’omelia per la Messa Crismale pronunciata oggi da monsignor Bruno Forte, arcivescovo metropolita di Chieti-Vasto (Abbruzzo).

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Miei carissimi Sacerdoti e Diaconi,
carissimi Religiosi e Religiose,
carissimi Fedeli tutti!

L’omelia della Messa Crismale – celebrazione dell’unità diocesana intorno al Vescovo – è anche l’occasione in cui il cuore del Pastore si apre per parlare ai suoi, in modo particolare ai preziosi collaboratori nel ministero dell’unità, i presbiteri e i diaconi, e con loro a tutto il popolo santo di Dio. È il momento, umile e solenne, in cui mi è possibile focalizzare con Voi l’attenzione su quanto più mi sembra necessario evidenziare per la crescita comune nella fede, nella speranza e nella carità. Ecco perché quest’anno vorrei dedicare la mia omelia al tema dell’obbedienza, virtù incomprensibile alla logica di questo mondo, e tuttavia preziosa se vissuta nella libertà dei figli di Dio, che intendano piacere a Lui e compiere la Sua volontà.

Che l’obbedienza risulti incomprensibile a una visione soltanto mondana lo si può capire: le immani violenze di tutti i sistemi totalitari del Novecento sono state commesse in nome di un’obbedienza cieca ai capi, la cui voce veniva fatta passare come quella della ragione universale da imporsi a tutto e a tutti, per il presunto bene di ognuno. Nel contesto dell’ideologia trionfante maturò la protesta di don Lorenzo Milani e dei suoi ragazzi della Scuola di Barbiana, con il loro manifesto “L’obbedienza non è più una virtù”. Si trattava di rivendicare la giusta autonomia della coscienza, di quel volere e fare il bene che viene prima di ogni comandamento estrinseco, determinato dalla violenza della massificazione ideologica. Nella cultura dominata dal sistema dei blocchi contrapposti, nello scontro fra gli imperialismi d’Oriente e di Occidente, si poteva ben capire quel grido di protesta, quella doverosa apologia della libertà. In realtà, però, se si era giunti a pervertire l’autonomia morale pretendendo di ridurla ad assenso cieco al potere, questo era avvenuto a causa di una mancanza originaria: al principio di tutti i totalitarismi della modernità sta un’idea di autonomia assoluta della ragione umana, che l’ha sganciata dal dovere morale verso la sovranità e la trascendenza di Dio. Se Dio non esiste, tutto è permesso (Dostoevskji)! Questa è stata la tragica evoluzione del concetto moderno di libertà. Scrive il grande pensatore italo-tedesco Romano Guardini: “L’esigenza morale diviene sempre più una legislazione autonoma dell’uomo, mentre il richiamo del sentimento a Dio svanisce progressivamente e il bene, staccato dalla sua radice metafisica, perde la sua forza vincolante. Di qui la profonda crisi della coscienza morale del nostro tempo. In larga misura l’uomo non capisce più per quale ragione dovrebbe rinunciare, per amore del bene, a cose che gli sembrano utili o farne altre che esigono sacrificio; ne consegue il nichilismo etico: grazie ad esso … la motivazione etica vera e propria, cioè quella della suprema altezza di senso del bene, svanisce e viene sostituita da quella derivante dalla motivazione legata all’incremento della vita, all’utilità e infine al godimento” (Etica. Lezioni all’Università di Monaco (1950-1962), Morcelliana, Brescia 2001, 467).

Chi vuol essere unica norma a se stesso, sperimenterà forse l’ebrezza di un senso esaltato di libertà, ma non solo non sarà veramente libero, quanto piuttosto finirà col lasciarsi soggiogare dalle logiche mondane del potere, del piacere o dell’avere. Se si assolutizza il proprio punto di vista, si perde il senso dell’insieme e alla fine viene meno anche la percezione della realtà e la capacità di cogliere la bellezza del disegno di Dio su ciascuno e su tutti. È qui che l’obbedienza della fede ci appare in tutto il suo potenziale di autentica libertà: veramente, nessuno è libero come chi è libero dalla propria libertà per amore di Dio e degli altri! Chi vive nell’orizzonte del primato di Dio, sa che la vita non è semplice autoaffermazione, ma risposta, una risposta libera e liberante d’amore a Colui che nel Suo mirabile disegno ci ha creati e inviati. È quanto ci ricorda il profeta Isaìa, parlandoci dell’Unto del Signore (61, 1-3.6. 8-9): “Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore…”. Chi si lascia condurre dalla volontà dell’Eterno, non solo conosce la gioia e la pace vera del cuore, ma diventa il consolatore degli afflitti, il difensore dei deboli, il padre dei poveri. Con chi agisce così, il Signore “concluderà un’alleanza eterna” e la sua opera susciterà e confermerà “la stirpe benedetta dal Signore”. Chi si fida incondizionatamente di Dio e consegna a Lui la Sua vita attraverso le mani e il cuore dei legittimi Pastori – come siamo chiamati a fare noi, consacrati del Signore – potrà dire di sé col Salmo (Sal 68): “Canterò per sempre l’amore del Signore”, e di lui il Signore dirà: “La mia fedeltà e il mio amore saranno con lui e nel mio nome s’innalzerà la sua fronte”.

Il testo tratto dall’Apocalisse (1,5-8) ci fa capire, poi, quale sia il vero scopo, il senso ultimo e profondo dell’obbedienza vissuta nella fede: “A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue… la gloria e la potenza nei secoli dei secoli”. A chi dice a Dio il suo “Amen”, umile e convinto, generoso e fedele, l’Eterno risponde dicendo: “Sì, Amen! …Io sono l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!”. L’inizio e il fondamento della nostra vita e della nostra missione, la loro origine e il loro termine non sono in noi stessi, ma in Dio: è la Sua gloria che conta, non la nostra, effimera e mortale! A che serve salvare la propria vita per poi perderla? Chi vive l’obbedienza che il Signore gli chiede attraverso i Suoi inviati, i pastori del Suo popolo santo, potrà avere anche l’impressione di perdere la propria vita: ma è così che la salverà e la renderà feconda, con l’esempio e la forza di Gesù. “Chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà. Infatti quale vantaggio c’è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita?” (Mc 8,35-36).

Il brano del Vangelo secondo Luca (4,16-21) ci conferma che questa è stata la scelta di Gesù stesso davanti alla Sua vita e alla Sua missione: Egli ha voluto essere totalmente docile allo Spirito mandato su di Lui dal Padre, e nel soffio dello Spirito – cioè nella docile obbedienza a Dio – ha vissuto i giorni della Sua carne e la Sua morte in Croce. Proprio così, però, la Sua vita è stata feconda per la salvezza di tutti: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore”. Così, il Figlio eterno fatto uomo imparò l’obbedienza, come ci dice l’Autore della Lettera agli Ebrei: “Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono” (Eb 5,7-10). Se Gesù ha imparato l’obbedienza per viverla fino in fondo sino all’abbandono supremo sulla Croce, potremo noi seguire altra via di salvezza per noi e chi ci è affidato e di fecondità per il nost
ro ministero al di fuori dell’obbedienza? Nell’obbedienza sarà la nostra pace!

Se, dunque, Dio Ti chiama attraverso il Vescovo a dare la Tua disponibilità, a vivere un servizio diverso da quello che fai o a viverlo in un luogo diverso, secondo le necessità dell’insieme, fidati! Non attaccarTi alla logica delle sicurezze umane o peggio delle valutazioni umane di potere, non invocare l’età o i legami che hai creato per restare nell’immobilismo, non resistere a lasciare ciò che Ti viene chiesto di lasciare. Fidati. Allora, nell’obbedienza della fede il Tuo oggi diventerà l’oggi di Dio, come ci assicura Gesù nella Sinagoga di Cafarnao: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato” (Lc 4,21). Chiedo per me e per Voi il dono grande dell’obbedienza, la grazia di una prontezza umile, docile e fedele nell’obbedire, che sia vissuta per amore di Dio e della Chiesa, in una consegna senza condizioni all’Amato, che chiama attraverso chi Lui stesso ha scelto come voce del Suo cuore. Nell’obbedienza salveremo le nostre anime e quelle degli altri! Maria, Vergine dell’ascolto e dell’obbedienza fedele, interceda per noi e ci ottenga il dono dell’obbedienza della fede. Lo chiediamo al Figlio Suo e Salvatore nostro, il Signore Gesù, modello meraviglioso e irradiante d’obbedienza:

Signore Gesù, con l’esempio della Tua obbedienza Tu ci guidi alle sorgenti delle acque della vita: donaci, Ti preghiamo, la libertà del cuore, non l’apparente libertà dello scegliere l’una o l’altra cosa, ma la libertà più profonda, quella fatta di sacrifici e di offerte nascoste, quella che nasce dal dono incondizionato di sé, vissuto nell’obbedienza della fede e dell’amore a Te. Fa’ che, liberi nella libertà dell’amore, possiamo essere, in questo tempo nella nostra vita mortale, testimoni della libertà che viene dall’obbedienza della fede. Rendici, Ti preghiamo, servi obbedienti chiamati a lavorare nella Tua vigna quale umile anticipo e caparra del Regno che verrà. Tu, l’Alleanza in persona, donaci di vivere al servizio della Tua Chiesa nell’ascolto e nell’obbedienza d’amore di tutta la vita. Amen. Alleluia!

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ZENIT Staff

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