La forza vitale del popolo dei credenti

Il messaggio di papa Francesco per il presente e il futuro della Chiesa in Italia, proposto durante la sua visita a Firenze in occasione del V Convegno Nazionale

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Il quinto Convegno Nazionale della Chiesa Italiana, svoltosi a Firenze dal 9 al 13 novembre scorsi, ha mostrato anzitutto con i 2400 delegati, che vi hanno partecipato in rappresentanza delle 226 diocesi diffuse su tutto il territorio del Paese e delle numerose realtà aggregative in esse presenti, il volto di un popolo di credenti adulto nella fede e libero nelle sue scelte spirituali, sociali e politiche, vario nella ricchezza dei doni dello Spirito e delle responsabilità vissute nei più diversi impegni e servizi. Credenti di ogni età e condizione, donne e uomini, giovani e adulti, disposti a professare a testa alta la loro fede e il loro essere e volersi fedeli al cielo e fedeli alla terra nella comunione della Chiesa e dei pastori che ne sono guida, hanno dato prova di una intensità di ricerca e di proposta serena ed audace, creativa e umile davanti al primato di Dio. La qualità delle sintesi finali dei lavori di gruppo ne è stata la prova tangibile. È come aver visto farsi volto e storia la profezia del Concilio Vaticano II di una comunità tutta impegnata per la causa del Vangelo, iscritta nel concreto delle vicende della nostra Italia, nel contesto mai obliato della mondialità, cui il senso della cattolicità naturalmente apre. A questa gente viva, responsabile, impegnata Papa Francesco ha rivolto la sua parola incontrandola in una memorabile giornata, quella di martedì 10 novembre, in cui ha proposto un messaggio coinvolgente ed alto, che non esiterei a definire la sua “enciclica” per il presente e il futuro della Chiesa in Italia.

Partendo dal tema del Convegno – “In Cristo Gesù il nuovo umanesimo” – il Papa lo ha tradotto in un’immagine efficace, legata allo splendido luogo in cui i delegati lo hanno ascoltato al mattino, la Cattedrale fiorentina, raccolta sotto la cupola del Brunelleschi, al cui interno è rappresentato il Giudizio universale. “Al centro c’è Gesù, nostra luce. L’iscrizione che si legge all’apice dell’affresco è ‘Ecce Homo’ …  È la contemplazione del volto di Gesù morto e risorto che ricompone la nostra umanità, anche quella frammentata per le fatiche della vita, o segnata dal peccato … Gesù è il nostro umanesimo … Il volto di Gesù è simile a quello di tanti nostri fratelli umiliati, resi schiavi, svuotati. Dio ha assunto il loro volto. E quel volto ci guarda”. Partendo da questa luce evangelica, Francesco ha tracciato un progetto di vita ecclesiale tanto semplice, quanto coraggioso e riformatore: quello di una Chiesa umile, disinteressata, testimone della gioia che non delude e non deluderà mai. Così ha descritto le sue intenzioni: “Non voglio qui disegnare in astratto un ‘nuovo umanesimo’, una certa idea dell’uomo, ma presentare con semplicità alcuni tratti dell’umanesimo cristiano che è quello dei ‘sentimenti di Cristo Gesù’ (Fil 2,5). Essi non sono astratte sensazioni provvisorie dell’animo, ma rappresentano la calda forza interiore che ci rende capaci di vivere e di prendere decisioni”.

Quali sono questi sentimenti? Il primo è l’umiltà: “L’ossessione di preservare la propria gloria, la propria dignità, la propria influenza non deve far parte dei nostri sentimenti. Dobbiamo perseguire la gloria di Dio, e questa non coincide con la nostra”. Conseguenza di questo primato dell’umiltà deve essere per lo stile dell’agire ecclesiale il disinteresse: “Dobbiamo cercare la felicità di chi ci sta accanto. L’umanità del cristiano è sempre in uscita. Non è narcisistica, autoreferenziale. Quando il nostro cuore è ricco ed è tanto soddisfatto di se stesso, allora non ha più posto per Dio. Evitiamo, per favore, di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli”. Chi agisce con umiltà e disinteresse opera una rivoluzione tanto profonda, quanto radicale: “Il nostro dovere è lavorare per rendere questo mondo un posto migliore e lottare. La nostra fede è rivoluzionaria per un impulso che viene dallo Spirito”. In una Chiesa che nel passato è stata spesso condizionata da forme di collateralismo politico, da cui ancora qualcuno fa fatica a distaccarsi, queste parole sono risuonate nel cuore di tanti come aria di primavera e di speranza nuova, invito a un’uscita da sé per amore dei poveri che scomoda e sovverte ogni logica di ricerca del potere.

È da questa libertà che scaturisce la vera gioia, tesoro impagabile cui chi crede deve tendere sempre: “Un ulteriore sentimento di Cristo Gesù è quello della beatitudine. Il cristiano è un beato, ha in sé la gioia del Vangelo”. Si tratta di una gioia alternativa alle misure mondane: “Gesù parla della felicità che sperimentiamo solo quando siamo poveri nello spirito. Per i grandi santi la beatitudine ha a che fare con umiliazione e povertà. Ma anche nella parte più umile della nostra gente c’è molto di questa beatitudine: è quella di chi conosce la ricchezza della solidarietà, del condividere anche il poco che si possiede; la ricchezza del sacrificio quotidiano di un lavoro, a volte duro e mal pagato, ma svolto per amore verso le persone care; e anche quella delle proprie miserie, che tuttavia, vissute con fiducia nella provvidenza e nella misericordia di Dio Padre, alimentano una grandezza umile”. È la Chiesa povera e serva dei poveri che Francesco sogna e vuole realizzare attraverso riforme che inevitabilmente disturbano qualcuno e suscitano resistenze, mascherate talvolta da consenso formale. È quello che questo Papa testimone di Vangelo chiede alla Chiesa che è in Italia: essere beata per amore, lontana dalle tentazioni del potere, vicina a chi meno ha e più necessita di aiuto. Accettare la proposta è la sfida su cui si giocherà il futuro del popolo di Dio nel nostro Paese: “La beatitudine è una scommessa laboriosa, fatta di rinunce, ascolto e apprendimento, i cui frutti si raccolgono nel tempo, regalandoci una pace incomparabile”! Ciò che verrà dopo i giorni vissuti a Firenze dimostrerà se i pastori e la Chiesa in Italia saranno disposti ad accettare questa sfida, a credere in questa promessa, anche correndo gli inevitabili rischi della fede che ama e dell’amore che spera, al di là di ogni calcolo e misura. Le parole di Francesco sono nette: “Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze”. Quanti saranno pronti a condividere questo sogno pagandone fino in fondo il prezzo, paghi della gioia promessa da Gesù?

(Il testo è stato pubblicato su “Il Sole 24 Ore” di domenica 15 novembre 2015, pp. 1 e 22)

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Bruno Forte

Arcivescovo di Chieti-Vasto

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