La fiducia ed il debito (Terza ed ultima parte)

Come evitare il default e rilanciare la crescita

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Pubblichiamo di seguito la terza ed ultima parte dell’articolo firmato da Enea Franza. La seconda parte è stata pubblicata ieri, venerdì 1° febbraio.

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Riflettiamo su tali osservazioni. Questa idea, per quanto di moda, è contraddetta, tuttavia, sia dalla prassi (sono infiniti i casi in cui il default di un Paese non ha chiuso a questo le porte del rifinanziamento, se non per un breve periodo), sia a livello teorico, in quanto è conveniente anche al creditore continuare ad intrattenere rapporti con l’emittente, non fosse altro per poter comunque cercare di ricavare qualche cosa dai titoli in possesso. Neanche ci convince la tesi di coloro che ritengono che il freno alla tentazione di non restituire il prestito possa venire dai creditori che, di fronte al mancato pagamento, potrebbero rivalersi sulle attività detenute all’estero dal paese in default.  In tal caso va notato che tali attività sono in genere di scarso ammontare se raffrontate al valore del debito di uno Stato sovrano (si tratta di ambasciate, sedi consolari ecc).

Molti studi empirici dimostrano che il danno maggiore viene probabilmente dalla minaccia di sanzioni commerciali. In effetti nei casi di default, totale o parziale sul debito, si determina una rilevante contrazione dei flussi di commercio bilaterale, attraverso una riduzione del credito commerciale che in genere subisce un brusco rallentamento a seguito del default di uno stato sovrano. Un’ulteriore conseguenze temuta dagli Stati sembrerebbe essere il maggior costo dell’indebitamento che, normalmente, segue il rifinanziamento di un Paese che ha fatto default.

Bene, chiarito che i debitori giudicano di solito il debito sovrano un debito particolarmente affidabile, vediamo allora cosa induce un risparmiatore a non rifinanziare un debito sovrano. Deve trattarsi, invero, stante quanto sopra rappresentato d’ipotesi marginali, che portino razionalmente a ritenere che lo Stato non riesca, nonostante il suo impegno a ripagare il debito e che, pertanto, sia conveniente staccare la spina. Anche qui vanno però fatte delle considerazioni. Razionalmente un creditore che sia fortemente esposto verso un soggetto è tanto più propenso a rinnovare un debito che ha chiuderlo quanto più ritiene che la chiusura dei finanziamenti porti il debitore al default. Infatti è meglio avere dei crediti che doverli azzerare. Ma qualora il debito sia frammentato tra più creditori con diverse scadenze le convenienze dei creditori divergono a seconda della convenienze di ciascuno. Per cui è possibile ritenere che sotto un profilo generale, ogni investitore si porrà le seguenti domande e sulla base di risposte positive erogherà il nuovo finanziamento.

Qual’è il primo livello di verifica circa la sostenibilità  del debitore? Le società di rating vantano una ultra decennale esperienza circa la valutazione dei debiti emessi da Stati, sulla cui bontà, tuttavia, non mi esprimo. E’ quanto meno utile riflettere sulle metodologie usate per attribuire un rating, in quando in tal modo si evidenziano gli sforzi fatti fino ad ora per affrontare un tema non facile. Tuttavia,  rinviando il punto ad una successiva analisi al fine di non annoiarvi più di tanto, penso condividiate con noi che, in larga misura, la solvibilità a lungo termine di uno Stato dipenda dalle sue entrate fiscali future. Bene, adesso, se le cose stanno cosi, occorre osservare che questo richiede che vi sia una base fiscale sostenibile, che poggi principalmente sulla capacità del paese di produrre beni e servizi futuri. Questi, a loro volta, dipendono dalla disponibilità di risorse naturali, sociali ed economiche del Paese, e dalla sua efficienza nel convertire tali risorse in beni e servizi disponibili.  In altre parole: solo la crescita può garantire il pagamento del debito!

La conclusione è che, come nel caso della crisi del debito dei paesi dell’Europa  meridionale, sono proprio quegli Stati che non solo vivono al di sopra delle loro possibilità finanziarie ma soprattutto quelli che non investono per lo sviluppo che cadono più facilmente in crisi.  Forse, tale intuitiva ragione spiega la caduta della fiducia nei debiti pubblici di molti paesi dell’Occidente e apre ad una seconda e più importante considerazione che è sotto gli occhi di tutti.

L’Occidente è in declino e, con esso, il proprio modello culturale; e adesso se ne sono accorti anche i mercati finanziari …

Enea Franza è un economista che da anni si occupa di finanza. Per l’Ente presso cui lavora (dirigente CONSOB), ha seguito importanti operazioni di finanza straordinaria di imprese nazionali e internazionali. Ha seguito le ristrutturazioni del debito argentino e di finanziamento di grandi enti internazionali.

E’ autore dei seguenti libri: “2012 Crisi del Capitalismo” – SrlEdizioni 2010; “Crack Finanziario, le ragioni della crisi” – Pagine Editore, 2009; “L’italia e la Crisi” – Pagine Editore, 2011.

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Enea Franza

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