“La famiglia nella missione della Chiesa”

Lectio magistralis di Kiko Argüello

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ROMA, mercoledì, 13 maggio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la Lectio magistralis pronunciata questo mercoledì da Kiko Argüello nel ricevere il dottorato honoris causa dal Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia.

 

* * *

Il Papa Giovanni XXIII, nella Costituzione Apostolica “Humanae salutis” (1961) con cui indice il Concilio, esordisce dicendo: “La Chiesa oggi assiste ad una crisi in atto della società. Mentre l’umanità è alla svolta di un’era nuova, compiti di una gravità e ampiezza immensa attendono la Chiesa, come nelle epoche più tragiche della sua storia. Si tratta infatti di mettere a contatto con le energie vivificatrici e perenni dell’Evangelo il mondo moderno” (n. 2).

Lo Spirito Santo, che anima e guida la Chiesa, suscita il Concilio Vaticano II per rispondere alla “crisi in atto” di cui parla il Papa: il ripristino della Parola di Dio (Dei Verbum), la riforma della Liturgia (Sacrosanctum Concilium), una nuova ecclesiologia, la Chiesa come corpo e come sacramento di salvezza (Lumen Gentium), e questo in funzione della sua missione (Gaudium et Spes) di evangelizzazione e di salvezza dell’uomo contemporaneo.

Tra i numerosissimi doni che lo Spirito Santo ha suscitato per mettere in pratica il rinnovamento voluto dal Concilio c’è anche il Cammino Neocatecumenale[1] che lo Statuto, approvato dalla Santa Sede in forma definitiva, l’11 Maggio 2008, definisce: “Un itinerario di formazione cattolica, valida per la società e per i tempi odierni” (Art. 1 § 1), che viene offerto “al servizio del Vescovo come una delle modalità di attuazione diocesana dell’iniziazione cristiana e dell’educazione permanente della fede” (Art 1 § 2).

Lo Statuto, soprattutto nel capitolo II (Articoli 5-21) presenta gli elementi fondamentali del Neocatecumenato, le catechesi iniziali, il tripode (Parola-Liturgia-Comunità) su cui si basa e le sue fasi, tappe e passaggi.

L’iniziazione cristiana è una risposta provvidenziale che il Signore ha suscitato per rispondere alla scristianizzazione in atto. Lo aveva intuito molto bene il Papa Giovanni Paolo II.

Nel primo incontro che Egli ebbe con noi a Castel Gandolfo, il 5 settembre 1979 – eravamo presenti Carmen, il padre Mario ed io – dopo la messa il papa ci disse che durante la celebrazione aveva visto davanti a sé: ateismo – battesimo – catecumenato.

Lì per lì non capii bene cosa volesse dire, anzi, mi sembrava sbagliato anteporre battesimo a catecumenato. Il catecumenato nella tradizione della Chiesa è per coloro che si preparano a ricevere il battesimo.

La chiave ce la dà forse ciò che il Papa disse in una parrocchia di Roma, parlando alle Comunità Neocatecumenali: “Io vedo così la genesi del Neocatecumenato…, uno, non so se Kiko o altri, si è interrogato da dove veniva la forza della Chiesa primitiva e da dove viene la debolezza della chiesa di oggi, molto più numerosa? Ed io credo che abbia trovato la risposta nel catecumenato, in questo Cammino”.

Dicendo il Papa che ha visto davanti a sé: ateismo – battesimo – catecumenato, che cosa ci ha voluto dire?

Penso che dopo l’esperienza dell’ateismo fatta in Polonia, il Papa, la cui filosofia ha le sue radici nella fenomenologia di Husserl, ha voluto dire che per rispondere alla forza dell’ateismo moderno e alla secolarizzazione i cristiani battezzati hanno bisogno di un catecumenato come aveva la chiesa primitiva, un catecumenato post-battesimale.

Durante vari secoli la chiesa primitiva ha avuto un catecumenato serio, dove i catecumeni dovevano mostrare che avevano fede, perché incominciavano a fare opere di vita, opere che mostravano che in loro attuava Cristo risorto. Il battesimo era la gestazione ad una nuova creazione, dove la sintesi dell’annunzio del kerigma, la buona notizia, il cambiamento di vita morale e la liturgia era tutt’uno.

La Chiesa di oggi ha bisogno di questa formazione seria. Infatti, il punto per noi è uno solo: che si dia l’uomo nuovo, l’uomo celeste, in un itinerario serio di formazione cristiana; quell’uomo che, come dice San Paolo, porta nel suo corpo il morire di Gesù, perché si veda nel suo corpo che Cristo è vivo, in modo che quando il cristiano muore “il mondo riceve la vita”.

Questa iniziazione cristiana, che il Cammino Neocatecumenale ripropone nei suoi tratti fondamentali, ricostruisce la comunità cristiana, ispirandosi alla Sacra Famiglia di Nazaret. Nello Statuto lo si dice espressamente: “Modello della comunità neocatecumenale è la Sacra Famiglia di Nazaret, luogo storico dove il Verbo di Dio, fatto Uomo, si fa adulto crescendo ‘in sapienza, età e grazia’, stando sottomesso a Giuseppe e Maria[2]. Nella comunità i neocatecumeni divengono adulti nella fede, crescendo in umiltà, semplicità e lode, sottomessi alla Chiesa (Art. 7 § 2).

Chiesa, comunità cristiana, Famiglia di Nazaret, famiglia umana: il passaggio è chiaro. Ce lo ha detto il Papa Giovanni Paolo II in un memorabile discorso, fattoci a braccio nella festa della Sacra Famiglia, il 30 dicembre 1988, a Porto S. Giorgio, dove venne per inviare le prime 72 famiglie in missione:

“Se si deve parlare di un rinnovamento, di una rigenerazione della società umana, anzi della Chiesa come società degli uomini, si deve cominciare da questo punto, da questa missione. Chiesa Santa di Dio, tu non puoi fare la tua missione, non puoi compiere la tua missione nel mondo, se non attraverso la famiglia e la sua missione”[3].

Il Cammino Neocatecumenale ha potuto operare ciò che ha fatto sino ad ora – famiglie ricostruite, numerosi figli, vocazioni alla vita contemplativa e al sacerdozio… – solo attraverso quest’opera di ricostruzione della famiglia. Vorrei qui accennare brevemente a come si fa questo nel Cammino, educando le famiglie alla preghiera e alla trasmissione della fede ai figli: sono i genitori infatti, come dice il Catechismo della Chiesa Cattolica, che “hanno ricevuto la responsabilità e il privilegio di evangelizzare i loro figli” (n. 2225).

Dopo che Dio si è manifestato al suo popolo sul monte Sinai, come l’unico Dio esistente, e gli ha comandato di amarlo “con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze”, aggiunge immediatamente: “E questo lo ripeterai ai tuoi figli quando sarai in casa tua e quando sarai in viaggio, quando ti corichi e ti alzi”… “E quando in avvenire tuo figlio ti domanderà: “Che significano queste istruzioni, queste leggi e queste norme, gli dirai: “Eravamo schiavi di faraone in Egitto e il Signore ci ha fatto uscire dall’Egitto con mano potente. Il Signore ha realizzato davanti ai nostri occhi grandi segni e prodigi contro Faraone e contro la sua casa e ci ha fatto uscire di là per condurci nella terra che aveva promesso sotto giuramento ai nostri padri” (cf Dt 6,4ss).

Questo testo, che è stato così importante per il popolo ebraico durante i secoli e che ha mantenuto la famiglia ebrea unita, fa comprendere l’importanza che ha per i genitori il fatto di trasmettere la fede ai figli e fa anche capire che questo comando divino è dato ai genitori e non può essere delegato a nessun’altro. Sono loro che debbono raccontare ai figli l’amore che Dio ha avuto per loro.

Per i primi cristiani trasmettere la fede ai figli, attraverso le Sacre scritture, che si adempiono in Cristo Gesù, è stata la missione primordiale. Troviamo testimonianza di ciò nella 2a Lettera di Paolo a Timoteo: “Persevera in quello che hai imparato e creduto, sapendo da chi l’hai appreso (dalla madre Eunice) e che fin dall’infanzia conosci le sacre Scritture” (2 Tim 3,14-15). E questa tradizione si è mantenuta, in forme diverse, lungo i secoli, nelle famiglie cristiane. Ne danno testimonianza numerosi fanciulli e giovani martiri.

Il Cammino neocatecumenale, in quanto iniziazione cristiana nelle diocesi e nelle parrocchie, insegna oggi alle coppie anche a trasmettere la fede ai figli, soprattutto in una celebrazione familiare, in una liturgia domestica.

La famiglia cristiana, diciamo loro, ha tre altari: il primo, la mensa della santa eucaristia, dove Cristo offre il sacrificio della sua vita per la nostra salvezza; il secondo, il talamo nuziale, dove si attua il sacramento del matrimonio e si dà la vita ai nuovi figli di Dio, talamo nuziale da tenere in grande onore e gloria; il terzo altare è la mensa della famiglia, dove essa mangia unita, benedicendo il Signore per tutti i suoi doni. Attorno a questa stessa tavola si fa la celebrazione domestica, nella quale si passa la fede ai figli.

Dopo oltre trent’anni di cammino, uno dei frutti che più consolano è vedere le famiglie ricostruite diventare vera “chiesa domestica”. Queste famiglie, aperte alla vita, e quindi di solito numerose, assolvono il compito primario della famiglia cristiana di trasmettere la fede ai propri figli.

Oltre alla preghiera del mattino e della sera, alla preghiera prima dei pasti e oltre alla partecipazione, insieme con i genitori, all’eucaristia nella propria comunità, la trasmissione della fede ai figli avviene fondamentalmente, come abbiamo detto prima, in una celebrazione domestica, che abitualmente viene fatta nel giorno del Signore.

In questa celebrazione i genitori pregano i salmi delle lodi con i figli, leggono le Sacre Scritture e domandano loro: “Cosa dice a te, per la tua vita, questa parola?” E’ impressionante vedere come i figli applicano la parola di Dio alla propria storia concreta. Alla fine il padre e la madre dicono una parola di commento, partendo dalla propria esperienza, e invitano i figli a pregare per il Papa, per la Chiesa, per quelli che soffrono, ecc. Poi si prega il Padre nostro e si danno la pace; e la celebrazione si conclude con la benedizione dei genitori su ciascuno dei figli.

La Marialis cultus, di Papa Paolo VI, al n. 53 afferma: “Conformemente alle direttive conciliari, i Principi e Norme per la Liturgia delle Ore giustamente annoverano il nucleo familiare tra i gruppi a cui si addice la celebrazione in comune dell’Ufficio divino: ‘Conviene (…) che la famiglia, come santuario domestico della Chiesa, non soltanto elevi a Dio la preghiera in comune, ma reciti anche, secondo le circostanze, alcune parti della Liturgia delle Ore, per inserirsi così più intimamente nella Chiesa’ (n. 27). Nulla deve essere lasciato intentato perché questa chiara e pratica indicazione, trovi nelle famiglie cristiane crescente e gioiosa applicazione”.

E al n. 54 prosegue: “Dopo la celebrazione della Liturgia delle Ore – culmine a cui può giungere la preghiera domestica –, non v’è dubbio che la Corona della Beata Vergine Maria sia da ritenere come una delle più eccellenti ed efficaci preghiere in comune, che la famiglia cristiana è invitata a recitare”.

Risultato di questa importante attenzione dei genitori ai propri figli è che quasi tutti sono nella Chiesa. E’ per questo che tanti giovani sono nelle comunità neocatecumenali. Da queste famiglie stanno sorgendo migliaia di vocazioni per i seminari e per i monasteri.

Noi siamo lieti che il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II si impegni così tanto nella ricerca sulla famiglia e che possa, in questo modo specifico, aiutare i genitori a trasmettere la propria fede ai figli. È una missione importante che va sostenuta ed incoraggiata.

Come abbiamo accennato, oggi è di vitale importanza per la famiglia cristiana una celebrazione familiare, una liturgia domestica, dove possano incontrarsi, almeno una volta alla settimana, le due generazioni – figli e genitori – e dove possano pregare e dialogare mettendo la parola e il Signore Gesù risorto al centro.

La nostra società sta destrutturando la famiglia: nei tempi (ritmi di lavoro e orari scolastici), nei componenti (coppie di fatto, divorzio, ecc.), nei modi di vivere, ma soprattutto attraverso una cultura che ci attornia contraria ai valori del Vangelo.

Noi siamo convinti che la vera battaglia che la Chiesa è chiamata a sostenere nel terzo millennio, la vera sfida che deve assumere, e dove si gioca il futuro, è la famiglia.

Il Papa Giovanni Paolo II, nell’Omelia di Porto S. Giorgio del 30 dicembre 1988 che ricordavo sopra, ce ne ha affidato il pressante incarico. Con tanta forza ci ha detto:

“Dovete, con tutte le vostre preghiere, con la vostra testimonianza, con la vostra forza, dovete aiutare la famiglia, dovete proteggerla contro ogni distruzione. Se non c’è un’altra dimensione in cui l’uomo possa esprimersi come persona, come vita, come amore, si deve di re anche che non esiste altro luogo, altro ambiente in cui l’uomo possa essere più distrutto. Oggi si fanno molte cose per normalizzare queste distruzioni, per legalizzare queste distruzioni; distruzioni profonde, ferite profonde dell’umanità. Si fa tanto per sistemare, per legalizzare. In questo senso si dice ‘proteggere’. Ma non si può proteggere veramente la famiglia senza entrare nelle radici, nelle realtà profonde, nella sua intima natura; e questa sua natura intima è la comunione delle persone ad immagine e somiglianza della comunione divina. Famiglia in missione, Trinità in missione”[4].

Siamo perciò contenti di poter collaborare con questo Istituto così amato dal Servo di Dio Giovanni Paolo II, apportando l’esperienza di tante famiglie, di ogni condizione sociale e cultura. Dobbiamo essere accanto alle famiglie, sempre, sostenere la preghiera in famiglia (la celebrazione familiare cui sopra accennavo) ed aiutare i genitori a trasmettere la fede ai figli.

Anche se molte famiglie non hanno il sostegno di una formazione cristiana comunitaria qual è il Cammino neocatecumenale, siamo convinti che questo lavoro comune sarà per tante famiglie un piccolo seme che si sparge e che con la grazia dello Spirito Santo un giorno potrà diventare un grande albero, un albero bello, pieno di frutti: tanti adulti che non dimenticheranno mai quella celebrazione della propria famiglia, dove hanno visto i genitori amare e pregare Dio con vera convinzione.

Laterano, 13 maggio 2009

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1) Ad affermarlo sono due testi autorevoli: “Catecumenato post-battesimale per l’approfondimento della vista cristiana”, in Notitiae, 95-96, iulio-augusto 1974, p. 229-230: “Omnes reformationes in Ecclesia novos gignerunt inceptus novasque promoverunt instituta, quae optata reformatinis ad rem deduxerunt. Ita evenit post Concilium Tridentinum; nec aliter nunc fieri poterat. Instauratio liturgica profunde incidit in vitam Ecclesiae… Praeclarum exemplar huius renovationis invenitur in ‘Communitatibus Neochatecumenalibus…’”. Anche Giovanni Paolo II, ricevendo gli Iniziatori del Cammino e i catechisti itineranti a Castel Gandolfo il 21 settembre 2002, a tre mesi dalla prima approvazione dello Statuto del Cammino, ebbe a dire: “In una società secolarizzata come la nostra, dove dilaga l’indifferenza religiosa e molte persone vivono come se Dio non ci fosse, sono in tanti ad aver bisogno di una nuova scoperta dei sacramenti dell’iniziazione cristiana; specialmente di quello del Battesimo. Il Cammino è senz’altro una delle risposte provvidenziali a questa urgente necessità…” (Discorso agli iniziatori del Cammino, ai catechisti itineranti e ai presbiteri, n. 2, in Neocatechumenale Iter – Statuta, 121-122).

2) Cfr. Lc 2,52.

3) Il testo del Santo Padre diceva ancora: “La missione divina del Verbo è quella di parlare, di dare testimonianza del Padre. È la famiglia che parla per prima, che rivela per prima questo mistero, che per prima dà testimonianza di Dio, del Padre Amore davanti alle nuove generazioni. La sua parola è più efficace. 

Così ogni famiglia umana, ogni famiglia cristiana, si trova in missione. Questa è la missione della Verità. La famiglia non può vivere senza Verità, anzi essa è il luogo in cui esiste una sensibilità estrema per la Verità. Se manca la Verità nella relazione, nella comunione delle persone: marito, moglie, padri, madri, figli, se manca la Verità si rompe la comunione, si distrugge la missione. Voi tutti sapete bene come questa comunione della famiglia sia veramente sottile, delicata, facilmente vulnerabile. E così si rispecchia nella famiglia, insieme con la missione del Verbo, del Figlio, anche la missione dello Spirito Santo che è Amore. La famiglia è in missione, e questa missione è fondamentale per ogni popolo, per l’umanità intera; è la missione dell’Amore e della Vita, è la testimonianza dell’Amore e della Vita. 

Carissimi, io sono venuto qui molto volentieri. Ho accolto molto volentieri il vostro invito nella festa della Sacra Famiglia per pregare insieme con voi per la cosa più fondamentale e più importante nella missione della Chiesa: per il rinnovamento spirituale della famiglia, delle famiglie umane e cristiane in ogni popolo, in ogni nazione, specialmente forse nel nostro mondo occidentale, più avanzato, più marcato dai segni e dai benefici del progresso ma anche dalle mancanze di questo progresso unilaterale. Se si deve parlare di un rinnovamento, di una rigenerazione della società umana, anzi della Chiesa come società degli uomini, si deve cominciare da questo punto, da questa missione. Chiesa Santa di Dio, tu non puoi fare la tua missione, non puoi compiere la tua missione nel mondo, se non attraverso la famiglia e la sua missione. 

Questa è la finalità principale per cui io ho accolto il vostro invito a stare insieme e pregare insieme in questo ambiente composto soprattutto dalle famiglie, dagli sposi, dai bambini, anzi da famiglie itineranti. È una bella cosa. Vediamo che anche la Famiglia di Nazareth è una famiglia itinerante. E lo è stata subito, sin dai primi giorni di vita del Divino Fanciullo, del Verbo Incarnato. Essa doveva diventare famiglia itinerante, sì, itinerante ed anche rifugiata” (L’Osservatore Romano, 31 dicembre 1988).

4) L’Osservatore Romano, 31 dicembre 1988.

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ZENIT Staff

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