La dimensione più commovente del mistero della Croce

Omelia del cardinale Carlo Caffarra per la Celebrazione della Passione del Signore

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Riportiamo di seguito il testo dell’omelia che il Cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, ha pronunciato oggi pomeriggio durante la Messa per la Celebrazione della Passione del Signore, nella Cattedrale di San Pietro:

*** 

Anche fra noi, in questo momento, si sta compiendo la profezia ricordata da Giovanni: stiamo volgendo lo sguardo a Colui che abbiamo trafitto. “Abbiamo trafitto”, ho detto. Siamo forse responsabili, ciascuno di noi è forse responsabile della morte in croce di Gesù? Lo abbiamo sentito dal profeta nella prima lettura. «Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori»; ed ancora più chiaramente: «noi tutti eravamo sperduti come un gregge; ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti…Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità».

Il profeta dunque afferma la nostra responsabilità e ne spiega esattamente la ragione. Siamo responsabili, ciascuno è responsabile della morte di Cristo a causa dei propri peccati. E’ il peccato la causa della morte di Cristo.

Ogni volta che facciamo la nostra professione di fede diciamo: “fu crocefisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto”. La fede della Chiesa, che noi facciamo nostra, non si accontenta di narrare il fatto della passione e dalla morte di Gesù. Essa ne dice anche il senso fondamentale: «per noi [pro nobis]».

E’ una formulazione della nostra fede cha appare fin dall’inizio, come attestano molti scritti del Nuovo Testamento. Cari fratelli, queste semplici due parole, “per noi”,  ci introducono nel mistero centrale della nostra fede: la Croce è la suprema manifestazione dell’amore di Dio verso l’uomo.

Quando nella professione di fede diciamo “fu crocefisso per noi”, diciamo che Gesù è stato crocifisso per la nostra salvezza. L’apostolo Paolo scrive ai Galati: «mi ha amato e ha donato se stesso per me» [Gal 2, 20]. La salvezza è sempre liberazione da un pericolo, da un rischio, da un male che ci ha colpito. Ci ha liberati dal peccato; e dalla conseguenza più tragica del medesimo, la rottura con Dio fonte della vita, e quindi la morte.

Qualcuno potrebbe chiedersi: “che bisogno c’era che Cristo morisse sulla croce per liberarci dal peccato e dalla morte? non poteva Dio, nella sua onnipotenza, semplicemente perdonarci e rinnovarci, rimanendo nella sua condizione divina: dal di fuori – per così dire – e dal di sopra?”

Cari fratelli e sorelle, qui tocchiamo la dimensione più commovente del mistero della Croce. Quando noi diciamo “fu crocefisso per noi”, noi diciamo: fu crocefisso, è morto al nostro posto. Ha deciso di morire la nostra morte; di condividere la nostra condizione. “Per noi” significa: in luogo di noi; al posto di noi; in nome di noi. La Croce è il mistero della sostituzione di ciascuno di noi da parte del Figlio di Dio fattosi uomo.

E’ ancora l’apostolo Paolo che ci istruisce: «Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge», cioè dalla morte; in che modo? «divenuto maledizione per noi» [Gal 3, 13]. Cioè: la maledizione mortale, che ci è stata inflitta a causa del peccato, è stata assunta da Gesù con la morte, accettando Lui stesso di morire.

In questa sostituzione c’è un’infinita tenerezza. Abbiamo sentito nella seconda lettura: «non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, come noi». «Come noi» dice la Scrittura. Non “quasi come noi”, non “in modo abbastanza simile a noi”. Egli conosce fino in fondo il nostro soffrire.

Quando sarà il momento della nostra morte, non saremo soli. Egli ci dice: “non avere paura; io ci sono già passato; dammi la mano e oltrepassiamo assieme la valle oscura”. Vedete, cari fratelli e sorelle, come la morte di Gesù ha trasformato dal di dentro tutta la nostra vicenda umana, perché le ha dato un senso indistruttibile. «Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno».

Mi piace concludere con le parole di S. Bernardo, che contempla il costato trafitto del Signore: «E’ aperto l’ingresso al segreto del cuore per le ferite del corpo; appare il grande sacramento della pietà; appaiono le viscere della misericordia del nostro Dio… Nessuno infatti ha una compassione più grande di colui che dà la vita per gli schiavi e i condannati» [Sermoni sul Cantico dei Cantici, Sermone 61, 4].

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ZENIT Staff

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