La decadenza della politica

Il rischio delle estreme e il ritorno al passato

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di Paolo Accomo

ROMA, mercoledì, 12 dicembre 2012 (ZENIT.org) – Il ritorno dell’ex presidente del Consiglio sulla scena politica ha provocato la fine del governo di Mario Monti e un coro di reazioni costernate. Scontato il primo, sconfortanti le seconde. La sfida tra l’ex presidente del Consiglio e Pierluigi Bersani trasforma le elezioni in un remake di Ritorno al futuro, con Beppe Grillo nel ruolo di Biff, e il percorso politico attraverso il quale ci si arriva evidenzia la sproporzione tra le ambizioni accarezzate dal governo Monti in questi mesi e lo stato politico, sociale e culturale del Paese reale.

In breve, noi non siamo la Francia e neanche la Germania, abbiamo subito i sacrifici imposti dal governo tecnico ma non siamo in grado di governarli selezionando una classe politica all’altezza di quel rigore economico, di quell’europeismo, di quelle ambizioni di sviluppo che abbiamo dovuto fare nostri negli scorsi mesi salvo afrettarci a ripudiarli al primo stormir di spread positivo .

Il ritorno del Cavaliere era ampiamente prevedibile e si spiega in base alle leggi della vecchia politica, come diceva Vilfredo Pareto: potrà piacere o meno, ma a destra come a sinistra domina la persistenza degli aggregati, in pratica la tendenza a non cambiare nulla. Solitamente, questa strategia viene spiegata agli elettori come una “necessità” ed edulcorata con un minimo ricambio degli aiutanti di campo, certo non delle posizioni apicali delle due élites.

Non sarà difficile rintracciare i segnali di questa tendenza nel ritorno del Cavaliere che come Crono mangia tutti i suoi figli a partire da Alfano. Quanto questa scommessa dei due maggiori schieramenti, una Opa lanciata sulla disperazione degli italiani, possa essere vincente lo sapremo solo a urne chiuse. Gioverà rammentare che nel film di Robert Zemeckis il perfido Biff perde sempre e si copre di ridicolo, ma, appunto, quello è un film e la realtà potrebbe riservare ben altro epilogo. L’incognita di queste ore riguarda la decisione di Mario Monti di scendere a sua volta in campo.

L’attuale presidente del Consiglio non ha cercato questo approdo e la ragione non va rintracciata solo nel suo temperamento. Guidare un governo tecnico in una situazione eccezionale come la presente significa sostituirsi alla democrazia in panne e assicurare il funzionamento del sistema Paese in nome e per conto delle sue istituzioni, della sua dirigenza, dei trattati e delle leggi, degli impegni che la comunità nazionale ha contratto in base ad equilibri di forza non più attuali.

Chi compie questo passo deve uscire dall’agone delle parti e di solito non ci rientra perché rappresenta interessi che le classi politiche vogliono condizionare, non esserne condizionate. Non a caso i maggiori partiti si guardano bene dal candidare il professor Monti. Lo fa il centro nascente e neanche tutto. Nell Udc, per capirci, la questione Monti “mobilita” molto meno dell’alleanza con il Pd.

Il vero montismo germoglia tra i cattolici di Todi e i futuristi di Montezemolo come connubio tra le classi dirigenti liberali impegnate nel risanamento finanziario dello Stato e la vasta area dell’ associazionismo cattolico che propone di surrogare lo statalismo con la sussidiarietà e la economia sociale di mercato.

Quel che sorprende è la dose di ingenuità con cui i sostenitori del cambiamento hanno scommesso sull’abbandono del campo da parte della vecchia guardia. Ci credeva la finanza, ci credevano i salotti e ci credeva la Chiesa. Non è mancata la convinzione dei protagonisti, ma la generositá e il coraggio dei mondi che dovevano sostenerne lo sforzo. In politica il tempismo fa parte della strategia. Ora che il futuro torna a proporre lo scontro tra due gerontocrazie e gli spazi del centro si chiudono la delusione è grande ed esplicita in questi mondi.

Sia le fughe a sinistra di Andrea Olivero, presidente nazionale delle Associazioni cristiane lavoratori italiani (Acli), che il silenzio di Andrea Riccardi della sant’Egidio, dimostrano che il percorso di un centro “montiano” – sostenuto fortemente da Carlo Costalli del Movimento Cristiani Lavoratori e Lorenzo Ornaghi Ministro per i Beni e le Attività Culturali – è in salita, ma obbligato.

“Non si possono mandare in malora i sacrifici dei cittadini” ha detto il cardinale Angelo Bagnasco in un’intervista al Corriere della Sera. Luca Cordero di Montezemolo ha confermato di essere pronto a lavorare per il premier Monti. Il Professore resta l’unico federatore possibile per il centro che, oggi più di un mese fa, è al bivio: o si candida a sostituire il Pdl come rappresentante dei moderati e dei riformisti che guardano al Ppe oppure torna nei salotti e nelle sacrestie e lascia il Paese a progressisti e populisti.

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ZENIT Staff

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