La cultura del dono per superare la crisi (Prima parte)

Donare se stessi rivoluziona le relazioni ed i rapporti, fino a porre la possibilità di scambiarsi il “debito dell’amore” che ciascuno ha verso l’altro nella ‘communitas’

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In una società fondata sull’utilitarismo e segnata da un accentuato individualismo, con larghi tratti di narcisismo, egoismo irrazionale, egolatria, c’è ancora cittadinanza per la cultura del dono?

La risposta è positiva, se torniamo ad investire nell’educazione permanente, nella trasmissione alle nuove generazioni della sapienza accumulata, se poniamo al centro della riflessione e della prassi la donazione come atto autentico di umanizzazione cristiana.

L’attenzione alla cultura del dono alla luce del cristianesimo, genera rapporti reciproci tra umani, anche se bisogna essere consapevoli che la risposta negativa può essere anche una ferita o una delusione.

Dalla società moderna alla postmoderna, sembra che la cultura del dono è stata inizialmente relegata alla sfera del privato per poi essere del tutto espulsa.

In altre parole, nella società postmoderna sembra non esserci più posto per il dono secondo la cultura cristiana ma solo scambio utilitarista o speculativo.

Per esempio si sta facendo strada il “dono strumentale” che è solo un modo per simulare gratuità e disinteresse, quando in realtà prevale la logica del tornaconto: si pensi a un certo ‘marketing sociale’.

In questo contesto si sta diffondendo una falsa “cultura del dono” intesa ad  acquistare l’altro, per neutralizzarlo e limitarlo nella sua piena libertà.

Fatti i dovuti distinguo, penso ad un certo tipo di “aiuti umanitari”, che potrebbero “approfittare” delle situazioni catastrofiche per favorire interessi economici particolari .

Questa perversione della “cultura del dono” ha origini antiche, ma nuove sono le forme. Scriveva Virgilio nell’Eneide: “Timeo Danaos et dona ferentes” (“Temo i Greci anche quando portano doni”)…

Inoltre si evidenziano forme di  banalizzazione e irresponsabilità del dono. Il dono attraverso SMS per esempio, prevede una percentuale fino al 70% per il gestore. Al di là della poca trasparenza di queste forme di raccolta e di rendicontazione, sorge la domanda se è vero dono banalizzare e sfruttare le tragedie umane senza che ai cittadini-donatori venga richiesta un atto di consapevolezza e di responsabilità.

Inoltre, perché con le vecchie e nuove forme di povertà che crescono intorno a noi, la stragrande maggioranza di queste raccolte, spesso alimentate da pubblicità nei mass media, sono finalizzate verso paesi lontani e situazioni difficilmente verificabili?

Il cristiano conosce i rischi, le possibili strumentalizzazioni, le perversioni del dono, le ferite che vivere il dono può provocarci: il dono può essere rifiutato con atteggiamenti di violenza o nell’indifferenza distratta; il dono può essere ricevuto senza reciprocità; il dono può essere sperperato: donare, in una parola richiede l’assunzione di un rischio.

Purtroppo il dono può anche essere strumentalizzato, può diventare uno strumento di pressione che incide sull’altro, può trasformarsi in uno strumento di controllo, può incatenare la libertà dell’altro invece di liberarla.

Situazione dunque disperata, la nostra oggi? No!

Donare è sempre stato difficile: l’essere umano ne è capace perché è creato ontologicamente e biologicamente per essere in relazione con l’altro.

Gesù ha insegnato non solo a dare ciò che si ha, ciò che si possiede, ma di dare ciò che si è, ha invitato a “donare se stessi”.

Per il cristiano donare significa consegnare un bene nelle mani di un altro senza la pretesa di ricevere alcunché dall’altro.

Donare non è la stessa cosa del “dare”. Con il “dare” si attiva un contratto commerciale, “dare” è vendere un bene in cambio di denaro.

Per il cristiano, invece, il dono nasce dall’amore e nella libertà; il dono è lo specchio dell’amore ricevuto da Dio, quindi indipendente dalla risposta dell’altro.

Questo tipo di dono gratuito, mette in conto che il destinatario risponda al donatore e si inneschi un rapporto reciproco, ma può anche darsi che il dono non sia accolto, anzi venga rivolto contro il donatore, o  non susciti alcuna reazione di gratitudine.

Donare è un’azione che nasce dall’amore e dalla libertà. È la grandezza della dignità della persona umana che sa dare se stessa e lo sa fare nella libertà!

È l’homo donator che sa di andare incontro ad un rischio con l’atto del donare, ma questo rischio è assolutamente necessario per negare l’uomo utilitarista, l’uomo  egoista.

Attraverso il donare si da vita ad una relazione non generata dallo scambio, dal contratto o dall’utilitarismo. Il dono rivoluziona le relazioni ed i rapporti, fino a porre la possibilità della domanda sul debito “buono”, cioè il “debito dell’amore” che ciascuno ha verso l’altro nella communitas.

Come scrive san Paolo ai Romani: “Non abbiate alcun debito verso gli altri se non quello dell’amore reciproco” (Rm 13,8).

La prima possibilità del dono avviene attraverso la fiducia: una fiducia donata, data all’altro. La crisi sistemica che stiamo vivendo è fondamentalmente una “crisi di fiducia”. Senza la fiducia-fede nell’uomo e negli altri, non c’è sviluppo integrale dell’uomo e non c’è società umana; l’eloquenza della fiducia è proprio il donare se stessi, che è promessa e generatrice di responsabilità verso l’altro.

Nelle più quotidiane e autentiche “storie d’amore”, proprio perché l’incontro diventi storia, perché l’attimo diventi tempo, occorre vivere il dono alimentato dalla fede-fiducia nell’altro, altrimenti si perverte tutto in consumo, difatti il dono o si fa carne o è alienazione.

[La seconda parte sarà pubblicata domani, sabato 16 febbraio]

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Carmine Tabarro

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