La croce, segno di scandalo che diventa speranza

Nessuno cercherebbe Dio in uno strumento di morte, di infamia e di delitto; e invece è proprio lassù che Dio si è svelato, scrive l’arcivescovo di Catanzaro-Squillace, nel suo editoriale

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«La croce deve apparirci in tutta la sua verità. Essa congiunge la terra al cielo, tende le braccia in tutte le direzioni, è il segno misterioso dell’umanità universale, il telaio sul quale viene tessuta la vita».

Quanto osserva in uno dei suoi romanzi lo scrittore Romano Battaglia torna in mente oggi, nel giorno in cui si celebra la risurrezione di Cristo. Il Crocifisso è un emblema nel quale si raggruma tutto il dolore dell’umanità. E sela Vegliadi risurrezione è il sipario aperto sull’eterno e sull’infinito che Dio rende disponibili anche all’umanità,la Pasquadovrebbe essere una ricarica della propria fede, dopo giorni di abitudine e forse anche di infedeltà. A differenza del Natale, ove almeno le luci commerciali, il rito degli auguri e una certa memoria collettiva custodiscono ancora il ricordo di un evento cristiano,la Pasquascivola quasi invisibile, e sempre più affollate sono le piazze  fisiche e virtuali in cui si  ritrovano i battezzati non più credenti,  o distanti, o indifferenti  che non si  interrogano più  su quella realtà di morte e di vita.

Proprio ciò, tuttavia, rende comprensibile quanto forte sia la provocazione insita nel porre al centro della della fede un simile segno. La croce, che agli occhi dei pagani era un insulto, espressione del fallimento assoluto, diventa per i cristiani skándalon, cioè pietra di inciampo, elemento di sconcerto. «Un segno di contraddizione», la definisce l’evangelista Luca. Una sorta di discriminante che, sottolinea invece Paolo, divide nettamente il campo tra «coloro che si perdono» e «coloro che si salvano». Ma c’è qualcosa di più. La croce di Cristo diventa il soggetto dominante di una nuova sophía, di una sapienza alternativa. Si assiste a capovolgimento dei valori, come l’Apostolo scriverà ai Filippesi: «Tutte le cose che per me erano un guadagno, le ho reputate per Cristo perdita e spazzatura» (3,7-8). Il Vangelo entra così in scena in modo paradossale, mostrando sulla croce non una divinità fredda e distante dal soffrire e morire degli uomini, bensì un Dio che introduce la logica dell’amore e della condivisione, che supera e spiazza ogni logica meramente razionale.

Nessuno cercherebbe Dio in uno strumento di morte, di infamia e di delitto; e invece è proprio lassù che Dio si svela nel Cristo crocifisso. Una testimonianza concreta che diventa appello per quanti, nel tempio, dopo aver cantato e pregato, dovranno essere capaci – una volta fuori, nella vita quotidiana – di mettere in pratica quello che già secoli fa suggeriva ai cristiani l’apostolo Pietro: «Siate pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. E questo sia fatto con dolcezza, rispetto e retta coscienza» (1Pt 3,15-16). Parola e vita da portare con orgoglio nel mondo, senza vergogna né asprezza, non nascondendo la propria luce, ma neppure scagliandola contro gli altri: «La risurrezione – ricorda papa Francesco – ci apre alla speranza più grande, perché apre la nostra vita e la vita del mondo al futuro eterno di Dio, alla felicità piena, alla certezza che il male, il peccato, la morte possono essere vinti. E porta a vivere con più fiducia le realtà quotidiane, ad affrontarle con coraggio e con impegno».

Che possa essere questala Pasqua. Pertutti e per ciascuno.

(Il testo è stato pubblicato anche su “La Gazzetta del Sud” di domenica 20 aprile)

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Vincenzo Bertolone

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