La crisi che attraversa la famiglia

Mai come nella società  postmoderna la famiglia naturale appare in difficoltà, attaccata da “logiche” diverse e diffuse, esterne ed interne

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Secondo una ricerca americana riportata qualche giorno fa dal Corriere della Sera, negli ultimi 50 anni i nuclei familiari mantenuti da madri single sono passate dal 7 al 25%. Il dato è una fotografia fedele e oggettiva di come sia cambiata la società, approdando sulle rive dell’individualismo estremo. Questa cultura individualista e liquida fa fatica a capire la famiglia naturale, considerando il legame e la responsabilità familiare come troppo vincolante ed obsoleta.

Da dove nasce allora la crisi? L’eziopatologia è da ricercare nell’idea di libertà concepita come assoluta. A questa cultura egolatrica si deve aggiungere una cultura senza storia, una sorta di perdita di memoria della nostra società verso la famiglia. Si ignora ciò che storicamente la famiglia ha rappresentato (con le sue luci e le sue ombre) nel processo di umanizzazione, di crescita culturale, economica e sociale del nostro tempo, nello sfruttare in maniera più civile le relazioni tra uomo e donna, nella cura dei figli e dei figli verso i genitori.

Dobbiamo recuperare la coscienza che la famiglia è la prima esperienza comunitaria dell’uomo ed è anche una grande esperienza comunitaria che segnerà per sempre la vita della bambina/o, in positivo e in negativo. Si tratta di promuovere un grande progetto educativo che affronti in maniera assertiva la grande crisi che avvolge e travolge la società postmoderna, le sue solitudini, i suoi “non luoghi”, le diverse isole deserte.

La diagnosi più frequente è che la famiglia naturale sia aggredita dalla cultura dell’egoismo irrazionale dominante, e che questa cultura diffusa la frammenti, la “spacchi”. Questa diagnosi è giusta, ma è solo una parte. Difatti c’è di più.

La famiglia naturale, nella storia umana, ha mostrato sempre una sua peculiare plasticità: penso alla famiglia contadina e poi a quella dell’età industriale, per poi giungere a quella postindustriale. Culture di famiglie così diverse tra loro. La famiglia della società postindustriale, però, sta soffrendo di una grave carenza di dinamicità, che aggrava ulteriormente la crisi dovuta ai fattori culturali prima ricordati.

La famiglia si costruisce su due fondamenti: quello delle relazioni tra generazioni e quello del rapporto affettivo di coppia. Definite queste due assi, le forme concrete sono diverse: ad esempio, in epoche passate, quando la famiglia era ancora fondata in maniera verticale, più generazioni − nonni, genitori, figli, nipoti − vivevano insieme. Poi il modello è cambiato: la famiglia postmoderna è nucleare e verticale.

La “famiglia” che ci viene proposta e che abbiamo più o meno tutti in mente oggi è quella composta da genitori e figli dentro un appartamento in città. Questo appartamento, però, in una città abitata anche da milioni di persone, è un’isola. I componenti di questa famiglia vivono, cioè, le loro relazioni come “non luoghi” affettivi, relazionali ecc.

Nella società contemporanea, dunque, la famiglia ha bisogno di ricostruire ponti verso l’interno e l’esterno. La strada è riscoprire la dimensione dell’autotrascendenza. Dobbiamo tornare a recuperare e comprendere che nel momento in cui si mette al mondo un figlio, padre e madre si autotrascendono, si donano e sono in funzione di qualcuno che è altro da loro.

Questo chiama la famiglia naturale a fare un passo ulteriore: l’idea di autotrascendere deve andare oltre il confine di sangue per diventare una famiglia accogliente, più ampia. Tale cultura del dono sta dentro la logica della famiglia, non è una logica diversa: è la logica della gratuità, dell’ospitalità. Questo tipo di famiglia è una potente risposta alla crisi che sta attraversando la famiglia, quella per cui la mia famiglia comincia e finisce in casa e il mondo sta fuori.

Dunque una parte importante della crisi certamente è dovuta all’egoismo individualista che si è impossessato della nostra società, ma, per altro verso, è dovuta al fatto che la famiglia naturale si è chiusa, sclerotizzata, è diventata meno capace di stare dentro il flusso della vita di relazione, di responsabilità, di arricchirsi nello scambio con la realtà. 

E’ necessario pertanto mettersi insieme ad altre famiglie per aiutarsi a trovare soluzioni condivise ai problemi dell’abitare, a rispondere all’educazione dei figli, alla crisi di senso, alla crisi economica, alla crisi di capitale civile e via dicendo.

Attenzione, però, la cultura del dono non va declinata e vissuta in chiave moralistica. L’autotrascendenza dei propri confini non è nient’altro che la risposta alle urgenze che la vita pone. Parafrasando Papa Francesco, una famiglia troppo poco capace di respirare la vita, di aprirsi agli altri è una famiglia che si ammala.

La famiglia naturale in questa visione antropologica è un organismo vitale: accompagna la vita, fa crescere la vita, dà vita alle relazioni, alle virtù; se è vera, cambia i rapporti e la realtà intorno a sé. Paradossalmente le famiglie contadine di una volta avevano al loro interno una vivacità maggiore rispetto alle nostre famiglie nucleari e verticali. Non a caso le famiglie erano anche più solide in quanto orizzontali e quindi costruite su relazioni quotidiane.

Tutti siamo chiamati a riflettere e rivedere le difficoltà di una società che si è ripiegata sull’io-egoistico, divenendo incapace di donare: la vita, il rispetto per essa nelle sue diverse stagioni e condizioni, l’accoglienza, la gratuità verso l’altro, le risorse intangili e tangibili da trasmettere ai figli…

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Carmine Tabarro

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