La crisi bancaria può essere assorbita ma lo stato deve aiutare

Alcune osservazioni sui ‘non performing loans’ e sulle conseguenze per lavoratori dipendenti o autonomi indebitati con le banche per l’acquisto della casa

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La questione delle sofferenze bancarie sta catturando l’attenzione dei media e non è difficile leggere articoli di stampa di noti commentatori di questioni economiche che arrivano al punto di sostenere un’imminente grave crisi del sistema bancario in Italia.
A tranquillizzare tutti, cittadini ed economisti dai nervi poco saldi, è intervenuto il governatore della Banca d’Italia che, nel suo discorso all’Assemblea dell’Associazione Bancaria Italiana, tenutasi lo scorso venerdì, ha chiarito la dimensione esatta del problema.
Premettiamo che i non performing loans (Prestiti non performanti, possono essere chiamati anche NpL) sono i crediti posseduti dalle imprese, per i quali la riscossione è incerta sia in termini di rispetto della scadenza che per ammontare dell’esposizione.
Si tratta, in buona sostanza, dell’insieme di incagli, sofferenze, crediti ristrutturati e scaduti. In Italia l’importo dei NpL ammonta, a fine 2016, a quasi 360 miliardi di Euro una cifra che, a stare ai dati dell’Istituto d’emissione, rappresenta per il solo settore bancario circa il triplo di quanto fosse nel 2008, l’anno dal quale è partita la grande crisi dei mercati finanziari.
Attenzione però alle cifre; di tale importo 210 miliardi di Euro costituiscono vere e proprie “sofferenze”, ovvero, crediti d’incerto realizzo, mentre 150 miliardi sono relative ad inadempienze probabili ed esposizioni scadute o sconfinanti, per le quali vi sono elevate probabilità che il debitore, pur traversando un momento di difficoltà, sia in grado di onorare i propri impegni.
Ritornando, dunque, alle vere e proprie sofferenze, al netto delle svalutazioni, l’ammontare delle stesse si riduce ad 87 miliardi di Euro. Di questi, inoltre, 50 sono assistiti da garanzie reali, il cui importo risulta addirittura superiore (si stima di 85 miliardi di Euro), mentre il resto è assistito da garanzie personali o sono senza alcuna garanzia.
Le garanzie reali sono costituite soprattutto da immobili, il cui valore nei bilanci bancari è stato soggetto a revisione già nel 2014 e che, considerato il basso rapporto tra mutuo erogato e garanzia preteso dalle banche italiane nella concessione di mutuo ipotecari, costituiscono una riserva stabile di valore per i crediti in sofferenza.
Date queste premesse, parlare per l’Italia di una emergenza sulle esposizioni deteriorate non è, a parere di chi scrive, corretto.
Ma non è, naturalmente che il problema non esista ma, piuttosto, esso  si concentra, in particolare, su di alcune banche la cui gestione ha dato luogo a non pochi rilievi delle autorità di vigilanza e delle procure della repubblica.
E di questo sembra essersi accorta anche la Merkel (probabilmente più  preoccupata dalla questione dell’esposizione in “derivati”d’importanti banche tedesche)  molto possibilista su di un eventuale piano d’intervento dello Stato italiano a favore delle banche più esposte.
Ciò premesso, chiediamoci ora come le sofferenze bancarie siano ad oggi triplicate rispetto al 2008.
Bene, sul punto vanno considerati due aspetti. L’Italia è l’unico Paese del G7 negli anni della crisi ad aver registrato una flessione del Pil di quasi 10 punti percentuali in termini reali (depurando cioè il dato per l’inflazione)ed una riduzione della produzione industriale ridottasi di un quarto.
Perché ciò è accaduto? Certamente la dinamica del debito pubblico, non tanto in rapporto al Pil, quanto piuttosto ai parametri di Maastricht, che bloccano un  aumento del deficit annuo oltre il 3% del Pil, sbarra all’Italia la strada degli investimenti pubblici che sono necessari per riportare la crescita, mentre dal 2008 gli altri Paesi del G7 hanno effettuato politiche di deficitspending molto aggressive.
Infine, la deflazione importata che spinge i Paesi sviluppati (con economie più focalizzate sui servizi) ad importare deflazione dalle aree maggiormente destinate alla produzione. Per l’Italia, ciò determina un problema in più: l’elevato stock nominale di debito pubblico non viene eroso per mancanza di inflazione.
Alla crisi economica si aggiunge la difficoltà nei tempi di recupero delle sofferenze.
Tuttavia, sul punto, nel decreto legge “Misure urgenti per la riforma delle Banche di Credito Cooperativo (BCC) e altre disposizioni urgenti per il settore del credito”, è stata recepita nella legislazione italiana l’accordo raggiunto con la Commissione Europea sullo schema di garanzia per agevolare le banche nello smobilizzo dei crediti in sofferenza, riducendo in modo significativo il tempo per lo smobilizzo di tali posizioni ed in costi con la riduzione dell’imposta di registro nella misura fissa di 200 euro per la vendita di immobili a seguito di esecuzione forzosa, anziché del 9%.
Tale misura da sola potrebbe determinare una più elevata valorizzazione dei crediti deteriorati.
Ma, chiediamoci, infine, un mercato dei non performingloans (Npl) sviluppato darebbe beneficio all’economia delle banche?
Le banche che cedono i Npl, hanno, infatti, il vantaggio di poter liberarsi di una partecipazione ormai inserita in bilancio già a prezzi stracciati, ma che rischia di impoverirsi ulteriormente e la cui vendita ad appositi intermediari specializzati non dovrebbe provocare ulteriori minusvalenze ma, al contrario, consentirebbe d’incamerare con rapidità risorse fresche.
L’interesse per gli acquirenti, invece, sarebbe legato al fatto che i prezzi in bilancio di questi Npl sono molto ridotti rispetto al valore nominale e, questo, dovrebbe consentirgli di riuscire in tempi più comodi di ricavare plusvalenze importanti. Per esempio, se una banca ha iscritto in bilancio un Npl a 20 rispetto ai 100 di nominale, chi lo acquista può adoperarsi per recuperare anche poco più di 20 per realizzare un ottimo guadagno sempre a condizione di aver tutto il tempo di aspettare (se, per esempio, lo rivendesse dopo due anni a 25 ne ricaverebbe un 25% nei due anni).
C’è, inoltre, da sperare in una ripresa che porterebbe i creditori ad avere più economiche per saldare il debito, ovvero, a vendere i beni immobili a maggior prezzo. E non basta, ci sono anche terzi probabili beneficiari. Infatti, la dismissione dei NpL su scala nazionale, potrebbe incrementare l’appeal delle nostre banche agli occhi degli investitori esteri e favorirne l’acquisto da parte di soggetti esteri.
Tutto bene allora ? Non proprio. Infatti, ci sono dei soggetti che,se non si interviene con misure di sostegno pubblico, perdono certamente. Si tratta dei creditori ceduti, ovvero, dei lavoratori dipendenti o autonomi colpiti dalla crisi e che si sono indebitati con le banche per l’acquisto della casa di abitazione, nonché, di imprenditori che hanno chiesto finanziamenti e che non sono in grado di pagare che perdono rapidamente la loro garanzia. A questi soggetti lo Stato non dovrebbe lesinare la propria assistenza, pena la perdita di fiducia su un rapido rientro della crisi.
 

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Enea Franza

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