La consolazione della poesia

Lo scrittore Giuseppe Munforte illustra la natura di un sentimento fondante attraverso un’antologia di sette giovani autori di versi

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Il rapporto tra letteratura e vita è un tema esistenziale connaturato all’uomo. Storicamente si manifesta in interpretazioni multiformi che vanno dall’esaltazione vitalistica alla fuga nell’onirico. “La poesia è un segreto dell’anima – diceva Kahlil Gibran – e allora perché rovinarla con le parole?”. Forse perché le parole sono l’unico strumento che abbiamo (seppure limitato e imperfetto) per esprimere il linguaggio dell’anima: un linguaggio che ci pulsa dentro e che tutti avvertiamo velatamente…

Il poeta ha una qualità e una missione: quel linguaggio prova a decodificarlo, a farlo suo, a dargli una forma e un contenuto. Per questo il tema del rapporto tra letteratura e vita ha dato luogo a innumerevoli riflessioni, che approfondiscono la funzione catartica dell’arte portandone alla luce il valore consolatorio. Su quest’ultimo aspetto è opportunamente tornato lo scrittore Giuseppe Munforte, in un interessante articolo pubblicato il 5 settembre su Avvenire.

L’articolo, intitolato Il nostro desiderio di consolazione, è tratto dalla postfazione a un libro, nel quale sette giovani poeti – Antonio Bux, Sonia Caporossi, Alessio Di Giulio, Francesco Iannone, Valerio Nardoni, Giuseppe Nibali, Bernardo Pacini – esprimono le loro riflessioni in versi sul tema della consolazione.

“La traccia inconsolabile della nostra presenza nel mondo viene accompagnata, giorno dopo giorno, da un profondo desiderio di consolazione”, scrive Munforte. “È una dimensione che sembra comparire e urgere solo al cospetto di una perdita, di un’assenza. Di una ferita. Di un evento preciso che scardina l’ordine della nostra esistenza e presenta come illusorie le possibilità di pienezza, di appagamento, di pacificazione…”.

“Cosa ci consola nell’assenza? – si domanda Munforte – cosa può mettere fine alla nostra irrequietezza, alla titanica sfida di sapere e di rincorrere, all’impulso di non voler accettare? Nel rifiuto della consolazione e nell’insistenza nella disperazione, l’amore stesso può diventare espressione della nostra natura inconsolabile, tanto da portarci a chiedere se l’amore più grande non nasconda una forma di disperazione. Ma può l’amore essere davvero disperazione, nascere dalla disperazione, radicarsi nella disperazione?”.

Un labirinto di interrogativi, quello prospettato da Munforte, dove la mente tende a perdersi nella dimenticanza. Ma è proprio lì, in quel ginepraio di stati d’animo confusi, che la consolazione s’insinua come un balsamo lieve, declinandosi in modi talora contrastanti, ai quali danno voce i poeti.

Antonio Bux ricompone la parte alienata di noi stessi, quale si manifesta nella separatezza di un amore deluso, attraverso un presa di coscienza che analizza la dinamica dei sentimenti:

 

Amare un cuore separato

come amando un’unione

di passione a metà; allora

se è stata amata, intera una parte

non vista, non vissuta, più intima

ma esteriore, cos’è ciò che si ama

se non fa distinzione, se non è meta

senza più fine, se non è solo amore?

 

Sonia Caporossi descrive liricamente un momento contemplativo che nasce nel “perimetro” di un amore fusionale:

 

Osservo contemplo attendo

che tu parli del mondo che mi compete

definendomi nel perimetro del cerchio

confinandomi per non morire

(…) Non potrei alzarmi e fuggire

non potrei rifiutarmi di guardare

l’evidenza criptica del tuo sguardo…

 

Alessio Di Giulio intuisce la dolcezza consolatoria di un istante di immedesimazione con la natura:

 

Stelle migranti e mareggianti nebbie

velano gli occhi,

lievi porti sospesi nella sera.

Lenta chiaroveggenza

con le foglie s’irradia la radura

in un volo ramificato di senso

e il bosco danzante

ricuce la frattura

tra il carro gli amanti e la luna.

 

***

 

“Può esserci consolazione senza sentire che qui sia già un altrove? – si domanda ancora Munforte –. Una consolazione che non ci spenga ma ci proietti, che ci riempia di gioia e di futuro, di attesa, che si leghi alla speranza, alla fiducia? Quando la ferita sia stata accolta, tanto da diventarne custodi, allora, paradossalmente, dalla ferita stessa può derivare forza. In questo, viene toccato il divino in noi possibile. È un territorio pieno di insidie e di scorciatoie, di oscurità, dove però si trova anche tutta la luce che ci può occorrere…”. A queste parole fanno eco i versi dei poeti, che scorriamo in un sintetico florilegio:

 

Ti immagino e questo è il mio coraggio

come un ramo che si affaccia oltre il buio

apre foglie come mani

gesti divini di pietà

(Francesco Iannone)

 

***

 

Penso con stridore che anche il mio

è un nome di passaggio

amorevolmente ricevuto

da un minimo agglomerato di cellule

(Valerio Nardoni)

 

***

 

Dio mio l’uomo, cattedrale vuota, posto

enorme di entrata di uscita mentre sul muro

l’ulivo schiaccia un ramo

(Giuseppe Nibali)

 

***

 

Con un cielo in panne Dio sconta la sua divinità

presentandosi nella nostra assenza

a noi occhi fissi al pane incellofanato

sul tavolo di vimini

assorti nei brividi

(Bernardo Pacini)

 

***

 

I lettori che vorranno approfondire le brevi note tratteggiate in questo articolo, potranno farlo leggendo il volume La consolazione della poesia, pubblicato recentemente da Ianieri Edizioni nella collana “L’Angiolo”, diretta da Federica D’Amato. L’antologia, che raccoglie i contributi poetici degli autori che abbiamo qui sinteticamente citato, reca una prefazione della stessa D’Amato e la postfazione di Giuseppe Munforte, che i nostri lettori ricorderanno quale finalista al Premio Strega.

“Ho voluto chiedere a sette amici una soluzione sul tema della consolazione della poesia – spiega Federica D’Amato – sette nuove voci tra le più autentiche della poesia italiana contemporanea che hanno risposto all’appello in modi anche molto diversi, ma tutte accomunate dalla volontà di ascoltarsi”. Mentre Munforte conclude le sue riflessioni richiamandosi alla consolazione che nasce dalla fede: “a questa rimanda la consolazione della poesia, quando le sue parole hanno nerbo e potenza orfica, quando non sono un rendiconto ma congiunzione tra carne e senso, atto di leggerezza e redenzione, superamento non illusorio delle lacerazioni di cui si compone la nostra avventura nel mondo”.

 

***

 

I poeti interessati a pubblicare le loro opere nella rubrica di poesia di ZENIT, possono inviare i testi all’indirizzo email: poesia@zenit.org

I testi dovranno essere accompagnati dai dati personali dell’autore (nome, cognome, data di nascita, città di residenza) e da una breve nota biografica.

Le opere da pubblicare saranno scelte a cura della Redazione, privilegiando la qualità espressiva e la coerenza con la linea editoriale della testata.

Inviando le loro opere alla Redazione di Zenit, gli autori acconsentono implicitamente alla pubblicazione sulla testata senza nulla a pretendere a titolo di diritto d’autore.

< em>Qualora i componimenti poetici fossero troppo lunghi per l’integrale pubblicazione, ZENIT si riserva di pubblicarne un estratto.

 

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Massimo Nardi

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