"La condanna di Charles Taylor è un segnale inequivocabile"

Il vescovo di Cape Palmas commenta il processo all’ex presidente liberiano

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ROMA, venerdì, 27 aprile 2012 (ZENIT.org) – «La condanna di Charles Taylor è un chiaro messaggio per tutti, non solo per la Liberia». E’ la dichiarazione di monsignor Andrew Karnley, vescovo di Cape Palmas – città del Sudest liberiano – relativa al processo contro l’ex presidente liberiano, accusato di crimini di guerra e contro l’umanità. Il presule ha visitato la sede internazionale di Aiuto alla Chiesa che Soffre il 25 aprile, a poche ore dalla sentenza di colpevolezza – per tutti gli 11 capi d’imputazione – emessa all’Aia dalla Corte Speciale per la Sierra Leone.

Il procedimento giudiziario, iniziato nella capitale sierraleonese Freetown nel 2006 e poi trasferito in Olanda per motivi di sicurezza, si concluderà definitivamente il 30 maggio. L’ex capo di Stato è stato ritenuto colpevole di aver armato e sostenuto i ribelli del RUF (Fronte rivoluzionario unito) durante la guerra civile in Sierra Leone e considerato responsabile dei numerosi crimini commessi dai miliziani, tra cui omicidi, stupri, torture e arruolamento di bambini soldato. «Aver chiamato Taylor a rispondere delle sue azioni – ha detto monsignor Karnley ad ACS – ha un significato inequivocabile: chi detiene il potere deve assumersi le proprie responsabilità come tutti gli altri».

Lungo è anche l’elenco di crimini di cui il politico si è macchiato nel suo Paese. Servendosi del gruppo ribelle NPFL (Fronte Nazionale Patriottico della Liberia), l’ex presidente è riuscito ad innescare la prima guerra civile liberiana – dal 1989 al 1996 – rovesciando infine il regime di Samuel Doe. Ottenuta la presidenza nel 1997, Taylor si è servito degli introiti ricavati dall’esportazione illegale di diamanti e legname per finanziare il conflitto in Sierra Leone. Poi nel 1999 è scoppiata la seconda guerra civile liberiana, terminata nel 2003 con gli Accordi di Accra e con la fuga di Taylor in Nigeria, appoggiata dal presidente Obasanjo. «Sono stati anni terribili per noi – ha raccontato il vescovo di Cape Palmas – tanti sacerdoti sono stati uccisi, gli edifici religiosi distrutti e diversi monaci e religiose hanno dovuto abbandonare il Paese».

Durante i due conflitti civili – costati la vita a 250mila persone – la Chiesa liberiana ha criticato apertamente le violenze. «I cattolici sono appena il 5 o il 6% della popolazione – ha fatto notare il presule – ma la nostra voce è molto ascoltata». Al punto che l’attuale presidente – e premio Nobel per la Pace nel 2011 – Ellen Johnson Sirleaf ha più volte lodato l’impegno dell’ex arcivescovo di Monrovia, monsignor Michael Francis, definendolo «la coscienza della nazione».
Nel Paese africano l’impegno della Chiesa per la riconciliazione, la giustizia e la convivenza pacifica è ampiamente riconosciuto. Così come il decisivo contributo all’educazione delle 50 scuole cattoliche. Nel 2011 ACS ha donato alle tre diocesi liberiane quasi 90mila euro. «Grazie al vostro aiuto abbiamo potuto ricostruire conventi e seminari. Finalmente c’è speranza in Liberia, ma c’è ancora molto da fare».

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ZENIT Staff

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