La Chiesa prega per le persone che hanno attentato alla loro vita

L’omelia di Mons. Ernesto Vecchi, durante la Messa Esequiale in suffragio di Maurizio Cevenini

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ROMA, domenica, 13 maggio 2012 (ZENIT.org).- Ieri, sabato 12 maggio 2012, alle ore 11, nella Basilica di S. Francesco a Bologna si è svolta la messa esequiale in suffragio di Maurizio Cevenini.

L’esponente del Partito Democratico (PD), consigliere regionale dell’Emilia-Romagna e comunale di Bologna, è morto suicida l’8 maggio scorso, dopo essersi lanciato dalla sede dell’Assemblea regionale.

Riportiamo l’omelia di Monsignor Ernesto Vecchi, Vescovo Ausiliare Emerito di Bologna.

***

Da qualche tempo, come ci ha detto il Salmo 22, Maurizio Cevenini «camminava in una valle oscura» che, nella sera di martedì 8 maggio 2012, lo ha condotto a porre fine alla sua esistenza terrena. Aveva 58 anni. Questo gesto insano di Maurizio non è imputabile a nessuno ma appartiene al “mistero” che si è consumato nelle profonde risonanze della sua coscienza e che solo Dio può conoscere e giudicare. Il Catechismo della Chiesa Cattolica parla chiaro: «Ciascuno è responsabile della propria vita davanti a Dio che glie l’ha donata. Egli ne rimane il sovrano padrone. Noi ne siamo gli amministratori, non proprietari. Il suicidio, inoltre, contraddice la naturale inclinazione dell’essere umano a conservare la propria vita. Esso è gravemente contrario al giusto amore di sé ed è un’offesa all’amore del prossimo, perché spezza ingiustamente i legami di solidarietà con la società familiare, nazionale e umana. Il suicidio – in sostanza – è contrario all’amore del Dio vivente» (Cf. nn. 2280-2281).

Ma lo stesso Catechismo aggiunge: «Gravi disturbi psichici, l’angoscia o il timore grave della prova, possono attenuare la responsabilità del suicida. Pertanto, non si deve disperare della salvezza eterna delle persone che si sono date la morte. Dio, attraverso le vie che egli solo conosce, può loro preparare l’occasione di un salutare pentimento. Ne consegue che la Chiesa prega per le persone che hanno attentato alla loro vita» (Cf. nn. 2282-2283). Noi, ora, siamo qui, in questa monumentale Basilica, per pregare e implorare la misericordia di Dio, perché apra anche a Maurizio la porta della salvezza. Con questa Messa, noi entriamo in profonda e misteriosa comunione con la realtà totale di Cristo Redentore e diamo concretezza all’annuncio del Profeta Isaia: «Il Signore preparerà su questo monte un banchetto per tutti i popoli». Un banchetto che si fa strumento sacramentale di un grande annuncio: il Signore «eliminerà la morte per sempre» (Cf. Is 25, 6-8).

Con l’Eucaristia, infatti, la Chiesa offre all’umanità la chiave interpretativa del proprio stato di sofferenza e strappa «il velo che copre la faccia di tutti i popoli» (Cf. Is 25,7), immersi nell’ambiguità di un mondo, che riflette in sé le caratteristiche dell’antica Babilonia “la città del caos” (Is 24,10).

È il permanere delle tracce di questo tipo di città disgregata che ha deluso Maurizio. Mentre aveva saputo creare un rapporto semplice e immediato con la gente – grazie ad una straordinaria capacità di relazione a 360° – non ha trovato la possibilità di agganciare questo genuino respiro della democrazia con gli apparati del potere, che ancora troppo spesso rispondono a logiche autoreferenziali, lontano dai reali bisogni della gente.

In tale prospettiva, oggi, aprono il nostro cuore alla preghiera e la nostra mente alla speranza della salvezza eterna per Maurizio anche le parole del Sommo Poeta Dante Alighieri: «libertà va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta» (Purg. I, 71-72).

In questi versi, forse, sta la motivazione più intima del suo gesto estremo. Maurizio cercava – ha sempre cercato – la libertà dello spirito, la libertà della volontà, la libertà di perseguire il bene. Una libertà che nasce come dono dalla verità di Dio (Cf. Gv 8, 32).

Questa verità Maurizio l’ha incontrata il giorno del suo Battesimo e l’ha elaborata negli anni della sua frequentazione parrocchiale a San Procolo. Fino all’età della scuola media, la sua partecipazione alla Messa domenicale era abituale. Anche in età adulta accompagnava spesso a Messa la figlia Federica. Anche queste esequie religiose rispondono alla sua volontà. Diceva alla moglie Rossella: «Io desidero il funerale religioso e non voglio essere cremato, perché ho fatto il chierichetto».

Emergono così le tracce del suo rapporto con l’Eucaristia e con il Crocifisso glorificato, nel quale ogni essere umano risale alle proprie origini e alla genesi della sua vocazione battesimale, che lo rende protagonista nell’edificazione del Regno di Dio nella storia.

Maurizio Cevenini – come Giacomo Bulgarelli e Lucio Dalla – era ormai parte integrante della “bolognesità”. Lo conferma il coro unanime dei giudizi, che, in questi giorni ha esaltato la sua persona trasformandola in figura identitaria della stessa città. Qualcuno ha detto: «Dire Cevenini vuol dire Bologna». Tutti conosciamo i limiti di queste affermazioni, perché Bologna ha un peso storico, culturale e sociale che va oltre le nostre esperienze individuali, ma ciò non diminuisce il suo valore simbolico.

Maurizio Cevenini ha saputo imitare la figura calviniana dell’«eroe della storia», colui che tiene insieme gli opposti e cerca di conciliarli in un difficile equilibrio. Ma il suo gesto irrazionale e violento ci dice che questo ruolo di mediazione ha bisogno di una forza più grande della nostra buona volontà. Per reggere fino in fondo occorrono le risorse della fede vissuta in quel Gesù, vero Dio e vero uomo, che la Madonna di San Luca, scendendo ancora una volta in città, ci indica come «via,verità e vita» (Gv 14,6).

Carissimi Federica, Rossella e Gabriele, questa liturgia ci dispone ad accogliere con ferma fiducia le parole del Vangelo di Giovanni: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me … io vado a prepararvi un posto … perché siate anche voi dove sono io» (Cf Gv 14,1-6).

É la prospettiva della gioia senza fine e della domenica senza tramonto, dove ogni essere umano trova le condizioni per una piena realizzazione di sé, nel coinvolgimento diretto e gaudioso della visione beatifica di Dio.

A noi che rimaniamo quaggiù è chiesto di rinvigorire la fede, la speranza e la carità verso Dio e verso il prossimo e, così, rafforzare la capacità di resistere alla tentazione dello sconforto e della ribellione.

Carissimi Federica e Giovanni, che avete voluto suggellare il vostro amore davanti a Dio e alla Chiesa, con il Sacramento del matrimonio, forti di questa grazia, continuate voi – nell’ambito della vostra nuova famiglia – a diffondere l’opera unificante di Maurizio. Solo così, l’«amicizia civile» che il Cardinale Caffarra ha stimolato nell’ultima omelia di San Petronio, rimarrà non solo un traguardo delle Istituzioni, ma potrà diffondersi nella rete capillare delle nostre famiglie, vero patrimonio dell’umanità.

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ZENIT Staff

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