"La Chiesa in Africa e in Madagascar è una chiesa giovane"

La parole di monsignor Rosario Saro Vella, S.D.B., vescovo di Ambanja (Madagascar)

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CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 19 ottobre 2012 (ZENIT.org).- Presentiamo l’intervento di monsignor Rosario Saro Vella, S.D.B., vescovo di Ambanja, nel Madagascar, dato “in scriptis” ai padri sinodali.

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L’Africa, il Madagascar è un paese giovane e la Chiesa in Africa e in Madagascar è una chiesa giovane. Conosciamo il peso dell’Anziano nelle Comunità patriarcali. È l’anziano che trasmette i valori, i costumi… L’anziano parla e dice l’ultima parola. Ma l’artefice del cambiamento è il giovane! Noi – come Chiesa e come Vescovi – educhiamo ed insegniamo. Chi insegna però deve essere capace di apprendere. Cosa i giovani ci possono insegnare?

1. A Madrid durante la veglia ci fu una vera tempesta e una fitta pioggia che non scoraggiò i giovani che, pur bagnati, rimasero in adorazione silenziosa. Sua Santità Benedetto XVI disse loro: “La vostra forza è più grande della pioggia”. I giovani hanno da insegnare alla Chiesa e a noi Vescovi il coraggio e la forza.

La Nuova evangelizzazione ha bisogno di evangelizzatori coraggiosi. Si direbbe che la barca di Pietro si trovi in mezzo alla tempesta. Lasciamoci guidare dal vento dello Spirito Santo e non lamentiamoci se le onde ci danno l’impressione di affondare. Anzi dovremmo preferire questi rischi piuttosto che navigare in acque stagnanti che ci danno solo false sicurezze. 

2. Quando i giovani dialogano amano sempre essere allo stesso livello dell’interlocutore. I giovani hanno da insegnarci l’umiltà. Molte volte noi ci presentiamo al mondo come superbi maestri di una. verità di cui ci pensiamo unici detentori, dimenticando che invece siamo deboli e stanchi pellegrini della ricerca della verità. Nel dialogo all’interno della Chiesa, nel dialogo ecumenico, nel dialogo interreligioso, nel dialogo con le grandi religioni o con le persone di altre convinzioni non dovremmo avere questo atteggiamento di umiltà? 

3. I giovani ci insegnano la gioia. 

Una gioia che è anzitutto interiore perché viene da Dio, ma che si esprime anche esternamente. I giovani chiedono a noi una liturgia più gioiosa, più partecipata, più conforme alla loro vita, una liturgia di canti e di danze. Ci chiedono una morale esigente ma non negativa, una morale che liberi i giovani dalle schiavitù dell’egoismo, del relativismo, dell’edonismo e che riempia il loro cuore. I giovani ci chiedono una fede non intellettuale ma vitale. Una fede che passi dalla mente ma che arrivi al cuore. 

4. I giovani sono molto sensibili a lavorare insieme, a condividere le esperienze, ad aiutarsi l’uno con l’altro. I giovani ci insegnano la Spiritualità di Comunione. E’ una conversione, un cambio di mentalità. 

5. I giovani ci insegnano l’amore alla Croce. 

La Croce è segno di un amore infinito, di un amore che non teme la morte ma che dà la vita per coloro che si amano. La Croce è segno di una vittoria sul male personale e sul male del mondo. La Croce è la “nostra gloria, salvezza e risurrezione”. Ave, Crux Spes Unica. 

Ce lo hanno insegnato tutti i santi, voglio solo ricordare i due giovani presentati come modelli dal Papa quest’anno: Pier Giorgio Frassati (“La vita è gioia anche se attraverso le sofferenze”) e Chiara Luce Badano (riferendosi alla sua malattia: “Se tu lo vuoi, Gesù, anch’io lo voglio”). 

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ZENIT Staff

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