"La Chiesa è costruita sulla roccia del Credo"

L’introduzione di Massimo Introvigne al Convegno nazionale “Vent’anni dopo”

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ROMA, sabato, 26 maggio 2012 (ZENIT.org).- Pubblichiamo l’introduzione di Massimo Introvigne al Convegno nazionale Vent’anni dopo. Il Catechismo della Chiesa Cattolica per la nuova evangelizzazione, che si è svolto il 19 maggio scorso a Roma.

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Il convegno Vent’anni dopo. Il Catechismo della Chiesa Cattolica per la nuova evangelizzazione organizzato da Alleanza Cattolica è anzitutto un atto di gratitudine e di amore. Gratitudine per la Chiesa, che ci ha dato il Catechismo. Chi era in Alleanza Cattolica vent’anni fa ricorda l’entusiasmo con cui ne accogliemmo la pubblicazione. Ora avevamo la mappa, che ci avrebbe guidato alla nostra Isola del Tesoro.

Gratitudine, anche, per un prezioso strumento d’interpretazione dei documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II. Anno più, anno meno Alleanza Cattolica era nata con il Concilio, e aveva vissuto tutte le difficoltà del postconcilio. In un discorso che da anni andiamo studiando, del 22 dicembre 2005, Benedetto XVI ha denunciato «l’ermeneutica della discontinuità e della rottura», che abusivamente e falsamente interpreta i documenti del Concilio come un rifiuto di tutto il Magistero precedente. E il 24 luglio 2007, incontrando un gruppo di sacerdoti ad Auronzo di Cadore, il Papa mostrava come questa ermeneutica sbagliata si declina in due modi. C’è un «anticonciliarismo» che oppone ai documenti del Concilio una nozione di Tradizione intesa in senso essenzialista, e c’è un «progressismo sbagliato» che agli stessi documenti contrappone un falso spirito del Concilio, che – come già rilevava il cardinale Joseph Ratzinger – è piuttosto un suo «anti-spirito».

Nella lettera apostolica Porta fidei, con cui indice l’Anno della Fede, Benedetto XVI a chi è tentato di rifiutare il Concilio in nome di una propria interpretazione della Tradizione ricorda e fa sue le parole del Beato Giovanni Paolo II (1920-2005): «Sento più che mai il dovere di additare il Concilio, come la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre». Nello stesso tempo, a chi è tentato – in nome di un presunto spirito del Concilio – di ridurre la fede a una vaga aspirazione senza contenuti, il Papa ricorda che il cristianesimo, se pure non «è» soltanto una dottrina, «ha» una dottrina. Ricorda che la Chiesa è costruita sulla roccia del Credo e cita, come fa spesso, sant’Agostino (354-430) quando, in un’Omelia per la cerimonia della redditio symboli, la solenne consegna e professione del Credo, dice: «Il simbolo del santo mistero che avete ricevuto tutti insieme e che oggi avete reso uno per uno, sono le parole su cui è costruita con saldezza la fede della madre Chiesa sopra il fondamento stabile che è Cristo Signore … Voi dunque lo avete ricevuto e reso, ma nella mente e nel cuore lo dovete tenere sempre presente, lo dovete ripetere nei vostri letti, ripensarlo nelle piazze e non scordarlo durante i pasti: e anche quando dormite con il corpo, dovete vegliare in esso con il cuore».

A chi rischia di soccombere all’una o all’altra tentazione il Papa indica come bussola sicura per orientarsi il Catechismo della Chiesa Cattolica. Ricorda che il beato Giovanni Paolo II lo definiva «norma sicura per l’insegnamento della fede», e aggiunge parole non meno impegnative: «l’Anno della fede dovrà esprimere un corale impegno per la riscoperta e lo studio dei contenuti fondamentali della fede che trovano nel Catechismo della Chiesa Cattolica la loro sintesi sistematica e organica. Qui, infatti, emerge la ricchezza di insegnamento che la Chiesa ha accolto, custodito ed offerto nei suoi duemila anni di storia. Dalla Sacra Scrittura ai Padri della Chiesa, dai Maestri di teologia ai Santi che hanno attraversato i secoli, il Catechismo offre una memoria permanente dei tanti modi in cui la Chiesa ha meditato sulla fede e prodotto progresso nella dottrina per dare certezza ai credenti nella loro vita di fede».

Nei giorni del nostro Convegno, Castel Sant’Angelo – a due passi dalla sede dove ci siamo riuniti – ospita una bella mostra su Il mito di Amore e Psiche, che l’arte ha visto e rappresentato in tanti modi diversi. La storia è nota. Psiche è sottoposta da Venere, gelosa della sua bellezza, a una serie di prove prima di potersi riunire al suo amato Eros, l’Amore. Dopo l’ultima di queste prove, in cui ha sfiorato il mondo dei morti, l’Oltretomba, Psiche piomba in un sonno profondo. Eros non riuscirà a risvegliarla soltanto con l’amore. Si rivolgerà al padre degli dei, Zeus, per ottenere insieme all’amore anche la conoscenza. E l’amore e la conoscenza insieme risvegliano Psiche. Chi visita la mostra si rende conto che molti artisti hanno rappresentato la storia di Eros e Psiche solo come una storia d’amore, una delle grandi storie d’amore della nostra cultura occidentale. Ma altri, soprattutto gli artisti cristiani, hanno meditato sul suo significato simbolico. Psiche, come il suo nome indica, è l’anima. L’anima che è assopita, che ha bisogno di svegliarsi, ma che sarà risvegliata solo dall’amore e dalla conoscenza congiunti. Non dall’amore senza la conoscenza, non dalla conoscenza senza l’amore. Perché l’amore senza la conoscenza diventa sentimentalismo, e la conoscenza senza amore diventa gnosticismo: due tentazioni cui non sono sempre sfuggiti nella storia gli interpreti del mito di Amore e Psiche.

Nel discorso preparato per la visita alla Verna del 13 maggio 2012, poi cancellata per ragioni meteorologiche, Benedetto XVI ci ha offerto lo stesso insegnamento attraverso un tema che gli è caro, e che indica in san Bonaventura (1221-1274) l’interprete più sicuro e autentico di san Francesco d’Assisi (1182-1226). Con san Bonaventura l’anelito francescano all’amore incontra la teologia, diventa dottrina, davvero mette insieme l’amore e la conoscenza. Nello stesso giorno ad Arezzo Benedetto XVI ha evocato un Papa santo, il beato Gregorio X (12101276) – nato a Piacenza, ma sepolto ad Arezzo –, un Pontefice molto impegnato a tenere insieme diverse spiritualità, diverse teologie, le ragioni della conoscenza e le ragioni del cuore, interagendo insieme con san Tommaso d’Aquino (1225-1274) e con san Bonaventura.

In un’altra versione del mito di Psiche – rappresentata dal pezzo forse artisticamente più importante della mostra di Castel Sant’Angelo, il grande e perfettamente conservato Sarcofago di Pozzuoli – ci è offerta una narrativa, certo non ancora cristiana, della creazione dell’uomo. In questo – che non è l’unico mito classico della creazione – l’uomo è creato da Prometeo il quale, nella sua smania che oggi chiamiamo appunto «prometeica» d’imitare gli dei, fa anche qualche pasticcio. Lo vediamo perplesso dopo che, più che l’uomo, sembra avere creato il culturista. Ha costruito un corpo bellissimo, un magnifico insieme di muscoli che però, privo dell’anima, giace a terra senza vita. Gli dei cercano di rimediare agli errori di Prometeo. Si vedono Zeus, il Padre, ed Hera, la Madre, che spingono Eros e Cupido a condurre Psiche, l’anima, verso l’unione con la creatura di Prometeo e con il corpo. E questa scena in fondo rappresenta un po’ anche che cosa fa la Chiesa nei secoli: sempre cerca di dare un’anima alla nostra condizione umana, alla storia, alla civiltà. Attraverso l’amore e la conoscenza, la carità e la catechesi.

Il simbolo del sonno, come si vede, è complesso. Nel mito della creazione prometeica è l’uomo ancora privo di anima che dorme, e Psiche è ben sveglia. Ma certo, più spesso, è Psiche, l’Anima, che si è addormentata. Alcuni dei quadri della mostra di Castel Sant’Angelo hanno un’epigrafe che sembra risalga originariamente al poeta Quinto Orazio Flacco (65-8 a.C.): De te fabula narratur. Viandante distratto che ancora oggi passi davanti a questi
quadri – oggi magari turista giapponese, che visiti Castel Sant’Angelo con un numero inverosimile di macchine fotografiche –, de te fabula narratur. Questa storia non è su una fanciulla greca mai esistita o di tantissimi anni fa. Questa storia parla di te.

De te fabula narratur. Tante anime oggi sono addormentate e attendono il risveglio, con l’amore e con la conoscenza.

De te fabula narratur. Questa è una storia universale, che l’Europa ha riproposto attraverso le sue tante belle dormienti di tante leggende che sono più che leggende.

De te fabula narratur. Non solo l’anima individuale ha bisogno di risveglio ma ne ha bisogno la Cristianità, ne hanno bisogno le nostre nazioni, ne ha bisogno la nostra cultura. E allora Alleanza Cattolica, che – tra tante spiritualità che attraversano la storia della Chiesa – ha sempre avuto un interesse, e forse un debole, per la spiritualità cavalleresca, riconosce la storia di Psiche in quella di un altro illustre dormiente, re Artù, di cui si racconta che, quando fu mortalmente ferito nell’ultima battaglia, i cavalieri chiesero e ottennero da Dio una grazia. Artù non è morto. Si è immerso in un sonno profondo, trasportato sull’Isola di Avalon, e da questo sonno sarà risvegliato dal grido corale dell’Inghilterra – o così narra la leggenda – quando un giorno di fronte all’estrema prova avrà nuovamente bisogno del suo re.

De te fabula narratur. La Cristianità dorme, è ferita, non è morta. La nostra cultura, la cultura che ha fatto grande l’Europa, la cultura delle radici cristiane dell’Europa, la cultura al cui servizio è nata Alleanza Cattolica non è morta, ma è ferita, dorme, dev’essere risvegliata.

De te fabula narratur. Sarà risvegliata, dalla conoscenza e dall’amore. Non dall’amore senza la conoscenza, non dalla conoscenza senza amore.

E allora torniamo dove siamo partiti. Troviamo nel Catechismo, come ci ricorda il Papa nella lettera Porta fidei, non solo la conoscenza ma l’appello alla carità, perché «la fede senza le opere è morta» (Lettera di Giacomo, 2, 26). Troviamo nel Catechismo non solo la carità ma lo strumento della conoscenza.

Per questo noi vogliamo testimoniare oggi la nostra gratitudine a Dio e alla Chiesa per il Catechismo, e – consentitemi – la gratitudine al signor cardinale Mauro Piacenza, che ha moltiplicato i segni di benevolenza per Alleanza Cattolica fin dagli anni lontani in cui lo conoscemmo nel suo ministero a Genova e che oggi per noi rappresenta il Papa, rappresenta la Chiesa, rappresenta la madre che ci ha dato il Catechismo. Quella madre che vogliamo servire come i cavalieri di re Artù – certo con molte meno capacità, con molto meno coraggio, con molto meno vigore –, convinti però che il nostro impegno corale, i nostri sacrifici, le nostre gioie, i nostri dolori, potranno risvegliare l’anima cristiana, il cuore cristiano che ancora batte per l’Europa.

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ZENIT Staff

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