La chiesa di S. Maria in Cosmedin nel Foro Boario

La cultura greca nella Roma primordiale

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di Paolo Lorizzo*

ROMA, sabato, 7 aprile 2012 (ZENIT.org).- Quella che oggi rappresenta una delle più antiche e caratteristiche aree storico-artistiche ed archeologiche della capitale, nota con il nome di Foro Boario (Forum Boarium o Bovarium, l’antico mercato del bestiame), sei secoli prima di Cristo non era altro che una zona paludosa che venne interamente bonificata con la costruzione della Cloaca Maxima, il grande collettore per la raccolta delle ‘acque scure’ che scaricava all’altezza dell’Isola Tiberina.

Pochi sono a conoscenza del fatto che siamo in presenza di uno dei più antichi contesti archeologici della città. Qui infatti sono state ritrovate prove inconfutabili della presenza della cultura greca ancor prima della fondazione di Roma che la tradizione attribuisce a Romolo e avvenuta il 21 aprile del 753 a.C. Da allora l’area ha sempre avuto una destinazione mercantile, soprattutto grazie alla costruzione del primo porto usato dai mercanti greci, noto come Porto Tiberino. Anche quando l’area portuale venne meno, questa venne inglobata in un grande contesto comprendente, tra l’altro, l’area ludica del Circo Massimo. La sua destinazione cultuale è caratterizzata dalla presenza di tre strutture, due delle quali ancora interamente visibili: il tempio di Portunus, il tempio di Ercole Olivario (spesso erroneamente attribuito a Vesta) e l’Ara Massima di Ercole.

Se i due templi rappresentano un unicum nel panorama edilizio cultuale di epoca repubblicana a Roma, ormai celebri e conosciuti attraverso le molte immagini nelle cartoline e nei libri di storia, l’Ara di Ercole è praticamente sconosciuta. Questa rappresenta il primo centro cultuale costruito e dedicato ad Ercole da Evandro, al di sopra del luogo in cui, secondo Tito Livio, l’eroe uccise il gigante Caco durante una delle sue celebri fatiche.

I pochissimi resti del monumento greco (e dei suoi rimaneggiamenti romani) sono attualmente visibili all’interno della Basilica di Santa Maria in Cosmedin, le cui maggiori testimonianze sono visibili all’interno della cripta e consistono in blocchi di tufo formanti una parte del podio.

La Basilica è uno dei più fulgidi esempi di architettura ecclesiastica di epoca medievale. Fin dal VI secolo infatti, al di sopra di antichi edifici romani (comprendenti anche l’ara di Ercole) identificati come statio annonae ( luogo di approvvigionamento e distribuzione di cibo per il popolo), venne edificata una diaconia, trasformata appena il secolo dopo da papa Gregorio I in una piccola chiesa. Fu comunque papa Adriano I nell’VIII secolo a dargli l’aspetto attuale, dividendola in tre navate ed inglobando al suo interno molti materiali e reperti di epoca romana. E’ interessante notare come la tradizione della cultura greca sia un elemento ininterrotto fina dall’VIII secolo a.C. Sappiamo infatti che papa Adriano affidò la gestione del luogo ad una comunità di monaci greci, stanziata in quella che già veniva definita lungo il Tevere la ‘Riva Greca’. Fu nel IX secolo che vennero aggiunti l’oratorio e la sacrestia, mentre nel XII secolo l’edificio venne completato dallo splendido campanile (scandito da bifore e trifore e decorato da maioliche) e il portico.

La presenza dell’elemento culturale greco (presente ancora oggi visto che la chiesa è di rito cattolico greco-melchita) condizionò il toponimo dell’edificio fin dalle origini, facendo riferimento al termine greco kosmidion che significa ‘ornamento’. Mai termine fu così appropriato vista la bellezza dei contenuti artistici che si ammirano nel suo interno. I pavimenti presentano numerosi esempi della più fine decorazione cosmatesca, la splendida schola cantorum è antico esempio di liturgia cristiana, formata da due pulpiti e relativi baldacchini datata al XIII secolo, il baldacchino e l’altare maggiore, ricavato da un unico pezzo di granito rosso e il cero pasquale, qui dedicato nel XIII secolo completano la navata centrale dell’edificio, nell’alternanza di pietre colorate con la lucentezza del marmo bianco.

La magia della sacralità del luogo viene spesso turbata dalla calca di turisti che pullulano il portico per poter sperimentare personalmente i prodigi della celebre Bocca della Verità, legata a molteplici tradizioni e leggende. Fin dalla notte dei tempi gli si attribuiscono poteri divinatori, rivelando adultéri e tradimenti a chi infilava la ‘colpevole’ mano all’interno della sua bocca. Un altro frammento di ‘profana’ storia romana, divenuto leggenda nell’immaginario popolare ma ricondotto dagli studi degli ultimi anni ad un tombino romano, ultima testimonianza di come spesso l’uomo abbia bisogno dei miti per poter credere nella realtà.

* Paolo Lorizzo è laureato in Studi Orientali  e specializzato in Egittologia presso l’Università degli Studi di Roma de ‘La Sapienza’. Esercita la professione di archeologo.

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ZENIT Staff

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