La Chiesa al fianco dei georgiani dopo il conflitto del 2008

Intervista a mons. Giuseppe Pasotto, amministratore apostolico del Caucaso dei latini

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di Serena Sartini

TIBLISI, giovedì, 22 luglio 2010 (ZENIT.org).- La Chiesa cattolica in Georgia è una minoranza: ci sono circa 50mila cattolici sparsi in tutto il Paese, divisi in tre riti, quello latino (25mila), quello armeno (20mila) e quello assiro-caldeo (5mila). Mons. Giuseppe Pasotto, vescovo originario di Verona, è da 16 anni amministratore apostolico del Caucaso dei latini. Illustra come è la situazione delle confessioni nel Paese, i cambiamenti avvenuti dopo la guerra del 1992 e del 2008 che hanno coinvolto la Georgia, l’Ossezia e l’Abcasia, e fa il punto della situazione sul dialogo interreligioso ed ecumenico.

“La Chiesa cattolica è una piccola minoranza – spiega mons. Pasotto –. Storicamente è stata sempre presente la Chiesa cattolica latina in Georgia. Già nel 1200 c’era un vescovo . Durante il periodo comunista, la chiesa di San Pietro e Paolo di Tblisi, è stata una delle poche chiese rimaste aperte. Poi, nel 1991, dopo la caduta del muro e la implosione dell’Urss, il Nunzio ha rivitalizzato la Chiesa cattolica ed è ripreso un cammino, ripartendo da zero. Quando si andava in un paese si doveva insegnare tutto, anche il segno della croce. È stato un far nascere una Chiesa partendo da zero”.

“Per la mia esperienza personale – ha aggiunto il vescovo –, la Chiesa cattolica in Georgia è stata ‘salvata’ dal rosario. In questi anni abbiamo ripreso in mano tutto, con la formazione dei catechisti, il seminario, le piccole comunità, cercando di ristrutturare la chiesa, e la parte caritativa. Un momento significativo è stato il primo Sinodo della Chiesa cattolica georgiana, nel 2005-2006. Ha segnato le direzioni che ha voluto prendere la Chiesa cattolica: il coraggio della comunione, il coraggio della formazione e il coraggio dell’attività, ovvero la parte caritativa. Dal punto di vista formativo c’è stata la ristrutturazione del seminario, dove convivono musulmani, ortodossi e protestanti, sia studenti che professori”.

Quale è l’impegno della Caritas georgiana dalla guerra fino ad oggi?

Mons. Giuseppe Pasotto: A livello caritativo siamo molto impegnati. La Caritas è presente dal 1994 e l’impegno è sempre cresciuto. La Caritas porta avanti 70-80 progetti, alcuni anche molto grandi e lavora in tre direzioni: il pronto intervento, la formazione e progetti di sviluppo che avviano al mondo del lavoro. Ma c’è stato anche un intervento di sostegno e psicologico per i giovani nel periodo posteriore alla guerra.

La Caritas in Georgia lavora dove c’è necessità, ma non può entrare in Abcasia perché la regione non permette che un’istituzione georgiana vada in territorio abcaso. Tuttavia c’è un’attività caritativa a sostegno della zona, grazie all’aiuto di una parrocchia.

Lei riesce ad andare in Abcasia senza problemi?

Mons. Giuseppe Pasotto: Sì, sono andato anche recentemente, perché il mio titolo mi consente di andarci senza grossi problemi, poiché sono il vescovo di tutto il Caucaso.

Come è cambiata la situazione dopo il conflitto del 2008?

Mons. Giuseppe Pasotto: La comunità cattolica non ha avuto grosse ripercussioni. Per i georgiani è stato invece un grande colpo alla speranza e alla fiducia che stavano costruendo per il futuro. Si sono ritrovati più impoveriti e più soli, e con meno territorio perché hanno perso due grandi regioni. Il popolo georgiano si è demoralizzato. A livello politico, c’è stata la domanda su quali strade intraprendere e ancora non mi pare ci siano direzioni definite. Si è probabilmente capito che l’intervento militare non risolve i problemi, anzi ne crea di nuovi, e allontana le soluzioni. Se non si passa attraverso un accettare il vicino e cercare di trovare i punti di collaborazione, non se ne viene fuori. Chi vuole un dialogo con la Russia viene visto come un traditore, e chi non vuole un dialogo viene visto come separatista. Bisogna invece trovare un punto di dialogo.

Una responsabilità che cade solamente sulla Georgia?

Mons. Giuseppe Pasotto: Più che la responsabilità della Georgia, c’è una responsabilità della comunità internazionale che deve accompagnare il cammino di questo territorio. Da soli i georgiani non ce la fanno. Il popolo georgiano è rimasto deluso, perché pensava di essere maggiormente sostenuto nella fatica e nella difficoltà. Credo che ci siano tanti interessi politici ed economici dietro a queste divisioni.

Come è la situazione del dialogo ecumenico?

Mons. Giuseppe Pasotto: La situazione in Georgia è difficile. Il dialogo con le altre confessioni va bene. Noi responsabili, tranne quello ortodosso, ci incontriamo una volta ogni due mesi. Il dialogo con gli ortodossi invece è difficile. Quando è venuto Giovanni Paolo II, non si è potuto dire nemmeno il padre nostro insieme. Non si può pregare insieme. Il nostro battesimo non è riconosciuto dagli ortodossi. Siamo di fatto riconosciuti come Chiesa, ma giuridicamente non siamo riconosciuti.

Perché?

Mons. Giuseppe Pasotto: Perché da tanti secoli non c’è stato un lavoro su questa comunione, bisogna imparare come si fa a dialogare. Bisogna raggiungere una libertà di fiducia, se non c’è questa non si può dialogare. Noi come Chiesa cattolica ci siamo impegnati perché bisogna arrivarci, e ci sono segni che stanno andando in questa direzione. C’è anche chi lavora al contrario. Bisogna trovare dei punti di comunione, come la carità e la cultura, ma non toccare gli aspetti teologici. Quando sono arrivato in Georgia, la prima volta che ho usato il termine ecumenico mi hanno detto che dicevo un’eresia. Allora bisogna capirsi bene sul significato delle parole, bisogna conoscersi.

Come è la situazione religiosa in Abcasia?

Mons. Giuseppe Pasotto: E’ complicata perché il Patriarca non può andare in Abcasia. Bisogna trovare una soluzione e il Patriarcato di Georgia sta portando avanti un dialogo con quello di Mosca in Abcasia.

Quali sono i rapporti Stato-Chiesa?

Mons. Giuseppe Pasotto: Lo sposalizio tra Stato e Chiesa c’è sempre stato ed è molto forte. L’indipendenza tra Chiesa e Stato è molto più difficile. Un po’ di tempo fa un vescovo ortodosso mi diceva: la Chiesa ortodossa non è stata mai così forte in politica come in questo periodo.

Ha avvertito dei cambiamenti dopo la guerra del 2008?

Mons. Giuseppe Pasotto: La gente ha vissuto l’esperienza del passaggio dallo star bene economicamente allo star male, nel passaggio tra i presidenti.

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ZENIT Staff

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