La certezza è qualcosa da cercare, piuttosto che da possedere

Il filoso Costantino Esposito spiega il tema del Meeting di Rimini

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di Luca Marcolivio

RIMINI, mercoledì, 24 agosto 2011 (ZENIT.org) – “E l’esistenza diventa una immensa certezza”: è il motivo conduttore del XXXII Meeting dell’Amicizia tra i Popoli, in programma alla Fiera di Rimini fino al 27 agosto.

Il tema è stato sviluppato in modo sistematico martedì pomeriggio, nel corso della prolusione del filosofo Costantino Esposito, professore all’Università di Bari, introdotto dalla presidente del Meeting, Emilia Guarnieri.

La certezza in tempi incerti come quelli attuali “non è una certezza ideologica ma una certezza di vita in cui tutti possano respirare un riverbero di positività”, ha affermato Guarnieri. La certezza, ha proseguito la presidente del Meeting, “non consiste in un bagaglio di cose certe ma vuol dire assumersi il rischio di lanciare la propria spada al di là delle proprie sicurezze per ottenere ciò che il cuore desidera”.

Come spiegato dal professor Esposito, il paradosso della modernità consiste proprio in un’incertezza che è “tanto diffusa da risultare quasi insuperabile, come una condizione quasi normale” e che, al tempo stesso, come osservò a suo tempo Zygmunt Baumann, è la risultante di una “guerra totale di logoramento” contro il “mostro policefalo” dell’incertezza.

In altre parole, l’uomo, a partire dai primi secoli dell’età moderna, ha preteso, di fronte alla presunta sordità di Dio, di intraprendere una nuova “strategia di controllo” del proprio destino “fondata sulla

conoscenza scientifica e sulle sue applicazioni tecnologiche”. Tentativo, quest’ultimo, fallito, cosicché “dalla seconda metà del XX secolo – ha osservato Esposito – è come se tutto convergesse verso la precarietà”.

A livello politico e sociale, ad esempio, le prerogative dello stato sociale ed assistenziale “sono state scaricate sulle capacità dei singoli”, costretti in tal modo a “trovare risposte individuali a problemi di ordine sociale”. L’uomo perde quindi la capacità di controllare la propria vita e – per usare ancora le parole di Baumann – si viene così “condannati a una condizione non diversa da quella del plancton, battuto da onde di origine, ritmo, direzione e intensità sconosciuti”.

Secondo Nietzsche, “nessuno è responsabile della sua esistenza” ed “il tempo e la storia non potranno riservarci più alcuna novità ma solo un’eterna ripetizione”. Ma l’uomo è qualcosa di molto di più: nella nostra angoscia e nella nostra inquietudine, noi “siamo un bisogno insopprimibile di certezza che non riusciamo mai effettivamente a colmare”.

Eppure, in questo panorama di insensatezza, causalità, irrazionalità, emerge prorompente e repentina una certezza primigenia: “il fatto che noi siamo venuti all’essere in un rapporto, siamo di qualcuno, e in quanto tali siamo davvero noi stessi”. Essere stati voluti ed accolti dallo sguardo amoroso di nostra madre è, secondo Esposito, una “esperienza originale che tutti ci ha segnati”. La certezza, quindi, “non è qualcosa che costruiamo ma è qualcosa che innanzitutto riceviamo. È qualcosa che ci genera, e che solo in quanto tale può diventare nostra”.

C’è la certezza secondo Sant’Agostino, ovvero l’aspirazione alla felicità, c’è la certezza secondo Cartesio, quella della percezione dell’infinito. Ma la certezza è qualcosa che, in primo luogo, è da

cercare, piuttosto che da possedere. “La pura verità è riservata a Dio e va lasciata solo a Lui – ha proseguito il professor Esposito -. La ricerca è tutta e solo dell’uomo” ed è tale ricerca che rende un uomo virtuoso.

Questa ricerca implica notevoli rischi: per usare una metafora di Urs von Balthasar, è un “gettarsi innanzitutto nella corrente, per fare esperienza corpo a corpo con l’onda, di che cosa sia l’acqua e come vi si avanzi”. Inoltre, sempre secondo von Balthasar, “come il nuotatore deve nuotare sempre per non affondare […] così anche colui che conosce, deve porsi ogni giorno, in maniera nuova, la domanda sull’essenza della verità, senza per questo essere uno scettico e un distruttivo”.

Sulla scia di San Tommaso d’Aquino, per il quale la fede non è solo un atto intellettuale “ma richiede un’adesione dell’io” (cogitare cum assensu), tale assenso non deriva necessariamente dalla nostra capacità di dimostrazione, quanto – più spesso – dalla nostra credenza, così come, secondo l’esempio riportato da John Henry Newman, una madre insegna al proprio figlio un verso di Shakespeare, che egli non potrà capire per la sua complessità, ma del quale accetta che esso abbia un “bel significato”.

Si arriva dunque, seguendo don Luigi Giussani (lo slogan del Meeting di quest’anno è ispirato a una sua frase estrapolata dal saggio Il cammino al vero è un’esperienza [Rizzoli, Milano, 2006]), alla certezza in senso dinamico: non un “assoluto”, bensì un “accaduto”, ovvero “qualcosa che continua ad accadere, poiché se non accadesse nel presente non esisterebbe affatto”.

Ed il più grande accadimento, la più grande certezza della storia è proprio la venuta sulla terra di Cristo che, diventato uomo, ha permesso all’uomo “di essere finalmente se stesso, cioè un essere che domanda, desidera e attende, certo della risposta”. È proprio dall’Avvenimento cristiano che la libertà dell’uomo compie un salto di qualità, dalla semplice scelta di una cosa rispetto ad un’altra alla “possibilità di scoprire un valore irriducibile, infinito di me in virtù del rapporto diretto con chi mi ha creato e mi sta creando ora”, ha aggiunto infine il professor Esposito.

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ZENIT Staff

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