La catechesi latinoamericana di Papa Francesco

Nella prima omelia del nuovo Papa i caratteri del Cristianesimo della sua terra di origine

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Nella prima omelia pronunziata dal nuovo Papa, sia pure proiettata sulla universalità della Chiesa, rappresentata plasticamente dall’assemblea dei Cardinali elettori ancora riuniti nella Cappella Sistina, Francesco I non ha fatto nessun espresso riferimento alla propria origine, all’ambiente geografico e culturale da cui proviene.

Tuttavia, forse addirittura inconsciamente, si nota nelle sue parole il forte legame con l’identità, con lo specifico della Chiesa in America Latina.

Nelle tre letture liturgiche, il Vescovo di Roma ha colto altrettanti aspetti fondamentali della vita cristiana.

Il primo di essi è costituito dal cammino, riferito paradigmaticamente alla figura di Abramo, cui Dio impartì il comandamento, propedeutico all’Alleanza, di lasciare la sua terra e di andare dove il Signore gli avrebbe mostrato.

L’America Latina è terra di migranti, come Jorge Bergoglio sa per la stessa storia della sua famiglia, proveniente dall’Italia.

Tuttavia, chi conosce quel Continente è ben conscio di come in esso si dia un continuo spostamento di popolazioni, della campagne verso le città – in nessuna parte del mondo l’urbanesimo è stato altrettanto forte e devastante – originando enormi megalopoli, ma ancor prima in direzione delle diverse frontiere agricole, estese attraverso lo sforzo di molte generazioni.

Gli Americani del Nord ci hanno raccontato con il cinema la conquista dell’Ovest, ma lo stesso fenomeno è avvenuto in quasi tutti i Paesi a Sud del Rio Grande. Chi ha studiato la storia del Brasile può ben valutare l’importanza dei “bandeirantes” nella stessa costruzione di quella Nazione; e in Argentina la coltivazione della “Pampa” fu compiuta da successive ondate migratorie, in gran parte provenienti dall’Italia.

Il tema del cammino, inteso come compimento di una missione storica, è dunque ben presente nella memoria collettiva del Continente, ma anche nella sua attualità: oggi la migrazione delle genti di lingua spagnola restituisce alla cultura di radice iberica, e con essa alla religione cattolica, le terre perdute nel 1849 con il trattato di Guadalupe – Hidalgo.

L’attuale Arcivescovo di Los Angeles, che guida una diocesi popolata in gran parte da ispanici, è egli stesso un latinoamericano.

Per il cristiano il camminare è sempre un pellegrinaggio, una sequela di Gesù.

E Francesco  ha detto chiaramente che la Chiesa deve necessariamente muoversi, non può mai stare ferma.

Il secondo tema che egli ha trattato è quello della costruzione, o – come ha detto testualmente – della edificazione.

Quale successore di San Pietro, egli ha certamente presente il mandato di Cristo, che disse all’Apostolo “su questa pietra fonderò la mia Chiesa”.

E come devoto del Poverello di Assisi ricorda l’ordine di Gesù, che gli disse di riparare la sua Chiesa: la cappella di San Damiano come metafora della intera comunità dei credenti.

L’America Latina è fatta di città sorte intorno alla sue chiese.

La prima fondata sulla terraferma, dove Cortèz sbarcò nel Messico, fu Vera Cruz, che si trova dove venne innalzata la Croce, così che gli indigeni subito dissero: “Vamos a ver la Cruz”, e di qui il suo nome.

L’edificazione della Chiesa non è però soltanto costruzione dei templi, ma soprattutto è crescita spirituale e morale della comunità cristiana.

Di fronte all’assenza, alla negligenza dell’Autorità civile verso i bisogni della gente, o al contrario di fronte al suo carattere corrotto e oppressivo, solo il Cristianesimo, solo la Chiesa ha svolto sovente la funzione di mantenere coeso il tessuto sociale.

Non vi è però cammino, né opera di costruzione – questo è l’ammonimento conclusivo di Francesco – che valga se la sua meta, o il suo risultato, non è la fede in Gesù Cristo.

La Croce è infatti l’unica gloria per il cristiano.

Spesso, in America Latina, si dice che il popolo è crocifisso.

A volte questa espressione può sembrare, specie dal punto di vista degli Europei, come retorica, e perfino demagogica.

Tuttavia l’asprezza dei conflitti sociali, spesso cruenti, richiede ancora il sacrificio di tante vite umane.

A questa situazione intese rispondere la cosiddetta “Teologia della Liberazione”. 

Jorge Bergoglio la avversò, come la gran parte della Gerarchia cattolica, soprattutto perché riducendo il peccato alla sola dimensione sociale, a prescindere dalla responsabilità individuale nella scelta tra il bene e il male, viene meno proprio quella percezione del valore universale di ogni azione dell’uomo che – come abbiamo già scritto – costituisce l’aspetto più alto dell’umanesimo latinoamericano.

Tuttavia Jorge Bergoglio sa bene, e non manca giustamente di ricordarlo, che l’Imitazione di Cristo non è solo un fatto individuale, in quanto comporta la condivisione – questa si, anche sociale – del sacrificio.

Come si vede, la catechesi universale del nuove Vescovo di Roma, nel servizio reso alla Chiesa universale, molto può attingere dalla sua personale esperienza di pastore di anime e dalla vicenda storica di cui egli è erede e partecipe. 

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Alfonso Maria Bruno

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