La "casa di Dio" che vuole assomigliare alla "casa degli uomini"

Nella mappa del sacro anche la Chiesa di santa Lucia in Ponte Storto

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di Maria Franca Tricarico

ROMA, domenica, 30 settembre 2012 (ZENIT.org).- La chiesa di Santa Lucia collocata nel territorio di Ponte Storto (frazione di Castelnuovo di Porto, Roma), è un’opera architettonica contemporanea ideata dall’architetto Eugenio Abruzzini. Esternamente assomiglia a un casale; è la “casa di Dio” che vuole assomigliare alla “casa degli uomini” per essere con loro tutti i giorni fino alla fine del mondo (cf Mt 28,20b). Come le chiese antiche, è preceduta da un porticato, il nartece, dove sostavano i catecumeni e i penitenti.

Varcata la porta, simbolo di Cristo che ha detto: «Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato» (Gv 10,9), si è accolti in un abbraccio di luce non solo fisica ma anche spirituale.

La vetrata di fondo, in corrispondenza dell’abside, è rivolta a est; secondo 1’antica tradizione simbolica è un richiamo a Cristo luce che irrompe nell’aula al nascere del nuovo giorno.

Subito ci si rende conto di essere in uno “spazio altro” da quello del nostro quotidiano abituale.

La lettura dei diversi elementi di questa chiesa è distinta e allo stesso tempo complementare.

A sinistra c’è il fonte battesimale. È ricco di simbolismi. Ha la forma di un ottagono. È un richiamo all’ottavo giorno della settimana, il nuovo giorno, segnato dalla risurrezione di Gesù per la quale, attraverso l’acqua del Battesimo, risorgiamo anche noi.

Al centro della vasca sono rappresentati dei pesci. Anche in questo c’è un richiamo simbolico. Tertulliano nella sua Catechesi sul Battesimo, dice che nell’acqua del battesimo diventiamo pesciolini a imitazione del “pesce-Cristo” (sed nos pisciculi secundum ιχθυν nostrum Iesum Christum in aqua nascimur, nec aliter quam in aqua permanendo salvi sumus, De Baptismo 1,3).

Alla vasca battesimale si accede scendendo alcuni gradini e si esce salendone altri. Un percorso di discesa nell’acqua che salva e una risalita rinati in Cristo. Un percorso da ovest (le tenebre), verso est (la luce). San Giustino, nella sua Apologia (I,61,8) scrive che il battesimo si chiama “illuminazione” (photismos). È la luce della fede pasquale che ci accosta al Dio-Trinità e ci fa riconoscere la sua opera di salvezza realizzata in e per Gesù.

Il percorso continua verso l’ambone da cui è proclamata la Parola di Dio, parola di salvezza che, accolta nella fede, ci prepara ad accostarci alla Mensa Eucaristica dove il Figlio di Dio si offre come cibo e bevanda. L’altare è collocato su una base ottagonale e la sua forma richiama quella degli altari più antichi e sta a simboleggiare che all’altare-mensa eucaristica si nutrono i popoli delle quattro parti del mondo. Il luogo dov’è collocato unisce i presbiteri e l’assemblea rendendo attuale il mistero di comunione che è la Chiesa.

Dietro all’altare è collocata la sede del celebrante. Indica il luogo da cui egli esercita il servizio di presidenza dentro l’assemblea e di guida della preghiera. Si tratta di una presidenza liturgica che è punto di arrivo e punto di partenza di tutta l’azione pastorale.

Al centro della fascia che corre nel catino absidale è rappresentato il Cristo nelle sue sembianze storiche. Egli e l’alfa e l’omega: principio e fine di tutto.

È pure rappresentato come Agnello che, immolato sulla Croce, è risorto come aveva predetto.

C’è così una coincidenza tra il Corpo di Cristo consacrato sull’altare e quello visualizzato nel catino absidale. Il sacerdote, sollevando l’ostia, dice: «Ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo» (Gv1,29). Il nostro sguardo passa dalla reale presenza sacramentale di quell’Agnello-Cristo, alla sua visione. Visione e fede coincidono.

Vediamo più da vicino questi affreschi. Accanto al Cristo, alla sua destra, c’è Maria che indica il Figlio e sembra ripetere quanto si legge nel Vangelo di Giovanni nell’episodio delle Nozze di Cana: “Fate tutto quello che vi dirà”. Dall’altro lato è rappresentata Santa Lucia, alla quale è dedicata la chiesa.

Seguono, due per lato, i “quattro esseri viventi” di cui parlano il profeta Ezechiele (Ez 1,10) e l’evangelista Giovanni nell’Apocalisse (Ap 4,6-7). Scrittori antichi come ad esempio S. Ireneo (II sec.) e San Gerolamo (IV sec.) vedono in questi quattro “esseri viventi” il simbolo degli evangelisti. Sono orientati verso i quattro punti cardinali per simboleggiare la diffusione della parola di Dio nei quattro angoli del mondo.

Cominciamo da destra: la figura umana richiama Matteo perché il suo vangelo inizia con la genealogia di Gesù; il toro richiama Luca perché il suo vangelo inizia con il sacrificio offerto da Zaccaria, il padre di Giovanni Battista; il leone allude al vangelo di Marco che inizia con la predicazione di Giovanni Battista nel deserto; l’aquila, l’unico essere vivente che può guardare il sole senza rimanere accecato, richiama il vangelo di Giovanni che è fortemente spirituale e invita a guardare la luce-Cristo.

E nel VI-VII sec. il Papa Gregorio Magno associa a queste quattro figure i quattro eventi salvifici del Nuovo Testamento: la figura umana richiama l’Incarnazione di Cristo, il toro il sacrificio di Cristo; il leone la risurrezione, l’aquila di Giovanni l’ascensione di Cristo. Così, qui, nel catino absidale, è visualizzato tutto il Mistero di Cristo.

Alzando lo sguardo, sulla parete di destra, vediamo un programma iconografico, opera del benedettino brasiliano P. Ruberval Monteiro da Silva, che da ovest vesto est scandisce un percorso di misericordia. Inizia con l’incontro di Zaccheo con Gesù il quale, autoinvitandosi a casa sua, gli restituisce la dignità perduta, proprio a lui un pubblicano odiato da tutti per la sua professione di esattore. È un richiamare alla nostra memoria la Parola del Signore: «oggi la Salvezza è entrata in questa casa!» (Lc 19, 1-9), la nostra casa.

Segue l’episodio del Buon Samaritano-Gesù che si prende cura di chi è nel bisogno ed è ignorato e abbandonato da tutti. Un invito perché anche noi ci facciamo samaritani di chi è nel bisogno e in loro, come dice Gesù, incontreremo lui stesso (cf Mt 25,35-45).

E poi l’episodio della donna adultera. Gli accusatori se ne sono andati, hanno lasciato cadere le pietre. Restano solo la “misera e la Misericordia” come dice Sant’Agostino. Gesù l’ha salvata e perdonata. Ora davanti alla donna si dischiude la possibilità di una nuova vita nello spirito. È così anche per noi quando riconosciamo le nostre colpe.

Segue l’incontro con la Samaritana al pozzo di Sichem. Gesù le chiede dell’acqua per dissetarsi, ma è lui che le dona l’acqua della vita. L’acqua della grazia che è donata con il Battesimo (è da notare la forma ottagonale del pozzo) è l’acqua della salvezza che è donata anche a noi.

E poi il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, preludio dell’Eucaristia che sazia tutti coloro che la ricevono.

E infine il miracolo del cieco, richiamo al Battesimo. Benedetto XVI, nel suo libro Gesù di Nazaret (Rizzoli 2007,283), ha scritto che «Cristo è il dispensatore della luce che ci apre gli occhi attraverso la mediazione del sacramento del Battesimo». La nostra luce è Cristo stesso che dice di sé: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”» (Gv 8,12). Così, con il Battesimo siamo diventati “figli della luce” (cf 1Ts 5,5), e “luce” noi stessi (cf Ef 5,8). E per il Battesimo siamo stati ammessi a prendere parte alla mensa del Signore.

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ZENIT Staff

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