L'utero in affitto genera nuove forme di schiavismo

Olimpia Tarzia denuncia la pratica che riduce le donne, i bambini e le bambine concepite, in disumani oggetti di commercio

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“In un momento in cui si parla molto di violenza sulle donne, credo che la pratica dell’utero in affitto sia una delle violenze più orribili che si possano perpetrare, particolarmente odiosa perché a danno di quelle più povere: essa non solo è una violenza fisica, ma anche psicologica”.

La denuncia è giunta ieri dall’onorevole Olimpia Tarzia, consigliere alla Regione Lazio, nel corso della conferenza stampa per la presentazione del manifesto del Comitato “Di mamma ce n’è una sola – Contro la pratica dell’utero in affitto’. La Tarzia ha spiegato che per questa aberrante pratica “vengono reclutate donne povere, bisognose e spesso analfabete, che certamente non hanno consapevolezza dei loro diritti, le quali firmano contratti che non sanno nemmeno leggere”.

“In India – ha osservato – la stima del commercio degli uteri in affitto è di un indotto complessivo di 2 miliardi di dollari l’anno e le società che offrono tale servizio si moltiplicano e si arricchiscono sulla pelle delle donne e dei bambini: un vero e proprio mercato di compravendita di bambini, in cui la donna è considerata un mero contenitore, da tenere in buona salute per i nove mesi di gravidanza, per lo più reclusa in una clinica e isolata dagli affetti più vicini che potrebbero essere portatori di malattie varie”.

Più che di un affitto si tratta di un vero e proprio atto di proprietà sulle persone, visto che la ‘coppia committente’ in base al contratto stipulato, ha il diritto di far abortire la donna nel caso il bambino fosse portatore di qualche imperfezione: esattamente come quando si intende acquistare un prodotto e lo si rifiuta qualora fosse difettoso.

“Come donne e come società civile – ha sottolineato Olimpia Tarzia – dovremmo insorgere prestandola nostra voce a quelle madri che non ne hanno, dobbiamo mettere da parte bandiere di parte e posizioni ideologiche e combattere unite questa battaglia di civiltà”. “Per questo motivo – ha proseguito – attraverso il Manifesto “di Mamma ce n’è una sola “ ,  rivolgiamo un appello a tutte le donne, di qualsiasi fede religiosa e orientamento politico”.

“Come Comitato – ha aggiunto l’onorevole – abbiamo già numerosi focolai pronti ad accendersi in tutte le regioni d’Italia, e non opereremo soltanto all’interno del contesto italiano, perché sappiamo bene che le problematiche legate alla pratica dell’utero in affitto coinvolgono altri Paesi”.  I Comitati locali – ha concluso Tarzia – saranno composti da leader di associazioni e movimenti, ma non solo: chiederemo l’adesione al Manifesto anche da parte di Parlamentari e rappresentanti delle realtà locali, affinché ci sia una sinergia fra la partecipazione della base e la sensibilità politico-istituzionale”.

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ZENIT Staff

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